Franco Mussida, un artista che ha segnato una delle stagioni più importanti della nostra musica

Franco non ha portato la musica solo sui palchi di tutto il mondo ma anche negli spazi chiusi e oscuri delle carceri e del cuore


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Saggio e geniale, poliedrico e passionale, c’è un mago nel panorama musicale italiano. Riconoscibile per la lunga chioma bianca, come quella di Gandalf, questo musicista – al pari dello ieratico personaggio dei racconti di Tolkien – ha tante vite nel suo passato, e come lui ha scelto di usare i suoi poteri per il bene degli uomini. Il suo nome è Franco Mussida, un artista che ha segnato una delle stagioni più importanti della nostra musica, anima creativa e membro fondatore  della Premiata Forneria Marconi, la prima rock band “progressive” che negli anni Settanta ha saputo competere con i mostri sacri inglesi e americani trovando  pubblico e fans anche all’estero. Compositore, paroliere, chitarrista, saggista, docente, sperimentatore, teorico della musica, Mussida ha messo il proprio sigillo su un infinito numero di progetti e di esperienze non solo musicali. Alcune delle attività più affascinanti le ha vissute lontano dai palcoscenici e dalle sale di registrazione, lavorando con la musica negli ospedali, nei centri sociali e soprattutto nelle carceri, con progetti storici come “Musica contro la sofferenza” , promuovendo lo studio e l’ascolto della musica come strumento di terapia e integrazione nelle aree disagiate. Nasce così nel’87, con l’ausilio del CPM, la scuola per musicisti che dirige da 35 anni a Milano, un laboratorio musicale all’interno di un carcere  rivolto ai detenuti tossicodipendenti, e per circa sette anni sperimenta il potere terapeutico ed emozionale  della musica che sarà esteso a diverse strutture detentive in Lombardia attraverso altri laboratori. Personalmente devo a Franco la mia decisione di diventare musicoterapeuta, decisione presa probabilmente dopo averlo seguito in uno dei suoi incontri in carcere e dopo aver compreso quanto lui sostiene ancora oggi , e cioè che “ Il futuro della musica è meraviglioso, di lei conosciamo ancora poco”.
Da poco Mussida ha concluso un nuovo progetto sociale, denominato “CO2 – Praticare l’ascolto emotivo consapevole della musica”, un’attività realizzata all’interno di 12 carceri italiane tra le quali Opera e San Vittore a Milano, Rebibbia a Roma e Secondigliano a Napoli. Articolato in sedute di ascolto collettivo di musica strumentale, sotto la guida del docente, il progetto mira a sviluppare la cultura musicale dei detenuti, ma soprattutto a far emergere attraverso la musica il mondo delle emozioni, per imparare a riconoscerle e ad utilizzarle come strumento di conoscenza di se’ e di riscatto dalla propria condizione. Sviluppato, a partire dal 2013, in cinque fasi – educazione preliminare, ascolto libero, ascolto emotivo consapevole, ricerca della consolazione, e nuovo percorso sperimentale di ascolto consapevole – il progetto comprende anche attività di archiviazione dei materiali audio, attività di scrittura creativa direttamente ispirata dalla musica, sonorizzazione di ambienti all’interno degli istituti di pena e molto altro. Le reazioni dei partecipanti all’ascolto guidato di un’amplissima selezione di brani – così come emerge dai resoconti editi direttamente dalla Mussida Music Publishing – sono state raccolte e classificate in modo sistematico così da costituire uno strumento prezioso per conoscere la  realtà carceraria ma soprattutto l’umanità di chi la deve vivere. Le risposte dei detenuti circa lo stato d’animo indotto da ogni singolo brano musicale (mi rilassa, mi rallegra, mi intristisce, mi porta al passato, mi arricchisce, mi irrita, mi porta lontano, mi fa perdere energie, mi dà amore…) risultano sorprendentemente allineate anche se provenienti da strutture e popolazioni carcerarie molto diverse. Questo a confermare l’idea che la musica è un linguaggio universale, e che con essa è realmente possibile indagare l’animo e costruire qualcosa di buono e di utile per la vita degli uomini. “Ho sempre usufruito della musica come sottofondo della mia vita– scrive uno dei detenuti che partecipano al programma sperimentale – ma nel più profondo dolore ne sono stato incapace e mi rifugiavo nel silenzio. Poi succede, accade, inaspettata una nota o una melodia che trascina il tuo subconscio, lo slega e fa respirare i tuoi occhi”. “Ora in questa detenzione non ho la musica che vorrei -dice ancora il detenuto – ma grazie al progetto e alla disponibilità del  docente sono riuscito a scaldarmi in piccoli angoli di libertà sonora”. Quali valenze possa ancora avere un’esperienza di questa intensità non è possibile sapere, perché il viaggio nel mondo della musica è qualcosa di straordinario e d’infinito. La cosa certa è che il livello di gradimento dei partecipanti, documentato dai resoconti del progetto – è in netta crescita in tutti gli istituti di pena. È un’altra bellissima intuizione  nella carriera di Franco quella di  aver portato la musica “un generatore di emozioni, sentimenti e stati d’animo” non solo sui palchi di tutto il mondo ma anche  negli spazi chiusi e oscuri delle carceri e del cuore.