A furia di evocare l’Apocalisse l’Apocalisse è arrivata davvero

La Musica sta morendo e la discografia come reagisce? Tirando fuori Elodie e Guè Pequeno: come mettere cerotti usati per tamponare un taglio da motosega

gue pequeno

Photo by Dogomanagement


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Io lavoro con la musica.

Davvero.

Da circa venticinque anni.

Lavoro con la musica e lavoro per la musica.

Ho un rapporto complicato con la musica, intendendo con questo il sistema musica, non certo la forma d’arte che porta lo stesso nome, ma quando c’è di mezzo anche la passione funziona così, in genere.

Non dico che è amore, ma se anche fosse solo sesso, posso dire che a tratti è stato ottimo sesso.

Solo che non sono un necrofilo, e qui sembra che di qui a breve la musica sarà un cadavere, non vorrei diventare il protagonista di un episodio di Criminal Minds, se possibile

Proviamo a fare un po’ di chiarezza.

Anzi, non è neanche questione di far chiarezza, si tratta semplicemente di mettere nell’ordine giusto i fatti, possiamo anche astenerci dal dare giudizi. O meglio, potete astenervi voi, perché io i giudizi intendo darli eccome, mi pagano proprio per questo.

Stiamo provando a rimetterci in piedi.

A fatica. Con cautela. Con le difficoltà del caso.

Ci stiamo comunque provando. E questo è un bene.

Il mondo dello spettacolo, di questo mi occupo in genere, non sta provando a rimettersi in piedi. Non ci sta provando perché non ci sono le condizioni per farlo, e perché evidentemente non rientra in nessuna delle priorità del Governo, e anche gli stessi attori, non sto parlando di recitazione, lo dico per gli analfabeti in ascolto, non sono tutti interessati a rimettersi in piedi subito, è evidente.

Basti pensare alla questione dei live.

Assomusica, l’associazione di categoria delle aziende che organizzano e producono i live in Italia, ha dichiarato la resa, facendosi voce di tutti, anche di quelli che non ne fanno parte o che in tutti i casi non erano dell’idea della maggioranza, dichiarando che i live si sarebbero fermati per tutto il 2020. Appuntamento all’anno prossimo.

Nel mentre, questo è noto, le medesime aziende che hanno aderito al manifesto programmatico di Assomusica, Live Nation, Friends and Partners, Vivo Concerti, D’Alessandro & Galli e altri, hanno accolto senza indugi alla proposta del governo per tenere in piedi la filiera dei concerti, invece che restituire i soldi dei biglietti dei concerti, magari comprati anche un anno fa, e magari comprati con balzelli esorbitanti, avete tutti presente i diritti di prevendita, vero?, proposta che sostanzialmente sposta sugli acquirenti i rischi d’impresa, senza consultarli e senza prevedere nessun tipo di risarcimento, per dire Live Nation negli USA ha stabilito che chi non avesse provveduto a rifarsi dare i soldi, possibilità ovviamente prevista, avrebbe avuto un benefit pari al 50% dei soldi spesi per quei biglietti, non esattamente bazzecole. Fatto, questo, che ha fatto incazzare i medesimi acquirenti, perché si sono tutti sentiti parecchio presi per il culo e perché, va detto, certe interviste, come quella di Mimmo D’Alessandro fatta al Fatto Quotidiano, sono riuscite possibilmente nell’impresa di peggiorare le cose, un concentrato di arroganza e poco rispetto per i quattrini di coloro che, in fondo, tengono realmente in vita il mercato, oltre che di ogni labile idea di giornalismo.

