Proviamo a sorridere, vah.
Per questioni di lavoro sono su tre social. Facebook, dove oggettivamente mi sento più a mio agio, perché è quello che lascia più spazio alle parole, il mio campo di gioco, Twitter, che in teoria dovrebbe essere quello più coerente con l’idea di comunicazione, ma che per la sua stringatezza mi fa davvero cagare, e Instagram, il più contemporaneo, ma anche quello a me più distante, perché delle fotografie, mie e degli altri, onestamente, non mi interessa nulla.
Ci sono per questioni di lavoro perché, mi dice Mattia, il mio partner in crime che mi aiuta a capire come muovermi in rete, oltre che a ideare e realizzare tutte le nostre follie, non posso non esserci. Non esserci, mi ha spiegato, equivale a non essere. E probabilmente ha ragione. Sui social, ormai, succedono più cose che nel mondo fisico, lo vedo, lo leggo, lo sento. Quindi ci sono. A fatica, certo, perché non è che mi viene proprio naturale stare su tutti questi social. Ma ci sono. Non sono su Tik Tok, perché Mattia non è stato abbastanza convincente, evidentemente. Anzi, no, non mi ha neanche proposto di entrarci, forse perché mi conosce molto bene o, più probabilmente, perché sa che la mia reputazione, parlo della reputazione online, non se ne avvantaggerebbe. Credo che durante i giorni convulsi di Sanremo, mentre mettevamo su quel mezzo miracolo di Attico Monina, con Optima e con i ragazzi di The Loops, oltre che con i tanti che lavoravano con noi, me lo abbia detto, vatti a ricordare cose accadute solo un mese fa ma seppellite nei miliardi di input che ci sono piovuti addosso nelle settimane successive.
Sono quindi sui social, ma non posso dire di esserci con la stessa costanza. Non su tutti e tre (sono anche su Linkedin, in realtà, ma non credo sia esattamente un social). Sto molto su Facebook, dove in effetti raggiungo più gente e dove ho anche risultati oggettivamente migliori. Ci sono entrato prima di conoscere e iniziare a lavorare con Mattia, in realtà, su spinta di Marina, e ne sono diventato presto sindaco, maestro Jedi, insomma, molto attivo su più fronti. Sto poco su Instagram, quasi sempre con post che si somigliano tra loro, la serie di foto #Attitudine, prima, quelle mie con gli artisti che incontro, poi, gli screenshot di post che ritengo per me importanti, sempre. Sto a sprazzi su Twitter, dove magari passo qualche ora consecutiva, magari commentando un programma tv, e poi non rientro per giorni.
Del resto gestire Twitter mi è più difficile che gestire gli altri social.
Vivo in casa con quattro figli, mia moglie Marina e, spessissimo, mia suocera Franca. Lo sapete. E lo sapete perché in questi giorni di isolamento ve lo sto raccontando quotidianamente, cercando di fare una sorta di diario dei giorni del contagio, non so quanto utile, ma non credo sia rilevante deciderlo ora. La presenza costante dei miei figli a casa, fa sì che io mi ritrovi spesso a condividere spazi con loro, dal divano allo studio dove in genere lavoro da solo, ma dove in questi giorni mi trovo a lavorare a stretto contatto con mia moglie, impegnata nello smart working. Condividere gli spazi, penso a quella inutile quanto simpatica cosa del #IoRestoACasa messa in piedi dal mondo dello spettacolo, inutile perché a casa poi ci siamo dovuti rimanere per decreto e inutile perché fatta da gente che, nell’immaginario comune non ha case, ma ville, e non ha certo le stesse difficoltà dei poveri Cristi a condividere spazi stretti, sovraffollati, scomodi, brutti, oltre che a rimanere a casa senza dover andare a lavorare, condividere gli spazi, dicevo, è una faccenda complessa, chi come me da sempre lavora a casa ben lo sa.
