Leonardo Venturi, originario di Genzano, un piccolo comune della provincia di Roma, per la sua passione per l’arte e il cinema è entrato, a 14 anni, a far parte della giuria di Giffoni Film Festival e, da allora, non l’ha più abbandonata tanto da essere scelto come uno dei giovani “ambassador” del cinquantennale del Festival: “Sono partito lo scorso settembre, subito dopo aver compiuto 20 anni. Finito il liceo non riuscivo a trovare una realtà educativa che mi stimolasse a continuare i miei studi nel campo artistico. Perciò ho deciso di seguire il mio istinto e di partire per l’Inghilterra per intraprendere una laurea triennale in Arti Performative a Leicester, una cittadina al centro del Regno Unito”.
Hai provato a lavorare in Italia, prima di decidere di partire? Perché la scelta dell’Inghilterra?
“Si, ho provato contemporaneamente a studiare e a lavorare in Italia. Combinare le due realtà nel nostro Paese non è per niente facile, perché non si è agevolati dai nostri contratti lavorativi. Ho tentato di studiare Letteratura Musica e Spettacolo per alcuni mesi all’Università Sapienza di Roma, ma l’eccessiva natura accademica del corso di laurea non mi ha mai stimolato più di tanto. Ho sempre voluto “sporcarmi le mani” in campo artistico, provando costantemente ad uscire dalla mia comfort zone e tentando di essere sempre la versione migliore di me stesso. Per come avevo immaginato la mia formazione, nonostante ritenga fondamentale la teoria, avevo bisogno di un approccio più pratico e sperimentale alla materia. Per un anno sono andato in giro per il Paese per tentare di trovare un percorso adatto alla mia visione, non trovando nulla. È incredibile pensare che in Italia non esistano lauree riconosciute in Arti Performative, ma solo diplomi accademici spesso equiparabili a tali, assegnati da tradizionali Accademie teatrali con un processo di selezione estremamente complesso che non esalta l’individualità del singolo”.
E adesso come ti trovi?
“A Leicester mi trovo bene, di certo non è la cosmopolita Roma, ma ho sviluppato un diverso stile di vita più sedentario che mi ha portato a riflettere maggiormente sulla mia personalità e sulla ragione delle mie scelte. La società inglese è totalmente diversa. Devo ammettere che all’inizio ho avuto difficoltà a comprenderla a pieno, ma lentamente ci sto entrando a contatto e sto scoprendo sempre di più. L’adattamento è un processo lungo e a volte doloroso e il tempo di sicuro mi aiuterà. Ho anche un lavoro part-time che mi permette di conciliare perfettamente lo studio con il lavoro e che mi fornisce un introito necessario per il mio sostentamento e per i miei studi”.
Quali sono le ragioni per restare e quelle per tornare?
“Sicuramente il territorio britannico è molto stimolante dal punto di vista sociale ed educativo. Lo studente è al centro di tutto ciò che il sistema universitario offre e comprende. In Italia spesso e volentieri mi sentivo solamente una matricola, senza capacità decisionali all’interno dell’istituzione. Qui lo studente è ascoltato e supportato, a prescindere dal suo background culturale o dalle sue problematiche personali. Le strutture sono ottimamente mantenute e totalmente a disposizione dello studente. Avere degli spazi dove poter andare a provare le proprie performance 7 giorni su 7 per me è una risorsa indispensabile. Si respira un’internazionalità che ti spinge a sviluppare costantemente il tuo modo di comunicare con la persona che ti sta accanto. Nonostante ciò, di ragioni per tornare ce ne sono tante. in primis, so che sembra una sciocchezza, ma sento la mancanza del sole mediterraneo che inondava le mie giornate romane, mentre qui quest’ultime tendono ad essere spesso molto grigie. Dal punto di vista artistico e culturale inoltre, l’Italia non ha nulla da invidiare a nessun altro Paese del mondo. In Inghilterra ho difficoltà a spostarmi tra le varie città per partecipare ad eventi culturali a causa dell’alto costo dei mezzi pubblici, mentre a Roma le innumerevoli iniziative sul territorio erano sul palmo della mia mano e facilmente accessibili”.