Sono partiti gli insulti sui social, e va beh, quello è il grado zero, le minacce di class action, le iniziative anche simpatiche, come quella pensata di Gigi Gincursi, ex Perturbazione, quel YesterPay dedicata a Paul McCartney, uno dei protagonisti di questa estate che, ovviamente, protagonista non sarà più questa estate, Codacons e altre associazioni di categoria pronti a fare caciara. Macca di conseguenza ha lanciato uno strale contro il governo, beccandosi, pensa te a volte quanto può essere matrigna la vita, una risposta piccata di Gianna Nannini, roba che neanche Eddie Vedder con Rita Pavone. Franceschini, a quel punto, Ministro di riferimento, ha fatto un post su Facebook in cui azzardava che la ratio del decreto era che il voucher fosse valido solo per i concerti rinviati, roba che nel decreto non è manco ventilato e che soprattutto andrebbe contro il principio messo in campo da tutti i promoter, che hanno dichiarato validi i medesimi biglietti per i concerti rinviati nel 2021. Il fatto che un ministro intervenga su una faccenda spinosa solo dopo che ha protestato un pezzo da novanta, per altro, meriterebbe un articolo a sé, perché uno vale uno giusto nel cervello di chi ha votato M5S.

Ci sarebbe poi anche quella faccenduola dei diritti di prevendita, perché chi userà il voucher non solo non avrà visto il concerto per il quale aveva acquistato il biglietto nel giorno in cui aveva previsto di vederlo, ma in alcuni casi vedrà il concerto di un altro artista, non tutti i concerti verranno recuperati nel 2021, pagando di nuovo i diritti di prevendita, doppia gabella con bacio a schiocco.

In tutta questa oscurità, nel mentre, un minimo di luce: alcuni BIG, quelli dei mega eventi, hanno provveduto di propria tasca a sovvenzionare le proprie crew, la famosa filiera per salvaguardare la quale i promoter si sarebbero tenuti i soldi dei biglietti, senza in realtà dividere un bel niente, ma restano casi isolati. Insomma, un delirio, con nessuno che ovviamente comprerà mai più un biglietto in prevendita neanche sotto minaccia di un bazooka puntato alla tempia, c’è da scommetterci.

Come dire, pur di salvarmi il culo oggi sacrifico il medesimo culo domani.

Il solito, barista, in pratica.

Altra luce, pure più forte, arriva da quei promoter che si sono dissociati da tutto questo e hanno reso i soldi, è ovvio, e da quelli che, a fatica, hanno deciso di provare a organizzare live, seppur con le restrizioni previste dai DPCM, duecento persone massimo al chiuso, mille al massimo all’aperto, il che, va detto, considerando che per organizzare eventi in piazza, dopo la circolare Gabrielli, tocca attenersi a tutta una serie di onerosi e esosi protocolli, è come dire andare sicuramente in perdita. Il primo a ripartire, tecnicamente, è stato Red Canzian, a Treviso, con un live iniziato alle 19 del 15 giugno 2020, il primo giorno disponibile per riprendere le attività live nel mondo dello spettacolo, ma anche altri si stanno preparando, dai Nomadi a Ruggeri, passando per Max Gazzè e altri ancora. Quasi tutti fuori senza cachet personale, per far lavorare i propri musicisti e i propri tecnici, sia messo agli atti. Bei gesti, non vi è dubbio, ma di qui a dire che il mondo dello spettacolo sta ripartendo ce ne corre, come se qualcuno volesse dire che questi tre mesi e passa di didattica a distanza sono equiparabili alla scuola in presenza, o anche a qualsiasi cosa che abbia anche vagamente a che fare con la scuola.

No, perché questi tre mesi di stasi, di lock down, chiamateli un po’ come vi pare, una cosa hanno dimostrato, che cioè il mondo dello spettacolo, almeno per quel che riguarda la musica, il segmento di cui mi occupo io, è sostanzialmente in coma profondo, prossimo alla morte.

Lo dicevo sin da prima del Covid19, del resto, non posso certo dirmi sorpreso della china che la questione ha preso.

I live sono andati a picco, e in questo, va detto, il Coronavirus ha il suo peso, ma va anche detto che, soprattutto per alcune delle aziende che, in effetti, sui voucher si sono tuffati a pesce, anche prima le cose non è che andassero a gonfie vele. Non lasciatevi ingannare dai proclami, dalla Nouvelle Vague dei Live, tutte fandonie. Perché giocare su anticipi giganteschi per fottere artisti alla concorrenza, riempire poi stadi e palasport giocando su biglietti gratuiti e omaggi, spostare sempre più in là il momento di fare i conti veri, giocando anche su una certa pressione non proprio lineare fatta sui promoter locali, spesso costretti a mettere mano al portafogli per dare il cosiddetto colpo d’occhio, alla lunga non solo non paga, ma crea falle di bilancio che, di fronte a uno stop forzato, è evidente, verrebbero a galla, non ci fosse l’aiuto di San Giuseppe Conte da Foggia, lì a regalare voucher come se piovessero, in culo le maestranze e tutti i professionisti che a questo punto si trovano col culo scoperto davvero.

