Quando Bob Geldof decise di volere i Queen al Live Aid aveva ben presente che tra i 4 ragazzi di We Will Rock You si era rotto qualcosa. Lo aveva ribadito John Deacon, bassista sempre rimasto nell’ombra ma senza il quale non avremmo avuto il riff di Another One Bites The Dust.
Per il riccioluto performer delle 4 corde la band era ridotta a 4 individui che suonavano come automi, ma l’arrivo dei Queen al Live Aid significava trovare un testimonial autorevole per la lotta alla povertà. Come suggeriva il nome dell’evento, infatti, il grande concerto al Wembley Stadium di Londra serviva a raccogliere fondi per l’Etiopia.
Una manifestazione, il Live Aid, che andava in scena anche a Philadelphia, al JFK Stadium. Due grandi eventi in due grandi Stati, per la prima volta al mondo, venivano trasmessi dai satelliti in 150 paesi in diretta televisiva e il risultato fu quello dello share più importante della storia delle comunicazioni con più di 2 miliardi di utenti sintonizzati.
Il 13 luglio 1985 il rock scelse di cambiare il mondo. Ogni artista aveva 20 minuti a disposizione per il suo show e i Queen, al Live Aid, avevano già scritto tutto ciò che li aveva resi una leggenda. Da Bohemian Rhapsody a We Are The Champions Freddie Mercury e soci ebbero di certo qualche difficoltà nel selezionare i brani per la setlist.
Freddie salì sul palco con il pugno alzato e l’energia che quel giorno lo consacrò all’Olimpo del rock. In 20 minuti trascinò letteralmente le 72mila persone dello Stadio Wembley.
Tutto iniziò con Bohemian Rhapsody per poi continuare con Radio Ga Ga, Hammer To Fall, Crazy Little Thing Called Love, We Will Rock You e poi chiudersi con We Are The Champions. L’esibizione dei Queen al Live Aid fu epica ed Elton John, scherzosamente, disse: “Bast**di, ci avete rubato tutta la scena”.