Chi ascolta Let It Be dei Beatles e chi vive e respira per i Fab Four non si ferma alla considerazione della sola title-track. Il disco era ed è ancora quel disco, una stanza chiusa in cui si consumano attriti, insofferenze e sorrisi amari scambiati tra amici che stanno per dirsi addio.
Il capolinea prima del capolinea
L’8 maggio 1970 era già tutto finito e Let It Be dei Beatles aveva tutta l’aria di essere un canto del cigno. Non era, tuttavia, l’ultimo disco registrato dai Fab Four prima della fine della loro carriera. Tecnicamente e cronologicamente, Abbey Road era stato registrato dopo Let It Be ma era uscito un anno prima, nel 1969.
Quando i Beatles iniziarono i lavori su Let It Be non vedevano un palco da 3 anni. Paul McCartney, soprattutto, sentiva fortemente il bisogno di ritrovare quella dimensione live interrotta nel 1966 a San Francisco con l’ultimo concerto a Candlestick Park.
Nel 1968 Paul premette di nuovo il grilletto: tornare sul palco ma con un concerto sensazionale. Niente tour, soltanto un evento memorabile di cui chiunque avrebbe parlato in futuro. L’idea nacque dopo il video promozionale dei Hey Jude/Revolution, quando il regista Michael Lindsay-Hogg filmò la band all’interno degli studi della Twickenham Films. In origine l’esibizione era stata riservata a un numero limitato di fan selezionati, ma per un passaparola i Fab Four si erano ritrovati circondati da molte più persone.
Quell’esperienza, in ogni caso, fece riscoprire alla band la gioia di suonare di fronte a un pubblico, ma il più entusiasta era Paul che spinse al massimo per realizzare la cosa. Il progetto prese il nome di Get Back, un ritorno alle origini rock della band, e si sarebbe concluso con un grande concerto che il regista Michael Lindsay-Hogg voleva girare in un anfiteatro in Tunisia.
Il punto di rottura
Tuttavia Paul si rivelò l’unico veramente interessato a preparare quel film. Gli altri si dimostravano sempre più insofferenti e le prime riprese di Hogg all’interno degli studi della Twickenham – destinate ai contenuti extra del concerto – catturarono tutti i momenti di tensione che facevano volare saette tra i Fab Four. Particolarmente acceso fu uno scontro tra Paul McCartney e George Harrison, che a telecamere spente – si dice – arrivarono alle mani.
Harrison non ne poteva più e per questo mandò tutti a quel paese. Il progetto Get Back si sgretolò e i Beatles spostarono i lavori dalla Twickenham Films agli studi della Apple. George tornò e tutti furono d’accordo nel non parlare più del concerto in Tunisia. Portò con sé il tastierista Billy Preston, utile per le registrazioni e per placare gli animi.
Let It Be dei Beatles
Per restare sulla linea scelta da Paul, quella di ritornare alle radici del rock’n’roll (“Get Back to where you once belonged”), Let It Be dei Beatles fu registrato in presa diretta, senza sovraincisioni.
Il risultato fu in quelle 30 ore di registrazioni da tagliare, ricucire e selezionare, ma i Fab Four erano troppo demotivati per prendersene cura. Ci provò il tecnico Glyn Johns ma il suo lavoro fu bocciato. Ci provò Phil Spector, infine. Tuttavia il disco si chiamò Let It Be e non più Get Back.
Conteneva capolavori come The Long And Winding Road, Dig A Pony, Get Back e Across The Universe e la title-track, e ancora oggi Let It Be dei Beatles è un cuore in cui pulsano gli ultimi battiti d’amore di una band al capolinea.
Il grande concerto si fece sul tetto della Apple. Ascoltare Let It Be dei Beatles è un po’ come sfogliare un album di foto consumate dal tempo, ma dimostra quanto sia difficile trovare episodi di serie B in tutta la discografia dei Fab Four.