La discografia, per contro, è messa se possibile anche peggio, non è un mistero. Non averci capito niente per anni, diciamo, non ha aiutato, ma se a questo aggiungi il Coronavirus è davvero come pisciare sul bagnato.

La storiella la sapete ormai tutti.

Prima hanno demandato il loro lavoro alle radio, che li hanno inculati diventando a loro volta discografici e editori, avete presente tutto Ultrasuoni, l’etichetta che vedeva insieme Rtl 102,4, Rds e Radio Italia, quella dei Modà, e anche Baraonda, l’etichetta della sola Rtl 102,5, no? Per non dire di come anche 105 si sia buttata fino alla testa dentro il medesimo mercato, dando vita a una guerra tra bande. E per altro il fatto che proprio le tre radio di Ultrasuoni abbiano fatto da media partner della De Filippi per Amici Speciali (che nome, Maria, non potevi sceglierne uno un po’ meno da “mammine pancine”?), forse viene da pensare che la faccenda non sia affatto definitivamente chiusa. Peccato solo che, questo il Covid19 lo ha semplicemente incorniciato, stava già capitando da tempo, le radio siano destinate evidentemente all’estinzione, e il loro tentativo di lanciarsi nei podcast lo attesta. La gente le ascolta in giro, in auto mentre si sposta al lavoro, nei negozi e nei ristoranti, ma non certo per piacere a casa, il lock down ha procurato una emorragia che se esplicitata dovrebbe spingere molti se non tutti a una seria riflessione e, magari, a cercasi un lavoro. Perché, diciamolo chiaramente, l’idea di mettersi ancora una volta insieme per festeggiare i 45 anni di radio libere, ditemi voi che anniversario è il quarantacinquennale, andando a lanciare un sondaggione sulla canzone migliore di questo lasso di tempo, e chiedendo a artisti un tempo di un certo prestigio di fare cover, le prime due, Mare mare di Carboni rifatta da Elisa, Quando di Pino Daniele di Mengoni e La donna cannone di De Gregori rifatta dalla solita Nannini, tutte al limite dell’imbarazzo, e fortuna che almeno Pino Daniele è morto e non potrà sentire questo scempio, è davvero una cosa sciocca.

Le radio sono il passato, andare a rimestare nel passato non la proietterà certo in avanti, ma attesta come il modernariato sia appunto modernariato, roba buona per i mercatini della domenica in centro storico. Certo, ora si affacciano sul web, ma l’idea di rivendere come podcast, perché è nei podcast il futuro, lo sanno tutti, le registrazioni pare pare dei programmi mandate in onda è come registrare un programma in tv e poi spacciarlo per contenuto extra per il web, roba che neanche un demente, come se le case discografiche provassero a fare cassa stampando vinili coi suoni dello streaming pensando che gli amanti dell’analogico abbocchino… ah, cavolo, hanno fatto anche questo….

È davvero finita un’epoca, è il caso di dirlo chiaramente.

Comunque le discografiche, quando hanno capito che le radio le stavano inculando si sono fiondate sui talent, ottenendo per altro il medesimo risultato, sempre in culo, perché i talent sono programmi tv e a chi gestisce i talent è la tv che interessa, non certo il successo discografico di chi vi prende parte, lo sfacelo delle ultime edizioni di X Factor e la stessa Amici, in fondo, è lì a futura memoria.

Ma dopo radio e talent, quando ormai tutto sembrava perso, ecco che arriva lo streaming, la vera salvezza. La vera salvezza per le aziende che lo fanno, Spotify in testa, non certo per la discografia. O meglio, anche per la discografia, dentro Spotify come azionisti, ma non certo per gli artisti, che infatti sono quelli inculati dallo streaming, perché a generare economie, anche questo il lock down lo ha dimostrato, non è il traffico in sé, ma gli abbonamenti premium, che durante il lock down sono andati a picco, causando una perdita notevole per la filiera.

