Perché il crossover Scandal – Le Regole del Delitto Perfetto torna oggi più attuale che mai

Nel crossover fra Scandal e Le Regole del Delitto Perfetto emerge la condizione di perenne svantaggio e discriminazione contro cui le persone nere hanno ripreso a manifestare in queste settimane

Olivia Pope e Annalise Keating

[ABC/Mitch Haaseth]


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La morte di George Floyd e le proteste che ne sono derivate hanno infuocato il dibattito sulla necessità di ripensare la natura stessa delle forze dell’ordine negli Stati Uniti. Ed è innegabile che la brutalità della polizia scateni tanta ingiustificata violenza verso i cittadini afroamericani, ma ciò non toglie che la condizione di svantaggio e discriminazione delle persone nere si avverta anche in altre declinazioni della società.

Nel corso delle sue sei stagioni Le Regole del Delitto Perfetto ha attraversato più volte i meandri della giustizia americana, raggiungendo picchi di cruda e dolorosa efficacia nel racconto della class action condotta da Annalise Keating fino alla Corte Suprema. Ed è in particolare nel crossover con Scandal che Le Regole del Delitto Perfetto lascia emergere fatti e dati tornati tristemente attuali in queste settimane di proteste.

Grazie all’aiuto di Olivia Pope (Kerry Washington), Annalise riesce a sostenere in modo brillante la sua argomentazione: lo stato della Pennsylvania non garantisce un supporto legale adeguato a chi non può permettersi un avvocato, dunque non rispetta la Costituzione. Di conseguenza i poveri, e in particolare i poveri afroamericani, finiscono spesso in carcere ingiustamente e sono costretti a scontare pene più lunghe di chi invece può permettersi un avvocato.

Le tesi che Olivia e Annalise portano dinanzi alla Corte Suprema non sono espedienti narrativi, ma parentesi di realtà che si fanno di volta in volta più ampie e pungenti. E ciò che emerge è proprio la condizione di perenne svantaggio e discriminazione contro cui le persone nere hanno ricominciato a manifestare in queste settimane.

Nel crossover, ad esempio, Olivia e Annalise rilevano come gli afroamericani siano colpiti più di ogni altra comunità dall’impossibilità di sostenere le spese legali. E se Le Regole del Delitto Perfetto si sofferma sugli avvocati d’ufficio, la realtà è ben più deprimente. Le spese da sostenere, infatti, riguardano anche le cauzioni, ed è possibile persino che non pagarle comporti un allungamento della pena.

Non avere un avvocato, fa notare inoltre Annalise nella serie, impedisce ai detenuti coinvolti nella class action di vedersi garantito un giusto processo. Ed è pura realtà che gli avvocati d’ufficio non possano fare miracoli. Il settore deve infatti fare i conti con la cronica mancanza di fondi e una mole enorme di casi da gestire. Chiaro, dunque, che errori e superficialità siano all’ordine del giorno.

Nella sua incursione nel mondo de Le Regole del Delitto Perfetto Olivia Pope sottolinea poi come molte persone nere, pur se accusate ingiustamente di aver commesso un reato, preferiscano dichiararsi colpevoli e scontare la pena. L’alternativa sarebbe attendere l’arrivo di un avvocato d’ufficio, affrontare un processo lungo e laborioso e vedersi condannati a sanzioni più salate e pene più severe.

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Che la materia affrontata ne Le Regole del Delitto Perfetto tragga origine dalla realtà – e resti più attuale che mai – è evidente anche dalle basi su cui poggia l’intera class action di Annalise, e che richiama un caso simile affrontato nello stato di New York nel 2014. Una rara vittoria per la pubblica difesa, scrive il New York Times a tal proposito.

Chiudiamo quindi con il più potente dei passaggi da Le Regole del Delitto Perfetto 4×13, in cui la potenza evocativa di Viola Davis è il miglior veicolo di trasmissione di una realtà durissima e ancora doloramente attuale:

Il razzismo è nel DNA dell’America. E finché chiuderemo gli occhi dinanzi al dolore di chi ne è schiacciato non ci libereremo mai di quelle origini. L’unica protezione che le persone di colore hanno è il diritto a una difesa, e non riusciamo a garantir loro neppure questo. Ciò significa che la promessa dei diritti civili non viene mantenuta. A causa dal fallimento del nostro sistema giudiziario, e in particolare del nostro sistema di pubblica difesa, Jim Crow è vivo e vegeto.

Leggi per cui era illegale seppellire bianchi e neri nello stesso cimitero, per cui esistevano le categorie di mulatti e meticci, per cui si puniva una persona nera che chiedeva di essere curata in un ospedale per bianchi. Qualcuno potrebbe dire che la schiavitù non esiste più. Ma ditelo ai detenuti tenuti chiusi in gabbie e a cui viene negato qualsiasi diritto. Persone come il mio cliente, Nathaniel Lahey, e milioni di persone come lui, relegate a una sottoclasse dell’esistenza umana nelle nostre prigioni. Non c’è alternativa alla giustizia in questo caso. Non c’è un’altra opzione.

Pronunciarsi contro il mio cliente significa riempire le tasche dei proprietari delle carceri anziché garantire una difesa fondamentale a chi ci vive dentro. Ed è forse quella l’America in cui questa corte vuole vivere? Un’America in cui il denaro conta più dell’umanità? In cui la salute mentale è confusa per criminalità? Il sesto emendamento è stato ratificato nel 1791. Sono passati 226 anni da allora. È arrivato il momento di garantirne i diritti a tutti i nostri cittadini.