Incastonato tra due opere, Blow Out e Omicidio A Luci Rosse, che rappresentano due perfetti esempi della vocazione metacinematografica del regista, Scarface (1983) segna il passaggio nella carriera di Brian De Palma a produzioni ad alto budget, diverse da tutto ciò che aveva fatto precedentemente. In primo luogo, invece del prediletto Hitchcock, stavolta il punto di riferimento è un altro maestro della Hollywood classica, Howard Hawks, autore dello Scarface del 1932 di cui questo è un, per molti versi, fedele remake.
Hawks, disse, prese un gangster, che lì si chiamava Tony Camonte, ispirato ad Al Capone, e trasformò la sua storia nella tragedia dei Borgia, insinuando un tratto di ambiguità nel rapporto tra il criminale e sua sorella. E poi puntò su un personaggio sgradevole, che pare eccitato dal fare ciò che fa, mostrando senza eufemismi una violenza che per l’epoca sembrò efferata. Infatti il film ebbe moltissimi problemi con la censura e, girato nel 1930, uscì solo due anni dopo, tagliate alcune sequenze scabrose e aggiunti brani che rendessero inequivocabile la condanna morale del gangster.
Con la sceneggiatura firmata da Oliver Stone, lo Scarface di Brian De Palma mantiene l’impianto dell’originale, sfumature incestuose comprese. Il racconto viene spostato agli anni Ottanta, non più a Chicago ma a Miami: il protagonista è Tony Montana, un immigrato cubano che si autodefinisce prigioniero politico anticomunista ma che, ovviamente, è un criminale dalle smisurate ambizioni. E smisurata, aggressiva è l’interpretazione di un Al Pacino memorabile, lontanissimo dallo stile insinuante, silenzioso e a suo modo seducente del padrino Michael Corleone della saga di Francis Ford Coppola.
- Pacino, Bauer, Pfeiffer, Mastrantonio, Loggia (Actor)
- Audience Rating: G (audience generale)
Tony Montana è un uomo rozzo e ignorante votato al male: al boss Frank Lopez che lo protegge (Robert Loggia) dice di essersi “divertito” a commettere un assassinio che gli viene commissionato. Ma più che dalla frenesia del delitto è mosso dal desiderio di fare carriera. Al suo braccio destro Manny (Steven Bauer, in un ruolo che avrebbe voluto John Travolta) espone la sua filosofia esistenziale, semplice e di feroce pragmatismo: prima fai i soldi, poi ottieni il potere, poi ottieni anche le donne.
In Scarface affiora in controluce un racconto del self made man, che restituisce il sogno americano individualista di autorealizzazione nella sua versione più brutale, mostrando il lato oscuro della logica di accumulazione capitalista. Tony Montana segue alla lettera il suo progetto: e una volta conquistati soldi e potere si prende anche, dopo averlo eliminato, la donna del capo, Elvira (Michelle Pfeiffer, nel suo primo ruolo importante). Fin qui la prima metà del film: ed è chiaro che all’ascesa corrisponda uno speculare processo di caduta. Ma De Palma la morale in Scarface non la spiattella, semmai vi allude, con l’eleganza delle soluzioni visive.
Nel momento apicale della sua affermazione, cioè quando ha appena ucciso Lopez soffiandogli la donna, il regista mostra Tony mentre guarda un dirigibile su cui compare una scritta, “Il mondo è vostro” (la stessa del film di Hawks). Subito dopo però l’inquadratura si ribalta, e dall’alto, dal punto di vista del dirigibile quindi, si osserva il criminale, mentre uno zoom all’indietro lo rende sempre più piccolo, lontano, e insignificante. La supposta grandezza raggiunta è solo un effetto distorto della propria percezione di sé.
Scarface, inoltre, sposta i confini della rappresentazione della violenza. In realtà, a rivederlo col senno di poi, si scopre che le scene efferate sono poche, nelle sue quasi tre ore di durata il film mantiene invece uno stile controllato come è nelle abitudini di un virtuoso della macchina da presa come De Palma. Ma le accelerazioni brutali sono esplosive, e indimenticabili: dalla famigerata scena della motosega che tanti problemi diede al film, al finale rutilante, con un Tony Montana isolato e drogato che subisce l’ultimo assalto in un delirio grandioso di onnipotenza e autodistruzione.
Scarface lascia il segno attraverso i suoi eccessi, che finiscono quasi per eclissare tutto il resto. Ed è qui che sta la sua originalità. Come scrisse un critico raffinato, Robin Wood in un libro che rileggeva gli anni del reaganismo al cinema: “Tutto ciò che funziona davvero nel film è nuovo: la critica esplicita e devastante del capitalismo americano contemporaneo; la straordinaria scena madre del ristorante in cui, prima, Scarface viene aggredito verbalmente dalla moglie, che lo abbandona, e subito dopo lui offende la clientela del ristorante ritirandosi nel suo isolamento finale e irrimediabile da quella società; le immagini audaci ed eccessive del protagonista che seppellisce disperatamente il viso in un cumulo di cocaina, emblema della sua ricchezza e bancarotta”.
Scarface quindi, ha poco a che vedere con i due successivi gangster movie di Brian De Palma: lo scintillante Gli Intoccabili, una croccante e mitologizzante rappresentazione dei ruggenti anni venti con l’eroe all american Kevin Costner che sconfigge il crimine in elegante completo Armani; e Carlito’s Way, di nuovo in coppia con un magistrale Pacino, ritratto romantico del criminale in cerca di redenzione sconfitto dal destino. Sono entrambi dei film molto belli, però perfettamente calibrati, con De Palma sempre nel pieno controllo della materia narrata, restituita nei confini di un genere definito.
In Scarface invece, la ribollente sostanza del racconto, amplificata da un protagonista perverso e ossessivo (l’attrazione per la sorella, le telecamere con cui controlla la villa in preda alla paranoia), dinamita dall’interno una struttura narrativa sempre sul punto di deragliare e smarrire l’equilibrio stilistico. Ed è esattamente in quel momento, quando diventa, come dice ancora Wood, “ridicolo agli occhi di quei critici che pongono la loro nozione di plausibile sopra ogni tentativo di leggere il progresso simbolico del film”, che Scarface attesta l’assoluta novità di un gangster movie rimasto un punto di riferimento inaggirabile, e problematico, per chiunque abbia voluto successivamente raccontare la violenza e il crimine al cinema. E a tal proposito, chissà come si comporterà Luca Guadagnino nell’annunciato, nuovo remake di Scarface.