La Casa di Carta 5 ci sarà (purtroppo) per Nairobi: perché dovrebbe essere l’ultima stagione

La Casa di Carta 5 dovrà mostrare l'epilogo della rapina, cosa che avrebbe potuto fare già la quarta se non si fosse persa in mille inutili rivoli


INTERAZIONI: 1183

Non c’è alcun dubbio che La Casa di Carta 5 sia già nei piani di Netflix: anche se la piattaforma non ha ancora annunciato ufficialmente il rinnovo, il finale della quarta stagione è la più chiara conferma del fatto che ce ne sarà anche una quinta.

D’altronde lo avevano già anticipato alcuni attori – come l’interprete di Raquel Itziar Ituno – parlando tra le righe di una conclusione de La Casa di Carta 4 che avrebbe lasciato spazio ad una prosecuzione. In realtà si tratta di un vero e proprio finale a metà, visto che la rapina in corso alla Banca di Spagna non è ancora arrivata al suo epilogo: i rapinatori sono ancora all’interno della struttura e il Professore deve ancora svelare in che modo intende tirarli fuori (cosa a suo dire “impossibile”, ma per cui ha evidentemente un piano).

ATTENZIONE SPOILER!

La quarta stagione, infatti, non ha fatto altro che dilatare all’inverosimile i tempi della narrazione creando tra i personaggi delle rivalità interne e dei repentini cambi di fronte che sono serviti semplicemente ad allungare all’inverosimile la durata del colpo. Nel finale de La Casa di Carta 4 sono passati appena 3 giorni dall’ingresso della banda l’edificio eppure è successo di tutto: dal golpe inspiegabile di Tokyo, che prende il comando all’improvviso dal nulla, al passaggio di Palermo da leader a prigioniero della banda, fino alla liberazione di Gandìa da parte dell’ingegnere argentino nel tentativo di recuperare il suo ruolo di capo.

Solo dal quinto episodio in poi, con l’innesto di questo nemico interno imprevedibile senza scrupoli, la trama inizia ad assumere una certa velocità e ad incrementare l’azione, che fino ad allora è andata persa in tante deviazioni inutili e parentesi sentimentali ai limiti della telenovela (di cui si salvano solo gli esilaranti momenti musicali in italiano) tra triangoli e quadrilateri amorosi, promesse di figli in provetta, personaggi di contorno ininfluenti come Arturito.

Un vero peccato, perché la terza stagione, per quanto forzata, era stata invece molto compatta e coerente, con incastri plausibili tra i diversi livelli della narrazione (sono stati almeno 5 i filoni temporali mostrati, ognuno legato a suo modo a quello presente). Nella quarta invece è il caos che domina sovrano, ma soprattutto spinge la trama verso una illogicità di fondo nei suoi principali colpi di scena – e di testa, in primis quelli di un personaggio perlopiù insensato come Palermo. E va bene l’ispirazione tarantiniana nell’impostazione della rapina, ma poi l’intreccio dovrebbe essere all’altezza del riferimento cinematografico.

L’epilogo di questa caotica stagione è un chiaro ponte verso La Casa di Carta 5: nell’ultimo episodio, dopo sparatorie, accerchiamenti e lutti, il Professore riesce, con un meccanismo davvero macchinoso di tunnel, travestimenti ed illusioni ottiche alla David Copperfield, a mandare Lisbona all’interno della banca (e non si capisce perché semplicemente non liberarla e riportarla con sé, ma è solo una delle tante incongruenze della stagione). Questo evento galvanizzante diventa una spinta a portare a termine il colpo, in memoria di Nairobi: l’intera banda e unita dal lutto per la sua componente più sincera, laboriosa ed entusiasta, determinata a diventare di nuovo madre (con un figlio concepito in vitro con il Professore, altra concessione eccessiva al genere soap opera). Il momento più alto e coinvolgente della stagione è stato certamente quello in cui Nairobi viene uccisa a sangue freddo da Gandìa dopo che era stata miracolosamente salvata con un’operazione al polmone da Tokyo – altra assurdità assoluta, il taglio del pezzo di polmone colpito da un proiettile della polizia, operazione fatta col solo supporto di un medico in teleconferenza. Ora è il ricordo di Nairobi a spingere la banda a resistere, ma per il Professore si è parato un altro problema da risolvere: l’ispettrice Alicia Sierra, su cui pende un mandato di cattura per aver rivelato le torture fatte a Rio su ordine della polizia e del Ministero degli Interni, ha scovato il suo nascondiglio ed è lì davanti a lui, faccia a faccia, che minaccia di ucciderlo.

