Ne siamo usciti migliori, senza musica demmerda

Il lock down ha evidenziato la pochezza della trap, incapace non solo di raccontare l’oggi, ma anche di farne da involontaria colonna sonora

Artwork by Stefania Magli


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Non ne siamo usciti migliori, ok, lo abbiamo accertato. O meglio, non abbiamo accertato di esserne esattamente usciti, ma volendo essere ottimisti diciamo di sì, e mentre lo diciamo tocchiamoci anche le palle, ma sicuramente non ne siamo usciti migliori. Ne siamo usciti ingrassati, incattiviti, impauriti, iracondi, pronti a sputare veleno contro tutto e tutti, ma soprattutto contro tutti. Ci siamo divisi in bande, come in effetti le serie tv ci avevano abituato a pensare riguardo gli scenari post-apocalittici, e ce le siamo date di santa ragione. Ce le stiamo dando di santa ragione. Se siamo tra quanti stavamo chiusi in casa convinti che il lock down fosse in effetti la sola speranza di cavarne le gambe, abbiamo odiato I runner, I pisciatori di cani, I ragazzi della movida, I terroni che scappavano, I lombardi che infettavano, tutti. Se invece eravamo tra quanti hanno sempre pensato che ce l’avessero raccontata un po’ troppo pesante, ben più di quanto in realtà non fosse, abbiamo odiato I prudenti, I pessimisti, I gufi, quelli coi guanti di lattice, quelli che non ne usciremo prima dell’autunno, quelli della seconda ondata. Capace pure che siamo stati prima gli uni e poi gli altri, magari facendo pure andata e ritorno, perché solo gli stupidi non cambiano idea, e quando c’è da menare le mani siamo sempre I primi della classe. Nei fatti ne siamo usciti insanguinati, sporchi del sangue dei nostri avversari.

Ma soprattutto ne siamo usciti, ripeto, dando per assodato che ne siamo in effetti usciti, con una marea di dubbi e di incertezze, unica verità assodata il fatto che nessuno ci ha capito davvero un cazzo.

Ora, siccome però che io, che nella vita sono uno scrittore e un critico musicale, non ci abbia capito fondamentalmente un cazzo ci può decisamente stare, perchè altre sono le mie competenze, altri i miei terreni di gioco, nessuno potrà venirmi a accusare di aver creduto a qualcosa di troppo sbagliato, perché se un errore ho commesso, o anche più d’uno, è semplicemente stato quello di fidarmi della persona sbagliata. E così immagino anche di voi, chi elettrauto, chi impiegato al catasto, chi magari cantante. Il vero problema, origine di buona parte delle nostre incertezze, o almeno delle incertezze che non siano riconducibili all’aver vissuto per tre mesi barricati in casa, il suono delle ambulanze a fare da sottofondo, almeno per chi questi tre mesi li ha vissuti in un qualche luogo colpito violentemente dal Covid19, penso a me che stavo a Milano, le foto del Papa da solo in piazza San Pietro, Mattarella all’Altare della Patria, l’infermiera svenuta sulla tastiera del PC, la fila dei camion dell’esercito con le casse da morto che lasciavano Bergamo, già il fatto che lo si poteva chiamare Coronavirus o Covid19, questo cazzo di virus, non è che ci abbia agevolato nell’avere certezze, il vero problema è che a non averci capito un cazzo, e non aver nascosto di non averci capito un cazzo, sono stati in primis gli scienziati, cioè coloro ai quali noi, ciecamente, ci affidiamo sin dall’Illuminismo. Non credo sia necessario star qui a fare la cronistoria, anche perché questo, i miei più affezionati lettori ben lo sanno, non è un articolo sul Covid19 o su come ne siamo usciti, figuriamoci, questo è un classico cappello in cui parlo di quel che cazzo mi pare salvo poi arrivare al nocciolo della questione, spesso affrontata nel giro di poche frasi, al punto che volendo potrei anche dedicarmi agli haiku, non ci mettessi prima i cappelli, appunto, non credo sia necessario star qui a fare la cronistoria, ma siamo passati dal “è una semplice influenza” o “il virus non arriverà mai in Italia”, al “dovremo imparare a convivere per sempre col virus”, passando per altre facezie come “se apriamo tutto a giugno avremo centocinquantamila persone in terapia intensiava” e arrivando al “virus clinicamente morto” di Zangrillo, pochi giorni fa. Ora, volendo bypassare la faccenda se Zangrillo sia o meno persona credibile, viste le note vicende che lo volevano spingere perché Berlusconi disertasse il precesso Ruby per una uveite, presto disinnescata dai medici della mutua mandati dal PM Bocassini, o più semplicemente volendo bypassare il fatto che, anche fosse un nome mediaticamente credibile, e non lo è, andare in tv e dire una frase ambigua come quella, tutta imperniata sul concetto di “clinicamente morto”, sia in realtà gesto di un uomo in malafede o non esattamente un fulmine di guerra, direi che la tesi che il virus si sia indebolito comincia a farsi largo tra un po’ tutti gli scienziati, non fosse altro perché, seppur la Lombardi sia ancora vagamente contagiata e contagiosa, è pur vero che le terapie intensive si liberano e i malati, anche quelli accertati, o meglio i contagiati accertati, mi sembrano un po’ meno malati di prima. Al punto che, e veniamo al gancio per poter poi passare fugacemente a parlare di musica, uno scienziato stimato come il Professor Silvestri, quello che abbiamo cominciato a conoscere per le sue Pillole di Ottimismo, si è lasciato andare a parole assai dure nei confronti dei matematici, rei, a suo dire, di non averci capito nulla e di aver proposto modelli inadeguati, assolutamente da non seguire in un ipotetico e assolutamente non auspicato nuovo caso di pandemia. Questo mentre Burioni dichiara un suo imminente silenzio stampa, perché in Italia a  nessuno viene perdonata la popolarità, dice, e la Capua afferma di non essere da tempo una virologa, fatto che in effetti stupisce, se è vero come è vero che si è beccata I famosi 2000 euro ogni dieci minuti di passaggio televisivo proprio in quanto virologa.

