Mentre Pornography dei Cure veniva concepito nei RAK Studios di Londra i tre ragazzi immaginari ansimavano, consapevoli che probabilmente era il tempo dei saluti. Non era, quello, un pensiero condiviso: Robert Smith era strizzato, prosciugato nell’animo. Aveva perso tutti i suoi amici perché aveva eretto muri chiodati intorno a sé. Il suo era un carattere che lo rendeva odioso, insofferente, capace di essere luce e tenebra da un momento all’altro tanto da spaventare chiunque gli stesse vicino.
Pornography dei Cure
Mentre Pornography dei Cure diventava la risultante di tutte le negatività di cui Robert Smith voleva liberarsi per sempre, la band seguiva l’altalena emozionale del frontman tra una bevuta e l’altra, lo vedeva consumare intere bombolette di spray per capelli e si domandava cosa ci sarebbe stato dopo il disco.
Lo capì il bassista Simon Gallup per primo, che lasciò la band dopo l’uscita del disco e non seguì la virata pop dei Cure che sarebbe arrivata negli album successivi. Sulle spalle, Robert Smith e soci, avevano tre album che erano già grandi: Three Imaginary Boys, Seventeen Seconds e Faith avevano decretato la spirale discendente di una band che si conquistava sempre di più il titolo di voce autorevole del gothic rock britannico.
La storia, oggi, ci insegna che Pornography dei Cure è il disco in cui la band britannica ha dato il massimo nel raccontare il peggio del loro inferno: tracce che sono veri e propri lamenti dark, arrangiamenti che rasentano il delirio e liriche che non lasciano spazio alla speranza. One Hundred Years apre il disco ed è la Geenna in cui tutto trova putrefazione: perfetta come intro e come introspezione, ci trascina di prepotenza nel viaggio visionario e claustrofobico che andremo ad ascoltare.
Non è consentito, in alcuna delle 9 tracce, risalire in superficie. The Hanging Garden è la briglia che ci costringe alla passività soffocante, con Cold assistiamo al nostro stesso funerale e con la title-track che chiude il disco il sopore eterno e dannato troviamo la meravigliosa morte. Non esiste traccia priva di senso. Il basso di Simon Gallup ci perfora ogni momento mentre le chitarre affilate e riverberate ci bullizzano, ci tormentano fino all’assuefazione che ci fa desiderare un bis.
Robert Smith scelse il disco anziché il suicidio
La storia di Pornography dei Cure è anche quella di un’autodistruzione, peculiarità che oggi rende il disco un archetipo del dark che avrebbe invaso l’Europa negli anni successivi. Lo comprendiamo anche dalle dichiarazioni rilasciate da Robert Smith in un’intervista:
“All’epoca avevo due scelte: arrendermi completamente o registrare un disco per buttare tutto fuori. Pensavo che la causa di tutto questo fosse la band. Avevo tutte le infezioni di chiudere. Volevo registrare un ultimo disco di “vaff*” e poi sciogliere il gruppo”.
Un’autodistruzione che la band declinava in un ampio impiego di alcol ed LSD: i tre elementi dormivano nello studio di registrazione e si presentavano in sessione completamente devastati da sonno ed postumi. Agli angoli dei locali si accumulavano i rifiuti delle sere precedenti e il cumulo aumentava giorno per giorno.
Il disco fu anticipato da Charlotte Sometimes che tuttavia non venne inclusa nella tracklist, poi trovò un probabile seguito in Disintegration (1989) e Bloodflowers (2000), capitoli ideali di una trilogia della morte costellata con il romanticismo più letterario e il decadentismo più maledetto. Oggi Pornography dei Cure ha ancora quel rumore, quel lezzo di perdizione che lo ha reso un capolavoro di sincerità.
Mastinu, prima di parlare di suicidio, dovresti almeno informarti un po’ di più. in 35 anni è la prima volta che sento qualcuno dire che Robert voleva suicidarsi. volevi fare colpo? beh l’hai fatto. Ora sappiamo che c’è un’altro pseudo-giornalista che scrive cavolate.Tranquillo sei in buona compagnia. “Pornography”è l’album dark per eccellenza, dark non vuol dire suicidio. La prossima volta studia meglio