Fuga Da Alcatraz, il capolavoro carcerario targato Clint Eastwood-Don Siegel

Su La7 alle 21.15 uno dei film più iconici dell’Eastwood attore. È un esempio mirabile di narrazione asciutta e laconica. Girato dal regista che, insieme a Sergio Leone, Eastwood considera il suo mentore

Fuga Da Alcatraz

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Negli anni Settanta, dopo una carriera ultratrentennale e classici indiscutibili all’attivo (su tutti L’Invasione Degli Ultracorpi), Don Siegel era stato ormai sdoganato e trattato come un vero autore. Prova ne è che Fuga Da Alcatraz nel 1979 partecipò alla selezione della Mostra di Venezia. È l’ultimo grande film della sua carriera, che sarebbe terminata, nei primi anni Ottanta, dopo un altro paio di sortite non memorabili. Ed è anche l’occasione per tornare a lavorare, per la quinta e ultima volta, col suo attore feticcio Clint Eastwood. Il quale proprio grazie ai film di Siegel era riuscito a rendere più sfaccettata la sua natura di interprete, dopo il successo clamoroso ma a rischio di tipizzazione dei personaggi dei film di Sergio Leone.

La coppia Siegel-Eastwood

Don Siegel fa uscire Eastwood dalla mitologia impeccabile ma chiusa in sé stessa dei western leoniani, e ne rende più articolato il carattere. Ovviamente si pensa subito all’ispettore Callaghan: il primo film della serie, Il caso Scorpio è tuo! fu apertamente tacciato di fascismo dai critici più influenti (Pauline Kael, Roger Ebert). Ma nella figura controversa dell’insofferente tutore dell’ordine che interpreta la legge a modo suo si rispecchiavano, in una chiave anche regressiva, le inquietudini del maschio bianco americano passato attraverso i grandi rivolgimenti degli anni Sessanta, tra disillusione politica e femminismo.

I ripensamento del ruolo del maschio era al centro anche de L’Uomo Dalla Cravatta Di Cuoio (1968), western contemporaneo in cui un cowboy della provincia subisce l’impatto con la vita della metropoli. Mentre per La Notte Brava Del Soldato Jonathan (1971) possiamo ben parlare di sgretolamento delle certezze identitarie, dato che Eastwood vi interpreta un caporale nordista che, ferito, ripara in un educandato femminile nel quale s’illude di poter fare il bello e il cattivo tempo, finendo invece per pagarne le conseguenze.

Per capire l’evoluzione della carriera di Eastwood quindi, Don Siegel resta fondamentale. Soprattutto per quel che concerne l’Eastwood regista, il modello dell’asciutto ed essenziale Siegel ha lasciato in lui molte più tracce del barocco e dilatato Leone – anche se, quando si è trattato di riconoscere i propri debiti, Eastwood ha sempre reso omaggio a entrambi, riconoscendoli, ad esempio nella dedica del western capolavoro Gli Spietati, quali suoi maestri.

Fuga Da Alcatraz
  • Eastwood,Mc Goohan (Actor)
  • Audience Rating: G (audience generale)

Fuga Da Alcatraz, una storia vera

Fuga Da Alcatraz è l’ultimo incontro tra Eastwood e Siegel, non privo di qualche tensione, perché inizialmente l’attore l’avrebbe voluto produrlo da solo con la sua Malpaso, dovendosi poi adattare a una coproduzione con la società del regista, che aveva acquistato i diritti del volume di J. Campbell Bruce alla base del film, sceneggiato da Richard Tuggle.

Il libro ripercorre la storia vera dell’unica evasione da Alcatraz andata a buon fine, nel 1962. L’autenticità della vicenda spinse alla scelta, come location, del vero carcere, ormai chiuso dal 1963 e trasformato in un’attrazione turistica (era il penitenziario in cui fu rinchiuso anche Al Capone). La lavorazione del film fu complessa: per ottenere i permessi per filmare e poi perché, trattandosi di un isolotto a due chilometri dalla costa di San Francisco, le condizioni climatiche erano tutt’altro che favorevoli (non a caso il suo nomignolo è “The Rock”), e per girare ci vollero 15 miglia di cavi elettrici per trasportare la corrente sul posto.

