I buoni non sono mai soltanto buoni, né i cattivi sono mai soltanto cattivi. Se lo fossero ce ne dimenticheremmo in fretta. I Roy, invece, ci rimangono addosso con la spocchia che nelle prime due stagioni di Succession abbiamo tentato – invano? – di digerire. E come loro, in passato, i ricchi e potenti che hanno dato corpo a universi di impareggiabile privilegio in Billions, Empire, Gossip Girl…
Inutile negarlo: spesso in televisione la ricchezza smodata attrae più della normalità che potremmo ritrovare semplicemente volgendo lo sguardo attorno a noi. E non perché il benessere economico ricopra i personaggi d’una patina di sofisticata e irraggiungibile felicità. Anzi, è proprio il contrario, e Succession ne dà una chiara dimostrazione.
La famiglia Roy, e l’intero microcosmo in cui prospera, è infatti composto da individui meschini, perlopiù incapaci, in larga parte repellenti. La loro infelicità è tale da contaminare i rapporti umani, gli atteggiamenti, i pensieri, persino i luoghi che abitano.
Ma la loro non è una scontentezza che deriva dall’uso vuoto e inconsistente dei fiumi di denaro su cui navigano giornalmente. Al contrario, per i Roy la ricchezza non ha una corrispondenza diretta con uno stile di vita sfrenato. È piuttosto un mezzo – chiaramente potentissimo, ma non sempre efficace – per esercitare il controllo, mutare a proprio piacimento gli equilibri del potere e non mollare mai la presa.
E qui, forse, si esercita più che mai il fascino perverso e inesauribile della ricchezza e del potere. Per quanto sia inevitabile provare un pizzico di piacere dinanzi a ogni miserabile svolta nella vita dei Roy, la negatività fondamentale di ciascun personaggio resta profondamente intrigante.
Poco importa che nessuno di loro sembri in grado di trattare degnamente parenti e amici, che tutti schiaccino dipendenti e concorrenti, che guastino con la propria malignità qualsiasi cosa tocchino. E quando un barlume d’umanità sembra far capolino da una delle loro crepe interiori, ecco che un evento inatteso, anche piccolissimo, rinfocola nelle nostri menti la convinzione che si tratti pur sempre di individui orribili.
Succession sembra insomma volersi prendere gioco della nostra tendenza a credere che ci sia qualcosa da salvare, sotto tutto quel marcio. Ciò che restituisce, infatti, è il racconto irresistibile ma pur sempre desolante delle vicende di una famiglia che vive di ciò che ha, non certo di ciò che merita.
Lo status dei Roy è costruito sulle macchinazioni e gli inganni, sulla corruzione e la spietatezza, più che sulla genialità imprenditoriale. E chi vede in questa avvilente considerazione qualche riferimento alla realtà può star certo di non aver torto. In tanti, fin dal debutto della serie su HBO, hanno trovato in ciascun membro della famiglia Roy degli evidenti richiami ai Trump.
Guai a confondere Succession con il racconto di una sola famiglia o un’unica azienda, però. È stato il creatore della serie, Jesse Armstrong, a raccomandarlo alla stampa durante le interviste della gloriosa serata dei Golden Globes 2020.
Tutti gli autori della serie leggono regolarmente il Wall Street Journal e il Financial Times, ha commentato, ma Succession non parla di una specifica famiglia o azienda. […] La serie riflette la realtà, non è la realtà. […] Rubare materiale [a certe famiglie e imperi imprenditoriali] è una cosa intelligente da fare.
Chi credeva che il personaggio di Logan Roy fosse invece ispirato a Rupert Murdoch ne ha avuto conferma grazie alle parole del suo interprete, Brian Cox, anch’egli vincitore di un Golden Globe. Rupert Murdoch ha un fo***io a che vedere con il personaggio, e potete citarmi espressamente, ha dichiarato in tutta serietà.
Altrettanto veemente il suo commento alle solite domande della stampa su cosa i fan possano attendersi dalla terza stagione di Succession. Ce lo sentiamo chiedere ogni c***o di anno, che noia. Non posso dirvelo. So che volete sapere cosa succederà, ma non è così che funziona.
Le prime due stagioni di Succession sono disponibili on demand su NOW TV.