Ma torniamo a Silvestri, e al suo dire che i matematici hanno cannato di brutto modelli riguardo gli sviluppi del virus. Pur convenendo che, in effetti, i matematici, gli statistici, gli informatici, tipo Vespignani, coloro, in pratica, che ci avevano prospettato di finire a camminare su tappeti di cadaveri in un futuro neanche troppo remoto, non ci hanno letteralmente capito un cazzo, la gente è in giro a fare manifestazione su manifestazioni cantando “Meu amico Charlie Brown” e “Brigitte Bardot” manco fosse diventata la moda del momento, unici a non potersi azzardare a assembrare artisti e pubblico degli artisti, la filiera del live imbalsamata fatte salve poche eccezioni, va anche detto che è davvero il famoso caso del toro che dice cornuto all’asino, non perché Silvestri, nello specifico, non ci abbia azzeccato, ma perché nella faida virologi vs matematici, lo dico senza paura di essere smentito, nessuno ha neanche vagamente detto quel che stava per accadere né, figuriamoci, quel che sarebbe accaduto. Perché a dire dopo quel che è successo, converrete, siamo un po’ buoni tutti, come uno che si affaccia alla finestra, vede che piove e dice “oggi mi sa che piove”, non è che sia proprio un metereologo. Ecco, noi abbiamo assistito da una parte a una serie di fatucchiere e Nostradamus pret-a-porter che dicevano “morirete tutti” e “è praticamente finita” un giorno sì e il giorno dopo uguale, dall’altra a proiezioni ortogonali e schemi come neanche Oronzo Canà nel famoso film, niente di provato scientificamente, niente neanche di vagamente certo, azzardi e tentativi che, onestamente, ci hanno indotto a credere su basi religiose più che empiriche. Ecco, è come se di colpo la Scienza fosse diventata una sorta di Chiesa, le evidenze scientifiche sostituite da dogmi, che uno ci deve credere perché ci deve credere, punto e basta. Loro, gli scienziati, che si tratti dei virologi, dei biologi, degli epidemiologi, di stocazzo, più vicino a guru alla Osho che a gente che verrà ricordata nel tempo per una qualche scoperta di una qualsiasi rilevanza. Credo in un solo Dio, e ha la faccia di Burioni, a questo punto non sarei neanche così convinto che averla scampata sia stata la soluzione migliore.

Ora, però, non è di scienza e fede o fede applicata alla scienza che mi occupo, o almeno, non oggi e non in questa sede. Io parlo di musica. Ahimé, spesso di musica demmerda. Musica demmerda, veniamo a noi, che la pandemia, questa era la sola certezza che per tre mesi ho cullato, sembrava destinata a spazzare via senza lasciare alcuna traccia, pensate solo a con quanta velocità ci siamo dimenticati di colui che proprio in virtù del suo indossare una mascherina prima degli altri, oltre che a scrivere testi del cazzo su musiche discutibili, aveva occupato militarmente la nostra attenzione nelle prime settimane di questo apocalittico 2020, parlo ovviamente di Juniro Cally, e sono sicuro che parecchi di voi saranno sobbalzati, come quando ci si è accorti, che so?, che dai frigo dei bar erano spariti gli Winner Taco.

Il lock down, dai, state provando a rimuoverlo, ma ancora ricordate le canzoni cantate dai balconi, quelle meste dirette live sui social, ha evidenziato la pochezza della trap, incapace non solo di raccontare l’oggi, ma manco di farne da involontaria colonna sonora, e un po’ anche dell’indie, la sciatteria e il minimalismo fagocitati dal fatto che di colpo tutti erano sciatti e minimalisti, tutto messo all’angolo, come del resto per il reggaeton e musichette sceme che parlano di cocktail o città esotiche, tutte quelle cagate, in sostanza, che ci hanno accompagnato negli anni prima dell’Apocalisse.

Viene allora da chiedersi che ne sarà dei vari Gino con le Mutande, personaggio che nel corso degli ultimi mesi avete avuto modo di conoscere in tutto il suo non capire un cazzo di musica, perfetto rappresentante di quei discografici che su quelle musiche hanno puntato anche con arroganza, accompagnando all’uscita gli artisti veri, riempiendosi la bocca, ricorderete tutti il paragone con Valentina Nappi, con lo streaming e con un mondo che, in questo crede fermamente come fosse un dogma, con buona probabilità non sopravviverà al 2020.

Non so se ne siamo usciti, e non credo che ne siamo usciti migliori, ma se già ne fossimo usciti senza Gino con le Mutande e la musica demmerda, converrete con me, ce ne sarebbe abbastanza per riabilitare questo funesto anno bisesto.