Su tutto questo il crollo della SIAE, che coi negozi, i ristoranti, i bar chiusi, con i live fermi, ha perso una quantità di milioni che neanche quelli che a suo tempo avevano pensato di fare la grana con Ricucci, mica sarà un caso che mentre il Nuovo Imaie ha mandato soldi ai suoi iscritti, la SIAE ha mandato pacchi di pasta?

Riassumendo, morto il live, morte le radio, morto lo streaming, morte le edizioni e la SIAE, la discografia come reagisce?, tirando fuori Guaranà di Elodie o il nuovo di Guè Pequeno, o Karaoke dei Boomdabash con la Amoroso, come mettere cerotti usati per tamponare una arteria tagliata con una motosega, qualcosa che rasenta il geniale.

Nel mentre gli artisti e tutti gli operatori del settore provano a farsi sentire, probabilmente troppo tardi, lo dice colui che per anni ha alzato la voce cantando l’imminente Apocalisse, per essere chiari. Così ecco che arriva l’hashtag #iolavoroconlamusica, figlio di una discussione interna seria, che ruota intorno a lamusicachegira.it, e le foto che hanno provato a sottolineare come il 21 giugno, festa della musica, rischia di essere una festa senza festeggiato, la musica ormai morta e sepolta.

Iniziativa intempestiva, lo ripeto, ma che quantomeno ha mostrato una coesione prima neanche immaginabile, e che è da specchio per le allodole di una serie di richieste specifiche presentate al governo, minuziose, precise. Una presa di coscienza di sistema, verrebbe da dire, finalmente, non fosse per qualche mio emulo che si è sentito in dovere di fare la punta al cazzo, di infierire sul cadavere ora che è appunto tale, da una parte indicando nell’aver ceduto al sistema negli anni passati parte del male che oggi affama gli artisti, dall’altra sottolineando come ci siano un sacco di hobbysti che si spacciano per lavoratori dello spettacolo, fatto in sé anche vero.

Chissà dove cazzo erano questi leoni, perché, ripeto, che adesso tutti facciano i polemisti o gli wannabe è davvero ridicolo, quando c’era ancora qualche rischio da correre, quando c’era da fare inchieste e denunce, perché mi ricordo che mi aggiravo per il deserto come neanche Denzel Washington di Codice Genesi.

Tutto è morte e distruzione, quindi, al punto che quasi provo nostalgia. Perché va bene colpire la figura quando l’avversario, il famoso sistema, la macchina, chiamatelo come volete, era in piedi e si muoveva baldanzoso, ma farlo oggi è roba da vigliacchi e impietosi.

Oggi viene da fargli la respirazione bocca a bocca, da provare un massaggio cardiaco, piuttosto.

20 cc di dopamina, lo stiamo perdendo.

Peccato, perché proprio i giorni di clausura, quelli delle dirette sui social, della musica ascoltata su Youtube, si fotta Spotify, avevano attestato la morte legittima della trap e lo stato non proprio sanissimo dell’indie, incapaci tutti loro di fare quei live di cui sopra, perché per suonare da casa, è noto, tocca saper suonare, per non dire del cantare, e soprattutto perché una canzone di merda ascoltata in un momento di merda è difficile da spacciare per qualcosa di gradevole, fatto che poteva lasciar presagire un futuro non dico meraviglioso, ma quantomeno decente.

Certo, nel mentre sono usciti anche i nuovi di Grant Lee Philips, di Bob Mould, di Elvis Costello, di Bob Dylan, di Neil Young, tutta gente che la musica sa farla davvero, e che, se la discografia implodesse definitivamente, è un fatto, si scanserebbe di lato, sbadiglierebbe e continuerebbe a fare esattamente quello che ha sempre fatto, del sano rock’n’roll, ma rischiano di finire a fare la colonna sonora all’Armageddon, armati come sono di chitarre elettriche e distorsori.