Purple Haze di Jimi Hendrix era il singolo che tutti cercavano dopo il successo di Hey Joe.
Un mese prima, il 26 dicembre 1966, il leggendario chitarrista attendeva nel camerino prima di esibirsi all’Upper Cut Club di Londra. Jimi scaldava le sue mani e il suo strumento, dunque manovrava sulle corde come solo lui sapeva fare per trovare l’energia necessaria per salire sul palco. In quella stanza c’era anche Chas Chandler, l’ex bassista degli Animals di House Of The Rising Sun che era diventato il suo manager.
Jimi arpeggiava e riffava, finché alcune note incuriosirono Chas e tutti gli altri presenti. Tutte le teste si voltarono verso di lui e Chandler, rapito dall’intuito, gli disse: “Hey, rifallo“. Hendrix obbedì ed eseguì nuovamente il riff destinato all’intro del brano, e il suo manager non ebbe più dubbi: “Questo sarà il prossimo singolo“.
Poco tempo dopo arrivarono le prime bozze del testo, una sorta di flusso di coscienza che lo stesso Hendrix, durante un’intervista, ricordava come una struttura in 10 strofe che per ovvie ragioni furono ridotte a 3.
Il riff era un martellante salto di ottava che poi si apriva in un’esplosione tipicamente rock blues, grazie al contributo di Chas Chandler che ben sapeva come far venire fuori il talento di Jimi Hendrix. In tre minuti rifinirono il brano ed erano pronti per portarlo in studio.
Per una canzone come Purple Haze, però, Chandler pretendeva il meglio degli studi di registrazione disponibili sulla piazza. Ciò che avevano in mano era un brano già monumentale, quasi istrionico nella sua ambiguità semantica e nella fonetica che col tempo fece impazzire i critici per la sua interpretazione.
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- 02/14/2012 (Publication Date) - Sony Music (Publisher)
“Purple haze, Jesus saves“ erano le parole contenute in origine nel ritornello, ma il minuzioso lavoro di limatura del testo portarono ad escludere l’espressione finale. C’era anche quella storia dietro al titolo: la purple haze è un ceppo della cannabis sativa e il taglio psichedelico del testo aveva convinto buona parte dell’opinione pubblica a considerare la descrizione di un trip sotto effetto di stupefacenti.
Jimi Hendrix negò tale interpretazione e raccontò che il testo traeva ispirazione da un sogno: il musicista aveva sognato di camminare sul fondo del mare e improvvisamente veniva travolto da un’ondata viola. Nel sogno si salvava grazie alla sua fede in Dio, per questo inizialmente scrisse il verso: “Purple haze, Jesus saves“.
Purple Haze di Jimi Hendrix è anche il brano che recita: “Scuse me while I kiss the sky”, letteralmente: “Scusatemi/scusami mentre bacio il cielo”, una frase che largamente offre una visione sull’infinito e sull’esperienza mistica, ma per una questione di fonetica alcuni la interpretarono come: “Scusa me while I kiss this guy”, “Scusatemi/scusami mentre bacio questo ragazzo”.
Il fraintendimento piacque particolarmente al diretto interessato, che in più occasioni cantò il verso alterato sul palco indicando il batterista Mitch Mitchell, scherzosamente, ma lo distorse ulteriormente durante una venue a Los Angeles (“Scuse me while I kiss that policeman”) e a Seattle (“Scuse me while I f… the sky).
Il risultato, per definirlo come fece il biografo Harry Shapiro, fu “un pout-pourri di idee” sviluppate da Hendrix nel tempo. Sempre secondo Shapiro, il testo e il titolo di Purple Haze di Jimi Hendrix traevano ispirazione dal romanzo Night Of Light di Philip José Farmer. In un passaggio del romanzo, ambientato su un altro pianeta, le macchie solari creano una foschia violacea che disorienta gli abitanti.
Durante un’intervista rilasciata il 28 gennaio 1967, dunque mentre le registrazioni erano ancora in corso, Jimi fece finalmente chiarezza: “Faccio tanti sogni e mi piace raccontarli nelle canzoni, una di queste si chiama Purple Haze“, e il brano era stato già ascoltato dal vivo durante uno show a Sheffield l’8 gennaio 1967.