Mi sono abituato, in tempi non sospetti, a scrivere quando gli altri dormono, la mattina prestissimo, o la notte, mi sono abituato a isolarmi mentalmente mentre intorno a me va in scena la sagra del patrono con la fanfara e la processione del parroco e dei fedeli, mi sono abituato, in pratica, a lavorare in situazioni non esattamente congeniali al fatto che, in teoria, dovrei essere concentrato su quello che scrivo, nel silenzio più totale. Quando anni fa girava quella pubblicità del Nescafè che faceva vedere lo scrittore che si beveva la tazzona di caffè nel suo studio, di notte, un bel paesaggio fuori dalla finestra, la penombra nella stanza, ridevo sempre come un pazzo, perché nel mentre io facevo il suo stesso lavoro in uno scenario che mi ricordava, parlo di immagini che avevo visto nei tg, la Sarajevo sotto i bombardamenti.
Condividere gli spazi, ribadisco, è piuttosto complicato. Specie se finisci con lo smartphone su un social, Twitter, che a differenza degli altri non pratica nessun tipo di censura.
Fermi tutti, non iniziate a rompere le palle. Non sono per le censure. Sono quello che ha scritto Venere senza Pelliccia, sulla desessualizzazione della musica al femminile in Italia, sono quello che ha fatto il monologo Cantami Godiva, sul medesimo tema, sono quello che a Matera, era il 14 dicrembre 2018, ha fatto uno speach al TedX sempre su come la desessualizzazione sia dannosa, perché si tolgono immagini e parole che raccontano corpi, lasciando tutto il territorio agli stereotipi, sicuramente più dannosi (lo trovate qui). Ero quello, per capirsi, che subito dopo scienziati che parlavamo di genoma o di astrofisica ha portato su quel palco le foto del culo di Nicki Minaj, ripeto, non sono per le censure.
Era una constatazione, la mia, non un giudizio.
Twitter, a differenza degli altri social, non pratica censure. Infatti su Facebook mi hanno più volte bloccato il profilo per aver postato la copertina del libro Venere senza Pelliccia, che mostra una foto di Romina Falconi che rifà alla sua maniera la Venere di Milo, alla sua maniera, quindi ironica e pop, ma pur sempre a zizze di fuori, e le zizze di Romina, se avete visto la copertina in questione o vi è mai capitato anche solo di incontrarla al supermercato, intabarrata in uno dei suoi cappotti eleganti non potete non esservene accorti, si notano. E sono stato bloccato anche per aver postato articoli che avevano come foto di corredo la copertina dell’ultimo album di Amanda Palmer, santa subito, There Will Be No Intermission, copertina nella quale appare, a mo di statua arcangelomichelesca, se ne sta sopra un cippo, la spada impugnata pronta a infilare Lucifero, ma completamente nuda, con tanto di peli pubici in bella evidenza, chi la conosce ben sa come Amanda non apprezzi la depilazione, ci ha anche fatto su una hit, Map of Tasmania, a riguardo.
Facebook pratica censure, Twitter no, è un fatto.
Lo sto raccontando senza lasciarmi andare a giudizi che non sarebbero comunque a favore della censura, ritengo che tette e peli pubici dovrebbero essere sdoganati, che sia un bene togliere ogni tipo di sovrastruttura dai corpi, femminili come maschili, andatevi a cercare le opere (il testo di Cantami Godiva, il monologo di cui sopra, andato in scena a Officina Pasolini, a Roma, il 12 dicembre 2018, due giorni prima del TedX di Matera, e in entrambi i casi con Ilaria Porceddu a dividere il palco con me, a Roma anche con la presenza di Patrizia Laquidara, Noemi e La Rappresentante di Lista, il testo di Cantami Godiva lo potete trovare nel libro uscito l’anno scorso per Vydia “I piedi nudi di Amanda Palmer, i capelli rossi di Elizabeth Siddal”, così, per dire) o i video del TedX di cui parlavo prima, non è questa la sede di parlare di corpi.
