All’epoca del Covid-19 c’è un grande assente nelle performance live: l’applauso. Ma questo a volte non toglie niente allo loro bellezza

Gli applausi sono parte dello stesso spettacolo, con i loro vari significati. Il distanziamento sociale ne rimarca l'assenza e ci fa anche capire quanto era stato abusato in TV


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Nel suo saggio dal titolo “Il secolo del rumore”, Stefano Pivato racconta come un gran numero di stimoli sonori abbia, un po’ alla volta, invaso la nostra vita. A partire dal Novecento, in effetti, una vasta tipologia di rumori e di richiami acustici più o meno aggressivi ha preso il sopravvento modificando il paesaggio sonoro e l’ambiente nel quale viviamo. Talvolta il rumore si manifesta con prepotenza, vedi il baccano dei motori, dei macchinari industriali, delle folle che popolano le metropoli; altre volte si affaccia nella nostra quotidianità in modo apparentemente discreto, per espandersi, un po’ alla volta, sino a diventare invadente. È questo il caso degli applausi, un modo universalmente diffuso per manifestare il consenso, l’apprezzamento e la partecipazione emotiva, che è tuttavia divenuto una componente ingombrante delle cerimonie e degli spettacoli, soprattutto quelli televisivi.

Pivato non ha torto perché l’applauso, nato come una manifestazione spontanea del pubblico è oggi, sempre più spesso, un elemento indotto, un artificio registico per dare smalto alle performance artistiche, per costruire quella tensione tra il pubblico e il protagonista della scena che ci si aspetta da una trasmissione televisiva. Nei programmi di varietà l’applauso del pubblico viene stimolato da assistenti di studio appositamente piazzati di fronte alla platea, mentre in altri casi una scritta luminosa “applausi” si accende fuori campo per indicare il momento esatto in cui il pubblico dovrà prorompere nel fragoroso gesto. Altri format come i varietà radiofonici e le “sitcom” televisive utilizzano applausi e risate preregistrate, che servono a cadenzare le battute degli attori, e a ricordare – ove mai non fosse sufficientemente chiaro – che si tratta di intrattenimenti ironici e leggeri. Chi lavora nel mondo dello spettacolo e chi lo segue con assiduità sa anche riconoscere la “semiotica” dell’applauso, il significato che questo può assumere a seconda dei contesti: talvolta è quello minimo d’ordinanza, altre volte è quello empatico dei fans, altre ancora quello imprevedibile dei concorsi canori dove gruppi di sostenitori si incaricano di innescare il meccanismo con l’obiettivo di trascinare la platea.

L’applauso che segue l’esibizione vuole premiare la performance complessiva, quello che interviene durante l’esibizione ne vuole sottolineare l’intensità, quello che precede l’esibizione vuole rendere omaggio all’artista indipendentemente da quello che saprà fare. Esiste forse anche l’applauso “di soccorso”, che solitamente interviene quando il pubblico (o chi si incarica di orientarne il comportamento) si accorge che l’artista è in difficoltà, magari perché non ricorda un testo o perché ha subito qualche inconveniente tecnico o di scena. Su tutto questo si erge la figura del presentatore, che chiama l’applauso ogni qual volta deve riempire un calo d’attenzione, facendone  spesso  un uso  compulsivo.

Ora, se è vero che l’applauso ha ormai assunto una molteplicità di significati, e che in un modo o nell’altro, per vari motivi è presente in modo eccessivo in qualsiasi programma o in qualsiasi evento, è pur vero che mai come in questo momento abbiamo l’opportunità di ridimensionarlo. Dopo mesi senza eventi pubblici e spettacoli dal vivo, dopo mesi di esibizioni da casa in formato “fai da te”, di dirette on-line dal sapore intimistico e riflessivo dove il pubblico c’è ma non si vede, abbiamo iniziato a disabituarci al contrappunto immancabile dell’applauso, ad esplorare modi diversi di essere in contatto con la platea degli spettatori.

Diodato ha cantato nell’Arena di Verona deserta il brano “Fai rumorecon cui ha vinto il Festival di Sanremo del 2019, in assenza di pubblico,  di applausi, di qualsiasi rumore che non fossero i suoi passi, eppure la sua performance non solo non ha perso niente della sua carica emotiva, ma in quel silenzio surreale ha acquistato un’intensità maggiore. Forse non abbiamo applaudito ma eravamo in sintonia, noi con lui, lui con noi e non c’era bisogno di altro.