Per trattenere i giovani in Italia, cosa occorrerebbe?
“Un posto dove accogliere le loro idee. In Italia sono poche le strutture al passo con i tempi e estremamente costose per un italiano medio. Bisogna creare realtà adatte ad una gioventù che è in continuo cambiamento, che ha necessità di nuovi stimoli provenienti da realtà che il nostro paese purtroppo non vuole riconoscere, perché ancora radicato in un tradizionalismo non più necessario. I progetti culturali portati avanti dai giovani non vengono accettati perché ritenuti troppo “inesperti” o non considerati validi perché non rientrano in degli schemi di pensiero obsoleti. “Se non hai conoscenze in Italia, non vai da nessuna parte”, questa frase mi risuona in testa da tempo ed è triste realizzarne la verità. Sono consapevole del fatto che sia un processo lento e tortuoso, ma dobbiamo assolutamente remare contro questa situazione e iniziare a costruire i primi mattoncini del cambiamento. La sperimentazione e l’accettazione devono essere il nostro pane quotidiano. I giovani artisti non dovrebbero andare a studiare in un altro paese solo per respirare aria nuova, ma alla fine sono costretti a partire per allontanarsi dalla nostra asfissia distruttiva. Non tutti rientrano in degli schemi prestabiliti dalla società e non tutti vogliono essere solo cantanti, ballerini, attori o fotografi. Dovremmo iniziare a superare queste barriere e immaginare un nuovo rinascimento in campo artistico che parta da un supporto totale dei giovani italiani che hanno una voce e che urlano da tempo, ma nessuno è disposto ad ascoltarli”.
Quali sono i servizi che hai a disposizione?
“La sanità pubblica funziona bene, ho una clinica nel campus universitario ed è comodissima. Essendo i mezzi pubblici privatizzati, purtroppo autobus e treni costano tanto ed è molto difficile per me muovermi sul territorio. Per fortuna raggiungo il campus e il mio luogo di lavoro a piedi, ma non sono collegati benissimo”.
Pensi di tornare?
“Non sarei mai andato via dal mio paese se avessi trovato una realtà che mi avrebbe fatto crescere e maturare in campo educativo e artistico. Ora, avendo appena iniziato il mio percorso formativo in Inghilterra, è presto per dare una risposta. In un futuro, mi piacerebbe tornare e mettere in pratica in Italia tutto quello che imparerò in questi anni all’estero, per rivoluzionare la cultura e iniziare a mobilitare i cittadini. Sarebbe un sogno creare una scuola di arti performative che accolga tutti coloro che non vogliono etichettare la propria personalità, ma che sono disposti a sperimentare se stessi a 360 gradi. Durante i miei primi mesi a Leicester ho già ideato e iniziato a portare avanti un progetto di nome “RHOME” che ha come natura quello di rivalutare il patrimonio culturale di Roma attraverso lo sguardo di giovani artisti. È formato da un gruppo di giovani ragazzi romani determinati a portare avanti un cambiamento delle politiche culturali della capitale. Siamo alle prime fasi, stiamo ancora cercando i primi finanziamenti, ma spero si sviluppi nel migliore dei modi. È sicuramente una grande opportunità per farci sentire in un territorio ormai ricco di disillusioni”.
Più che delle ragioni, sarebbero necessarie determinate condizioni favorevoli per tornare in Italia? E quali?
“Avere la certezza di essere ascoltato. Avere qualcuno che prenda per vere le mie parole o i miei progetti e che non mi desse più false promesse o occhiate ricche di pregiudizi. Avere delle strutture in grado di accogliere sperimentazioni artistiche e scuole in grado di non far sentire nessuno escluso. Forse tutto ciò è un’utopia, ma sono certo che un giorno accadrà perché non sono il solo a pensarla così. Sono pronto ad iniziare a costruire una nuova Italia con i miliardi di giovani che vogliono cambiarla facendosi sentire, non avendo paura di fare rumore e sognando una nuova società degna del nostro bellissimo Paese”.