Come fa Michela Murgia a pensare che i testi di Franco Battiato siano “minchiate assolute”?

Anche limitandosi alla sola analisi dei testi di Battiato non si può non riconoscere la sua ricchezza espressiva, a volte narrativa, biografica legata ai temi dell’amore, dei legami, della terra siciliana

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Eh no, stavolta Michela Murgia non può proprio trovarmi d’accordo. “Battiato è considerato un autore intellettuale e invece ti vai a fare l’analisi dei suoi testi e sono delle minchiate assolute. Citazioni su citazioni e nessun significato reale. Tolti due testi, forse”. Questa sua recente affermazione mi ha davvero sbalordito.

Sono certa che Franco non amerebbe definirsi un intellettuale, tanto meno uno snob con il gusto puramente estetico delle citazioni. Se la sua curiosità artistica, la sua spinta a sperimentare, l’amore per la musica d’avanguardia, l’aver superato i limiti e i confini di un certo modo di intendere e strutturare la canzone pop possono risultare destabilizzanti per qualcuno, penso che la sua carriera artistica parli semmai di un nomadismo musicale che lo ha portato a rompere con le tradizioni creando capolavori. Un nomadismo anche geografico che lo ha spinto verso una ricerca spirituale prima ancora che  musicale, che lo ha portato a distillare attraverso la “forma canzone” (e non solo… ricordo la sua Messa arcaica, ad esempio, o Gilgamesh) un vasto patrimonio di esperienza e conoscenza. Poi è riuscito ad operare un miracolo in termini di condivisione e diffusione dei suoi studi: da una parte ha intercettato una componente più attenta che trova una sintonia con quella ricerca e se ne sente in qualche modo seguace, dall’altra un pubblico più vasto, di persone curiose e sensibili, che pur non cogliendo appieno le “citazioni su citazioni”, ne subiscono il fascino poetico,  per quel gusto – di certo non comune- di intendere la musica come mezzo di espressione e non come puro mezzo di intrattenimento. Nei suoi lavori compaiono testi di poeti arabi, latini, persiani, orchestre sinfoniche, gruppi omogenei di musicisti provenienti dalle aree più disparate del mondo, strumenti etnici, cori e canti di tradizione, testi mistici e filosofici.

Ma anche limitandosi alla sola analisi dei testi non si può non riconoscere la sua ricchezza espressiva, a volte narrativa, biografica legata ai temi dell’amore, dei legami, della terra siciliana (il prossimo spettacolo che porterò in scena con Alessandra Fallucchi e Stefano Fresi è ispirato proprio a “La Stagione dell’Amore”). Ancora più sofisticata è la sua scelta di usare la parola come mero suono, funzionale a un senso più alto che la parola non comprende. Senza elencare una serie di esempi  – ce ne sarebbero centinaia – ne basta uno su tutti: la meravigliosa sinestesia di “un oceano di silenzio”, inizio di “L’Oceano di Silenzio”, che si sviluppa come un lungo respiro sorretto da vocali sonore. Potrebbe non avere nessun “significato reale” per chi lo affronta con “spirito logico” eppure chi la ascolta lo comprende appieno e forse se ne arricchisce, come di fronte a un “contenuto morale”. È lui stesso, d’altra parte a ripetere, che le canzoni non vanno lette. Vanno ascoltate. Sono d’accordo. La forma di quel dialogo tra Michela Murgia  e Chiara Valerio è provocatoria, lo capisco, ma non mi sembra affatto giusto tentare di svilire un’opera importante della cultura musicale italiana e il  merito di un artista geniale come Franco, che ha saputo circondarsi di collaboratori eccellenti come la  citata Fleur Jaeggy o Manlio Sgalambro, autore de “La Cura”, il cui testo nel dialogo in questione è stato erroneamente attribuito al cantautore.