L’inizio è folgorante e stabilisce subito le coordinate, lo stile diretto e spartano del film. In una notte di tempesta il detenuto Frank Morris (Eastwood mantiene il vero nome del prigioniero protagonista della fuga), viene condotto via mare ad Alcatraz. Giunto sull’isola, subiti i controlli di rito, è scortato dai secondini, completamente nudo, verso la cella, la cui porta si chiude nel momento esatto in cui scocca un tremendo fulmine.

Da sinistra, i veri fratelli Anglin e Frank Morris, che evasero nel 1962

È uno dei pochi elementi a effetto di un film rimasto proverbiale per la sua laconicità narrativa. Infatti il prologo, della durata di ben 8 minuti, è praticamente muto. E taciturno continuerà a restare, Fuga Da Alcatraz, per l’intero svolgimento, con dialoghi essenziali, funzionali all’azione e mai allo scavo dei personaggi. Di Morris lo spettatore non sa quasi nulla. Le ragioni per cui è in galera restano ignote: è nota solo la sua propensione alla fuga e che possiede un quoziente di intelligenza fuori della norma – lo si legge sul suo fascicolo. Per quel che riguarda il passato, tutto si riduce a una battuta paradossale, in linea con la mitologia di Eastwood ancor prima che del personaggio: “Che razza di infanzia hai avuto?”, gli chiede un detenuto. E lui: “Breve”.

La filosofia di Don Siegel

Il Morris di Fuga Da Alcatraz è il classico protagonista dei film della maturità di Don Siegel. Come un altro suo personaggio proverbiale, il Charley Varrick/Walter Matthau del film omonimo, è “l’ultimo degli indipendenti” – definizione che si attaglia allo stesso Siegel –, l’individualista anarchico e riottoso alle norme che si costruisce le sue proprie regole, facendosi poche illusioni sugli esseri umani e restando fedele soltanto a un insopprimibile desiderio di libertà.

I primi tre quarti d’ora del film definiscono contesto e personaggi principali. Non manca nessuna delle figure da film carcerario: il recluso che vorrebbe approfittare sessualmente di Morris (inutile dire che fine fa), l’anziano istituzionalizzato e gentile che ha addomesticato un topolino, l’animo sensibile che dipinge per non impazzire, il nero eminenza grigia del penitenziario. A questi si aggiunge il direttore del carcere (ironicamente interpretato da Patrick McGoohan, l’attore diventato celebre con la serie tv cult inglese Il prigioniero, in cui è una ex spia confinata in un villaggio da cui cerca di scappare in ogni modo), un grigio e sadico burocrate inebriato dal proprio ruolo, per il quale Alcatraz è un giocattolo a sua disposizione, come il modellino del carcere che espone in ufficio.

Questa è una delle metafore che, con molta discrezione, il film distribuisce sotto la sua impaginazione apparentemente senza sottotesti. L’altra, fondamentale, è quella dei fantocci che i fuggiaschi costruiscono per ingannare le guardie, facendo loro pensare di essere a letto mentre invece stanno scavando la via di fuga. Morris non vuole essere il burattino del direttore. E sfrutta, prendendone alla lettera le affermazioni, quello che è l’unico privilegio che offre il penitenziario: il tempo.

Un piccolo trattato sul tempo

Fuga Da Alcatraz è un piccolo trattato sul tempo. Che scorre sempre uguale e ripetitivo, costringendo i detenuti a trovare espedienti per non impazzire. C’è chi alleva topolini, chi si dedica alla pittura. Morris progetta un’evasione. Il suo alleato è proprio il tempo: che, come spiega, a poco a poco con l’aria l’umida ha corroso il cemento e col sale ha arrugginito le sbarre di metallo. Il direttore dice enfaticamente a Morris: “Se disobbedisci alle regole della società ti spediscono in prigione. Se disobbedisci alle regole della prigione ti spediscono qui”. Ma l’imponente The Rock, con la sua ideologia dell’oppressione, è un castello di carte divenuto intimamente fragile, sottoposto come ogni altra cosa alla legge inesorabile del tempo.

Infatti, dietro le sue massicce mura, in realtà c’è spazio per ogni cosa: l’odio sicuramente, ma anche l’ironia (le battute su San Francisco e Al Capone) e un’insospettabile tenerezza (il personaggio del pittore Doc, gli incontri strazianti dei detenuti con i familiari nel parlatorio). Il silenzioso Morris, apparentemente asentimentale, diventa il collettore di tutte queste istanze. E la sua fuga, attraverso il simbolo di un piccolo crisantemo, diventa il riscatto di un intero mondo che non intende sottostare alla legge dell’infelicità.