I Miserabili, esce on demand il duro racconto di banlieue di Ladj Ly, film dell’anno in Francia

La piattaforma Mio Cinema propone un film che è stato un caso in patria. Due milioni di spettatori, premiato a Cannes, vincitore del César, nomination all’Oscar. Ritmo adrenalinico da poliziesco e ambizioni di ritratto documentario delle periferie. Da vedere

I Miserabili

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Con I Miserabili (2019) parte l’offerta della nuova piattaforma streaming Mio Cinema, di cui abbiamo già parlato, promossa da Lucky Red, Circuito Cinema e My Movies, che punta su un modello di business che integra digitale e sala, riconoscendo una percentuale degli introiti ai cinema aderenti al Circuito.

I Miserabili mutua il titolo, con grande efficacia retorica, dal classico della letteratura d’oltralpe, perché posiziona il racconto di banlieue a Montfermeil, periferia a un’ora da Parigi in cui era ambientato il capolavoro di Victor Hugo. Sono le stesse zone in cui è cresciuto il regista Ladj Ly, classe 1978, figlio di genitori originari del Mali. Il film è stato la sorpresa della stagione cinematografica francese: dopo il premio della Giuria a Cannes, è stato visto da 2milioni e 200mila spettatori, ha vinto 4 César, tra cui miglior film, e ha ottenuto la nomination all’Oscar per il film internazionale.

Un successo che ha spinto i produttori americani a proporre al regista esordiente – questo è il suo primo film di finzione dopo svariati documentari – la regia di un Marvel movie. Offerta per ora rimandata al mittente visto che il progetto di Ladj Ly è una trilogia sulle periferie, con due ulteriori capitoli, il primo sulle sommosse del 2005 di Clichy-sous-Bois e la figura di Claude Dilain, sindaco di Saint Denis, il secondo a ricostruire il periodo germinale degli anni Novanta.

I Miserabili tiene presenti modelli come l’inaggirabile L’Odio di Kassovitz e l’adrenalinico Training Day di Antoine Fuqua. È un poliziesco senza quasi un attimo di tregua, un racconto la cui ambizione è quella di usare il genere per un ritratto realistico delle banlieues e del caos contemporaneo di cui le periferie povere e multietniche non costituiscono l’eccezione, ma una sorta di cartina di tornasole. L’unico momento di vera, illusoria tranquillità è nel prologo, in cui i simboli nazionali della Torre Eiffel e dell’Arco di Trionfo incorniciano i festeggiamenti per la vittoria dei Mondiali di Calcio del 2018, in cui pare pulsare in sincrono l’unità di una collettività che si riconosce comunità.

I tre protagonisti Bonnard, Manenti e Zonga

Non è così, ovviamente. Subito dopo lo spettatore è catapultato a Montfermeil, con gli occhi dell’ultimo arrivato, Stéphane (Damien Bonnard), poliziotto trasferito lì e messo accanto a due colleghi esperti delle BAC, le brigate anticriminalità, il bianco aggressivo Chris (Alexis Manenti, forse il più bravo del lotto) e il nero del quartiere, per questo trattato come un traditore, Gwada (Djebril Zonga).

L’azione de I Miserabili è compattata in ventiquattr’ore, per restituire il senso febbrile di una vita sul filo del rasoio, in un mondo di difficilissima manutenzione. Con alcune figure di spicco: l’ex galeotto Salah che gestisce un kebab ma resta un influente membro della comunità islamica, un mediatore detto il “Sindaco”, che un po’ collabora con le forze dell’ordine un po’ pensa al proprio tornaconto, e poi naturalmente i ras della droga.

Niente è tutto bianco o tutto nero, confini, alleanze e conflitti sono molto fluidi, con Chris e i suoi al centro dell’equilibro instabile. Che rischia di franare quando agli irascibili proprietari di un circo ambulante viene sottratto un leoncino. I tre poliziotti si attivano per ritrovarlo: il colpevole è il giovane Issa (Issa Perica), per acciuffarlo, durante un tafferuglio, Gwada spara con la flash-ball, un’arma antisommossa, ferendolo in pieno volto. Un altro ragazzino, Buzz (Al-Hassan Ly), ha filmato la scena col drone. Ora i poliziotti devono recuperare il video, per evitare un’inchiesta e scongiurare l’esplosione d’una rivolta.

Non ci sono né cattive erbe né uomini cattivi. Ci sono solo cattivi coltivatori” recitano le parole di Victor Hugo poste a chiusura d’un racconto che si vuole non manicheo e che invece di puntare il dito fotografa una realtà al collasso politico, morale e pedagogico, in cui gli adulti si preoccupano del potere ma non dell’educazione dei giovani. Che sono allo sbando: Issa è un piccolo delinquente, sorta di Gavroche per il ventunesimo secolo, uno sbandato di cui gli stessi genitori non si preoccupano più. Buzz invece si limita a registrare passivamente una realtà di cui non comprende (non ne ha gli strumenti) il significato.

Ladj Ly rende l’espediente del drone un elemento della narrazione, così da evitare quelle inquadrature miserabiliste delle banlieues ritratte dall’alto, come fossero qualcosa che osserviamo senza che ci riguardi davvero. Il film restituisce la sensazione del disperante alveare di anonimi e anomici palazzoni, ma è uno sguardo che, appunto, provenendo da chi le periferie le vive sulla sua pelle (Buzz e il regista), non si pone mai da un punto di osservazione esterno giudicante.

È qui la forza del film, che pure muovendosi nelle regole del poliziesco vuole smarcarsi da retoriche ed effettismi del genere, dando vita a un’indagine che mantenga una sua veridicità documentaria (che è pure nell’uso di attori presi da quelle strade). Il risultato è ambivalente: la compressione dell’azione in un giorno solo rende eccessivamente concitato il ritmo, che nella sua esuberanza programmatica sa troppo di dispositivo di finzione costruito ad hoc.

Però l’adesione non artificiosa della recitazione degli attori restituisce freschezza a I Miserabili. E il denso epilogo ha la forza dell’apologo, grazie alla sensazione fisica di un vicolo cieco, una spirale di violenza che ha risucchiato poliziotti, ras del quartiere e giovani. E poiché Buzz non riesce a far altro che restare a guardare quel che accade, la sensazione finale è che il suo scacco sia spia dell’impotenza dell’immagine cinematografica. Che, appunto, registra, ma rimane alla finestra, senza cambiare nulla.