Era il 20 marzo 1976 quando il futuro sbandieratore della nuova ondata nu metal dei 2000 venne al mondo: Chester Bennington dei Linkin Park era proprio questo, e non c’è ipocrisia in questa verità. Il nu metal dei 2000 erano i Linkin Park che dal primo singolo Papercut diedero ossigeno a una generazione che già sentiva la mancanza degli anni ’90.
I Deftones, i Korn, i Limp Bizkit e i nascenti POD erano nomi già importanti, ma mancava ancora qualcosa. Hybrid Theory ce lo meritavamo, ora che pensiamo a come sia cambiata la musica da quel momento.
Ieri Papercut, oggi One Step Closer e domani In The End, un brano perfetto per le radio ma anche per le nuove generazioni di passivo-aggressivi che volevano mettere un segno di spunta alla rabbia per tirarla nuovamente fuori dopo i vari manifesti che il grunge aveva affisso nei nostri crani, in quei tormentati anni ’90.
Chester Bennington era la rabbia che non sapevamo di avere, ma anche il dolore che non sapevamo di condividere. In The End, con quella introduzione eseguita al pianoforte aveva tutti gli elementi per entrare nelle viscere, complice quel ritornello sofferto e quello special addolorato.
Eppure Chester Bennington, inizialmente, non amava quel brano. Lo disse a chiare lettere in un’intervista:
“La scelta dei potenziali singoli non è una faccenda che mi riguarda. Ho imparato la lezione con In The End, che se fosse stato per me non avrei nemmeno inserito nel disco. Adesso la adoro, ma ai tempi non riuscivo proprio ad apprezzarla”.
Abbozzata nel 1999 da Mike Shinoda, In The End è anche la storia della deposizione delle armi dell’orgoglio tra lui e Chester: entrambi erano troppo fieri di sé per collaborare alla scrittura delle canzoni, ma era giunto il momento di pensare al risultato.
In mezzo raccontarono la falsità, la tossicità dei rapporti e l’ingratitudine, un messaggio evidente nel ritornello: “Ci ho provato e sono andato lontano, ma alla fine non importa“, e questa è la rassegnazione al veleno dei Linkin Park, e lo stesso Chester nel testo cantava di tutte le volte in cui si era tenuto le cose dentro.
C’era quella stoccata diretta, poi, nello special: “Ho riposto in te tutta la mia fiducia, più in fondo che potevo“, ed ecco l’ingratitudine di cui abbiamo appena parlato.
In un primo momento – nel tempo in cui i primi brani di Hybrid Theory erano raccolti in una demo – In The End si chiamava Untitled, un titolo che nei primi mesi del 2000 divenne ciò che oggi conosciamo. A Mike Shinoda dobbiamo l’intuizione di quei rintocchi al pianoforte che aprono il brano come se fosse un canto funebre e a Chester Bennington rendiamo “grazie” per aver dato voce a uno dei tanti inni generazionali di cui ora disponiamo.
Non decisamente una canzone di rivalsa né di sfogo: Shinoda disse che il brano si collocava nel mezzo, senza schianti di negatività né positività. “Amo questo brano proprio per questo” disse Mike con fierezza.
Chester Bennington dei Linkin Park si spense il 20 luglio 2017 dopo aver militato nei Dead By Sunrise, nei Grey Daze e negli Stone Temple Pilots e dopo averci dato una nuova voce.