O non seguendo questa suggestione, perché di corpi andrò in qualche modo a parlare, il titolo immagino ve lo abbia suggerito e magari, visto che stiamo vivendo tutti questa strana situazione di isolamento surreale, e visto che i corpi non sono stati sdoganati da quella pruriginosità cui facevo cenno poche righe fa (quanti di voi sono corsi a cercare la foto della copertina di Venere senza pelliccia per vedere cosa intendessi quando dicevo che le tette di Romina Falconi si notano, confessatelo?!?), qualcuno lo avrà letto solo per capire di cosa stessi parlando quando parlavo di tette.
Comunque, parlavo di Twitter e di come Twitter non pratichi censure e di come entrarci soprattutto in questi giorni di surreale convivenza, siamo sempre lì, sia complicato. Questo perché uno dei miei amici (si dice amici anche per Twitter? O le poche parole che Twitter ci concede non sono abbastanza per parlare di amicizia?) credo si un discreto appassionato di pornografia. Nello specifico, non entro spesso in Twitter, ma abbastanza per essermene fatto una idea, anche perché su Twitter ho una rete di contatti assai più ridotta che su Facebook, credo sia un appassionato di pornografia sudamericana, o comunque spagnola, non di quella americana, né di quella italiana. Lo so perché, ci ho messo circa ottomila battute per arrivare al punto da cui questo articolo sarebbe dovuto partire, capitemi, vivo isolato, ogni volta che apro Twitter, nella mia timeline ci sono simpatiche signorine dai nomi latineggianti e dai lineamenti latineggianti, spesso anche vagamente sovrappeso, che mostrano il culo o, in alcuni casi, maneggiano cazzi. Twitter funziona così, questo il punto di partenza di cui sopra. Lo apri e zac, ti ritrovi una tizia che mostra il culo, nello specifico il buco del culo, che occupa militarmente lo schermo del tuo smartphone. Ovvio, quindi, che ci entri sempre con cautela. Non perché abbia nulla contro i buchi di culo, in generale o delle tizie sovrappeso dai lineamenti latineggianti seguite dal mio amico, ma avrei difficoltà, immagino, a spiegare ai miei figli, specie i due gemelli di otto anni, il perché ci sia una tizia sconosciuta che sta facendo vedere il buco del culo dentro il mio smartphone, questo sì. Se ci sono di mezzo cazzi, poi, la faccenda si farebbe ancora più complicata, quindi nell’incertezza, ci entro di rado, sempre dopo aver controllato che non ci sia nessuno di loro nei pressi.
Sul perché il tizio appassionato di pornografia latinoamericana, chiamiamola frettolosamente così, sia tra i miei amici, chiamiamoli frettolosamente così, non ho molto da dire. È uno dei miei fan, incredibile a dirsi, ne ho anche io, mi ha chiesto di seguirlo e mi sembrava poco carino non farlo. Cancellarlo, ora, sarebbe credo anche peggio, perché mi dipingerebbe come uno che se la tira, tesi che in effetti spesso avvallo, specie quando specifico a chi mi critica che ritengo le loro opinabili opinioni irrilevanti, andando a avvantaggiarmi dell’ormai famoso slogan “uno non vale uno”, ma che non risponde al vero, non almeno nei suoi confronti. Spiegargli che lo cancello perché è appassionato di pornografia latinoamericana, lo confesso, mi imbarazza. Anche perché, confesso che sono andato più volte a controllare la sua pagina, il suo profilo, o come diavolo si chiama su Twitter, e spesso tra un cazzo e un culo ci sono miei tweet, ritwittati, fatto che, lo confesso, mi fa davvero sorridere, non posso negarlo. Un buco di culo, un mio tweet, due trombate, gang bang, un mio tweet, e così in loop.
Preferisco quindi negarmi il piacere, sempre che sia tale, di entrare su Twitter mentre sono circondato da bambini o conoscenti, e morta lì.
Del resto, lo confesso, tanto siamo qui a dirci cose senza poterci vedere in faccia chissà ancora per quanto, mi capita spesso di andare a vedere il profilo di Valentina Nappi, non tanto per vedere lei maneggiare cazzi o mostrare il culo, spesso allo stesso tempo, non sono particolarmente appassionato di pornografia, probabilmente per una faccenda anagrafica o forse per la mia educazione cattolica, vallo a sapere, ma perché vedere cazzi e culi alternati alle sue esternazioni politiche è davvero qualcosa di avvincente, incredibile, al limite dello strepitoso.