Inevitabile, dunque, che La Casa di Carta 5 arrivi a raccontare l’epilogo del colpo, presumibilmente con altre perdite umane tra i suoi protagonisti prima della fine: gli sceneggiatori hanno raccontato di non avere alcuna remora nell’uccidere personaggi anche molto amati dal pubblico – come è stato per Berlino, Mosca e Nairobi, protagonisti insieme a Oslo di una commovente scena simbolica che gli rende omaggio nel settimo episodio.

A causa della pandemia globale di Coronavirus, molto probabilmente la serie non entrerà in produzione prima della fine dell’anno. Di conseguenza potrebbe arrivare su Netflix, a voler essere ottimisti, non prima della seconda metà del 2021. Una cosa però è certa: se già le prime due stagioni toccavano vette di surrealismo tali da spingere lo spettatore a chiedersi che genere di serie stesse guardando – un incredibile, potente, assuefacente mix di azione, violenza, dramma sentimentale – con la quarta questo taglio della narrazione è diventato assolutamente preminente. Decisamente La Casa di Carta 4 avrebbe potuto concludersi perlomeno portando a compimento il ciclo della seconda rapina, trasformata ora non più in un colpo per stampare i soldi senza rubarli a nessuno come alla Zecca, ma in una sfida al sistema politico e istituzionale che nella sua mission deve ancora essere pienamente chiarita. Il Professore si erge a paladino di una lotta anti-sistema innescata dal rapimento e dalle torture riservate a Rio, ma giustificata soprattutto dall’odio covato verso la polizia per l’uccisione del fratello, ma cosa farà la banda dell’oro della riserva nazionale di Spagna che sarà fuso e rubato? Come fare a giustificare alla folla che osanna questi ladri progressisti vestiti di rosso con una maschera di Dalì il furto della più grande riserva di ricchezza di un paese in crisi e dall’enorme debito pubblico come la Spagna? Che destinazione avrà quel denaro una volta che la rapina sarà conclusa? Sarà destinata in qualche modo ad una vera rivoluzione sociale?

A queste domande avrebbe potuto tranquillamente rispondere la quarta stagione, come ci si aspettava, se non si fosse persa in mille rivoli tra lotte intestine con simil-Terminator e tanti, troppi sentimentalismi. Presumibilmente l’epilogo della rapina avrà un valore pubblico, come all’inizio della terza stagione aveva avuto il versamento di 140 milioni di euro sopra Madrid, un diversivo per creare il caos necessario ad entrare nella Banca ma anche un modo per accaparrarsi il sostegno popolare. Gli emarginati, gli ultimi della società, gli inetti che sfidano funzionari corrotti minacciandoli di pubblicare segreti di Stato: è stata questa la contrapposizione fondamentale che ha guidato la terza e la quarta stagione e La Casa di Carta 5 dovrà svelare e rendere plausibile il vero progetto finale di questa banda di atipici e moderni Robin Hood che ce l’hanno con la finanza internazionale, con la Banca Centrale Europea e le sue politiche monetarie, che cantano romanticamente Bella Ciao e inneggiano alla resistenza contro il fascismo.

Nella terza stagione c’è stato un bel momento di metà televisione in cui il Professore mostrava ai suoi compagni le immagini di persone che in tutto il mondo hanno usato le maschere de La Casa di Carta durante le proteste di piazza come simbolo di una rivendicazione di diritti civili e sociali. Ecco, se è quello lo spirito che anima la banda, il finale della rapina dovrà essere all’altezza di quei valori nobili. E per evitare un nuovo effetto dilatatorio, La Casa di Carta 5 dovrebbe proprio essere l’ultima, la stagione conclusiva. Solo così la serie riuscirà in parte a riscattarsi del pasticcio di scrittura che è stato propinato al pubblico con la quarta e solo così verrà ancora la pena guardarla.