Il talento e il genio di Jimi Hendrix erano ben noti a Chris Chandler, per questo scelse di spostare la band dai De Lane Lea Studios agli Olympic Records per lavorare insieme all’ingegnere del suono Eddie Kramer.
La Jimi Hendrix Experience, del resto, aveva già dimostrato di funzionare con Hey Joe: il bassista Noel Redding si era reso fondamentale seppur nascesse come chitarrista, con quel suono che sembrava l’armonizzazione di tanti rintocchi di campana. Mitch Mitchell veniva dai salotti fumosi del jazz e fu scelto per puro caso con il lancio di una moneta. La Experience si recò negli studi Olympic Records e iniziò i lavori. Jimi guardò i suoi musicisti e diede loro indicazioni apparentemente sommarie: “Qui voglio il rullante, qui la cassa”.
C’era da affrontare, inoltre, un serio problema che Hendrix aveva con se stesso: odiava sentirsi suonare e detestava la propria voce. Kramer stesso raccontò che per aiutarlo nella registrazione dovette installare dei pannelli che coprissero i vetri della cabina in cui Jimi registrava per fare in modo che nessuno, dalla sala regia, vedesse quanto succedeva dall’altra parte.
In più, Jimi lavorò quasi al buio, con una sola luce puntata sui suoi testi. Durante i take la testa di Hendrix faceva capolino dalla barricata che lo copriva: “Com’è stato?”. “Jimi, fantastico, perfetto”, gli dicevano dalla sala regia. “Sei sicuro?”, chiedeva Hendrix, e alla risposta affermativa replicava: “Va bene, facciamone un’altra“.
Chandler aveva riferito a Kramer che quando si trattava di Jimi Hendrix c’era una sola regola: non esistevano regole. Jimi si sentì libero di sperimentare sui suoni, giocando con gli effetti e le distanze dai microfoni con la complicità del suo manager. Per registrare Purple Haze, infatti, il team mise in atto diverse tecniche innovative per riuscire a raggiungere la dimensione sonora più prestante per un testo così onirico e visionario.
Per conferire spazio e tempo alla voce, per esempio, venne sfruttato il ritardo creato da un paio di cuffie posizionate sul microfono. In questo modo si ottenne un delay più enfatizzato ed etereo e la scelta piacque a tutti i presenti. Ancora, verso la fine del brano è possibile sentire un suono di chitarra fortemente alterato, una sorta di “pitch” che tecnicamente indica l’armonizzazione artificiale di una melodia.
Ciò che sembra l’apporto di un mandolino sul finale di Purple Haze di Jimi Hendrix è in realtà la sovraincisione di una chitarra ottenuta registrando il take con il nastro impostato a velocità dimezzata. Nelle fasi di mixing il nastro venne riprodotto a velocità naturale con il risultato di un assolo inserito un’ottava sopra e quasi innaturale, un grande esempio di psichedelia.
Durante la registrazione di altre tracce di chitarra Hendrix si servì di diversi filtri, tra cui un Octavio presente ancora oggi sul mercato.
Fu in quei contesti che l’ingegnere Kramer rimase affascinato dall’Hendrix uomo: “Dal cervello al cuore, dalle mani ai piedi. Jimi Hendrix era un fluido in continuo movimento. In 30 anni di esperienza non ho mai avuto un artista così nel mio studio”.
Are You Experienced uscì il 12 maggio 1967 nel Regno Unito e il 23 agosto 1967 negli Stati Uniti. Fu l’album di debutto della Experience nonché un monumento internazionale della storia del rock. In un globo già battuto dal blues rock dei Rolling Stones e che di lì a poco avrebbe perso i Cream di Eric Clapton, la Jimi Hendrix Experience trovò sì terreno fertile, ma era anche il fertilizzante che mancava.
La rivoluzione portava il nome e il volto di un chitarrista che rivoluzionò il ruolo della chitarra sporcando il blues con il rock e offrendo uno stato di grazia al rock con il blues.
Purple Haze di Jimi Hendrix, con appena 2 minuti e 51 secondi di canzone, disegnò l’avanguardia musicale come esempio di libertà creativa e genio, un atto sessuale tra l’uomo e l’arte che il mondo meritava di conoscere.