Ciò nonostante non la seguo, perché già è faticoso gestire il mio contatto, gestire anche lei che del settore è protagonista, sarebbe un po’ complicato.
Non seguo Valentina Nappi su Twitter. Cioè, la seguo senza seguirla, quando mi ricordo.
Seguo invece su Instagram alcune artiste, e sto parlando di cantanti, non perché io non ritenga necessariamente tali le attrici porno, ripeto, non è il mio campo di gioco, non saprei esprimermi a riguardo, seguo alcune cantanti, che in qualche modo riescono a aggirare le censure di questo social totalmente basato su fotografie e video, vedi alla voce Storie, regalandoci sprazzi di curiosa felicità, o quantomeno, siamo isolati in casa, la zona rossa, arancione o come la dobbiamo chiamare, estesa a tutto il territorio nazionale, di distrazione, Dio la benedica.
Una è ovviamente Amanda Palmer, la mia stima nei confronti della quale è totalizzante, come raramente mi è capitato nei confronti di un artista, penso a David Foster Wallace e pochi altri,un’altra è Tove Lo.
È di lei, Tove Lo, cantautrice svedese, che vorrei parlarvi, arrivati a questo punto. Consapevole, sono come tutti stanco, figuriamoci, di esserci arrivato dopo circa dodicimila battute, il corrispettivo di sei articoli medi online, circa sei, sette pagine di libro, insomma, una infinità di parole, per capirci. Ma era di lei, di Tove Lo, che volevo parlarvi fin da principio, sappiatelo, per altro per andare poi a chiudere con una artista indipendente italiana, pensa te come a volte uno si ritrovi a fare un giro panoramico per arrivare a un paesaggio che, non fosse stato preso dalla vita di tutti i giorni, si sarebbe tranquillamente potuto trovare sotto casa.
Ecco, diciamo che nel mio giro panoramico è il momento di parlare di Tove Lo, artista che vi consiglio senza se e senza ma. Per due ragioni, principalmente, la prima è che ha una capacità di scrivere canzoni che mettano sullo stesso piano ritmo e sensualità, da una parte, e malinconia e esistenzialismo, seppur un esistenzialismo un filo nichilista, dall’altra, e mi sembra già tanto. Anche perché tutti questi elementi, apparentemente inconciliabili, li mette sul medesimo piatto sotto forma di canzone elettropop di altissimo livello, hit internazionali di quelle che ti fanno apprezzare anche musica che non ha avuto il piacere di passare da una chitarra, un basso e una batteria, e sapete come io sia appassionato di questi specifici strumenti. Altro motivo, ma già ve ne è ho posto uno di fronte direi più che sufficiente, è proprio relativo all’uso del corpo che Tove Lo, non dimentichiamolo artista svedese, fa.
Ne ho già scritto altre volte, e a lei è dedicato sia un passaggio del mio Venere senza Pelliccia, del mio monologo Cantami Godiva che del mio TedX, non intendo dilungarmi di nuovo su quanto lei abbia fatto in passato.
Vi basti sapere che il suo logo, la O del suo nome, è una vagina stilizzata.
Vi basti sapere che per promuovere i suoi album, tutti bellissimi, da Queen of the Clouds, del 2014 al recentissimo Shunshine Kitty, del 2019, passando per Lady Wood e Blue Lips, rispettivamente 2016 e 2017, è solita tirare fuori cortometraggi, piccoli film di fiction, neanche troppo corti, in cui in genere si dilunga su sue dissertazioni sulla sua visione del sesso e della corporeità, andatevi a cercare Fairy Dust, Fire Fade e Blue Lips, per capire di cosa parlo.
