Il caso del rapper Skioffi: quando violenza e cattivo gusto vengono ripuliti dal marketing

Sono sempre più i pseudo-artisti che per andare in TV cercano di modificare la propria immagine


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Una delle regole del marketing musicale, più che mai in voga di questi tempi, è quella di cambiare pelle a seconda delle circostanze. Se il mercato vuole un artista “alternativo” o “pazzo” si trova il modo di renderlo tale, se il pubblico ama il cantautore macerato e introspettivo si lavora per quello, se risulta attratto dal trapper dal linguaggio violento si insiste su quei connotati. Ma a seconda degli indici di gradimento, e quindi delle convenienze economiche, il modello può essere rapidamente modificato, dando vita a qualche nuova configurazione che salvi capra e cavoli: quella, ad esempio, dell’artista alternativo ma all’occorrenza anche convenzionale, quella del provocatore che rompe le regole per svegliare le coscienze, e soprattutto del rapper volgare ed egoista che rivela un animo sensibile e addirittura un’attenzione per il sociale. Alcuni dei trapper più in voga sono impareggiabili nell’arte del travestimento, nella capacità – come i camaleonti – di cambiare colore a seconda delle situazioni, per integrarsi in un ambiente diverso da quello usuale. Dopo aver scritto canzoni terribili dal punto di vista morale – la più famosa è quella intitolata “Yolandi” che come noto racconta di un femminicidio visto con gli occhi soddisfatti di chi lo ha compiuto – il rapper Skioffi ha tentato la fortuna presentandosi come concorrente al talent show di Amici. Raggiunta una certa platea di fan che hanno trovato in lui un emozionante interprete delle dinamiche sentimentali (la canzone dice: “La sbatto contro il muro, tolgo il fondotinta con la forza dei miei schiaffi”. “Non parlare brutta cagna che da oggi sono un cane anche io. Non mi hai mai voluto dare il culo, adesso me lo prendo, porco D*o … che troia lurida puttana, zitta affoga sborro dentro la tua bara ….Shh, dormi adesso che è tutto finito”. “La collana che costava troppo. Adesso dimmi che mi ami, visto che l’ho presa e te la sto stringendo al collo”).

Skioffi sta dunque puntando ad una notorietà maggiore, sta cercando di piacere al grande pubblico televisivo, di acquisire una celebrità e un posto in prima serata. Neanche a dirlo, questo giovane prodotto dell’underground musicale, eroe di un mondo crudo e misogino, ha cercato per l’occasione di cambiare pelle. Al cospetto di un pubblico televisivo composto da persone di diversa età e cultura, oltre che da madri, padri e persone di sensibilità diversa, Skioffi ha giocato la carta del “malinteso”, dichiarando: “Volevo far apparire tutt’altro rispetto a quello che si dice, fare una cosa contro la violenza”. “Mi piace scrivere cose strane, raccontare storie folli. L’ho sempre fatto. Quella volta l’ho fatto e ho esagerato forse un po’ troppo. Non sono un maschilista”. Il travestimento non regge, perché quella di Skioffi è tutta una poetica violenta e “machista”, come  stanno a testimoniare canzoni come “In Fondo al Bar”, dove dice: “Sta tipa vuole fare la scema. E la rigiro finché la giro di schiena. Disegno una mezza luna sul fondo schiena, così quando me la inculo facciamo una luna piena”; o canzoni come “Succhiamy”, dove il tema è presto narrato: “Succhiamy l’uccello e vai via, vai via, vai via”; o come “Psicopatico”, dove il canto liberatorio recita: “Se fossi uno psicopatico girerei in mutande, con una pistola davanti a qualsiasi donna. Porterei mignotte dentro la chiesa solo per potermi far fare una pompa della Madonna”.

Per convincere la giuria di Amici – che giustamente lo  ha  criticato cercando di comprendere il motivo di tanta violenza nei suoi testi – il giovane Skioffi dovrebbe fare molto più di qualche generica dichiarazione su possibili fraintendimenti: ci sarebbe un’intera vita artistica da riabilitare, ci vorrebbe una personalità completamente rigenerata, ci vorrebbe un corso di educazione sentimentale per capire che il sesso non è solo uno strumento di punizione  per le donne. Un’impresa pressoché impossibile se si guarda alla reazione che lo stesso Skioffi ha avuto nei confronti di una giornalista e di altri che lo  hanno giustamente  criticato per il  pericoloso messaggio  dei suoi testi. A lei, e alle persone che in vario modo hanno reagito in rete alle sue canzoni, Skioffi ha ribattuto: “Siete ‘na massa di mongoloidi, porca troia. Femministe care, siete una massa di idiote, una massa di imbecilli. Di handicappate. Vi piscio in testa. Dovete scopare di più, andate a lavorare e scopate di più. Fatevi una vita, scopate e badate ai vostri figli. Teste di cazzo! Coglione! Siete malate di mente. Se questa storia va avanti vi faccio passare i guai, vi tappo la bocca».

Davanti al grande pubblico del talent, Skioffi racconterà, probabilmente, di essere stato male interpretato anche stavolta, e cercherà comunque di guadagnare simpatie, magari confessando di sentirsi solo, oltre che incompreso, di essere stato  mal consigliato, facendo comunque intendere di essere pervenuto ad una maggiore consapevolezza delle cose. Del resto la modalità della confessione pubblica, il contrasto fra la durezza dei modi e la sensibilità che alberga nel fondo dell’animo – che hanno già fatto la fortuna di molti – sono le armi classiche del “camaleonte”. Si tratta di crederci oppure no, di cedere oppure no alle seduzioni di un marketing musicale che è sempre pronto a negare l’evidenza e a trasformare ogni incidente in un’occasione di business. Quel trasformismo che è già riuscito a sdoganare una canzone come “Rolls Royce” (che strizza l’occhio alla droga) presentando Achille Lauro come un sensibile testimone del mondo giovanile , e che ha riciclato  un altro “irriducibile” come Sfera Ebbasta, dandogli il lasciapassare per diventare  addirittura giudice di un altro talent. Al di là di tutti i ragionamenti che si possono fare su quanto abile sia il marketing, sull’ incomprensibile assenza dei critici musicali e su quanto incerta sia la nostra capacità di giudizio, un dato resta inconfutabile: i duri della musica attuale, gli alfieri della trasgressione, i rapaci collezionisti di avventure sessuali sono subito pronti – se la cosa conviene – a fare un passo indietro, a dichiarare il malinteso, ad ammettere l’errore, insomma a negare se stessi. Le cose sono due: o la capacità espressiva di questi artisti è scadente al punto che ogni testo finisce per dire qualcosa che è l’esatto contrario di quello che voleva (e questo dovrebbe indurli a cambiare mestiere); oppure la loro personalità è talmente fluida e inconsistente che, nel volgere di pochi minuti, la tigre può trasformarsi in un gattino, e il coniglio può fingere di aver ruggito.