Vi basti sapere che Tove Lo è solita esibirsi in topless per almeno una piccola porzione dei suoi live, foto di lei che si alza la micro t-shirt le trovate spesso su Instagram, davvero abile a aggirare la censura, Tove Lo, al punto di essere diventata insieme a Miley Cyrus una delle principali testimonial del movimento Free The Nipple, per la parità di diritto delle donne di mostrare i capezzoli rispetto agli uomini.
Vi basti sapere che la nostra ha dichiarato di essersi svegliata completamente nuda e coperta di glitter nel tour bus di Charli XCX, altra artista che in quanto a uso del corpo in musica è cintura nera, che ha inciso un singolo che si intitola Disco Tits (dove Tits sta per Tette, sì, avevate capito bene, amici non anglofili) e che la sua ultima canzone, prodotta da Finneas, il produttore fratello di Billie Eilish, si chiama Bikini Porn.
Ecco, Bikini Porn (qui il link del video), la canzone, credo andrebbe sparata dagli altoparlanti delle auto dei vigili in giro per le nostre città (altroché avvisi di non uscire di casa se non per necessità, quello lo abbiamo capito fin troppo bene).
Un sano inno a ballare nudi in casa, bevendo champagne. Magari non esattamente un consiglio praticabile per tutti, ma sicuramente meglio di uno dei tanti passi di Nostradamus o Paolo Fox che girano adesso sui vari gruppi di Whatsapp. Vedetevi pure il video, lei non è nuda, ma ovviamente in ristretti bikini, e male non fa, per maschi e femmine in ascolto. Io l’ho fatto, quando però i bambini erano già a dormire, lo confesso.
E siccome questa faccenda del vedere video sulle smart tv è sicuramente uno dei leit motiv di casa mia in questi giorni di isolamento, non volendo dar troppo da lavorare agli ormoni del mio figlio adolescente, ma volendo al tempo stesso provare a ipotizzare un mondo in cui la routine diventi o rimanga fatta di gente chiusa in casa, isolata, voglio chiudere questa mia ennesima pagina di diario dal contagio suggerendovi il video del nuovo attesissimo (sicuramente da me) singolo di Micol Martinez, Mai io Mai, geniale cantautrice milanese, ma anche scrittrice,attrice, sceneggiatrice, artista a tutto tondo, di nuovo sulle scene dopo anni con l’imminente I buoni spropositi. Una canzone (questo il link del video, il video l’ho visto di giorno, non si corrono rischi), e di conseguenza un video, che è a sua volta un inno al girl power, come nel caso di Tove Lo non esattamente pensato come tale, quindi più nei risultati che nelle intenzioni. Una canzone che ti si inchioda alla testa, che brava Micol, e che spinge a voler andare avanti, magari nello specifico da una storia andata a male, ma metaforizzando anche da un periodo che vogliamo lasciarci alle spalle, come questo.
Un ritorno, quello di Micol Martinez, che mai come in questi giorni ci risulta necessario, troppi anni passati dal suo precedente lavoro, La testa dentro, otto addirittura. E già che parliamo di corpi, vi consiglio di andare a recuperare anche il video di Alveare, video nel quale Micol si faceva tavola e piatto su cui mangiare, cantante, certo, ma anche attrice, come ho già avuto modo di sottolineare. Quando tutto questo sarà archiviato, spero ovviamente presto, non perdetevela dal vivo, merita davvero, fidatevi di chi vi sta tenendo compagnia mentre siete reclusi.
Reclusione.
Se dopo aver visto Bikini Porn di Tove Lo e Mai io Mai di Micol Martinez, nonostante la reclusione, non vi è tornata un po’ di gioia di vivere, però, beh, allora non so davvero come potrei aiutarvi. Probabilmente siete morti ma non ve ne siete accorti. Potete sempre fare una controprova, andate a farvi un giro sul profilo Twitter di Valentina Nappi, credo abbia una sua personale idea di come alzare l’umore delle truppe, se non funziona neanche lei, beh, significa che la faccenda del tunnel di luce bianca era una cazzata, e che la vita oltre la vita è come stare chiusi in casa mentre fuori imperversa una epidemia.