Amadeus pagherà col sangue (metaforicamente) gli errori che sta facendo sulla gestione del Festival

Il conduttore ha tradito la nostra fiducia, ha tradito la Rai, sputtanando il programma del 6 gennaio, e temo abbia rovinato il suo rapporto con la stampa


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Non ricordo se era Rambo. Sono passati un sacco di anni, e confesso che, nonostante quel senso di nostalgia che credo colpisca tutti quelli che superano quel punto della vita in cui il passato diventa inesorabilmente la porzione più lunga della nostra linea, non ho mai avuto il desiderio di riguardare quel vecchio film con Sylvester Stallone, decisamente troppo vicino al mio sentire. Mi sembra però fosse Rambo il film in cui un veterano del Vietnam si ritrova, suo malgrado, a combattere una nuova guerra, stavolta in patria, contro quella stessa patria per cui ha lottato inspiegabilmente lontanissimo da casa. Una guerra, e qui sta il punto, che non avrebbe mai voluto combattere. Di questo, rammento, ma potrebbe essere un ricordo sbagliato, tenetene conto, Rambo si lamenta, del suo essere stato tirato in mezzo senza volerlo.


Ecco, so che parlare di guerra qui e adesso può essere un errore, un errore fatale, ma vi invito a cercare di andare oltre il detto. A applicare, cioè, tutti quegli schemi che in genere ci insegnano già alle scuole primarie, che cioè ci servono per dire qualcosa di diverso da quel che si sta dicendo. E guerra sia, quindi.
Provo a riassumere i fatti delle ultime ore, lasciando per una volta da parte lunghe premesse, aneddoti del passato, autobiografismi e tutto il resto.
Nei giorni che ruotano attorno a Natale, come è sempre successo negli ultimi anni, ricevo la lista dei concorrenti al prossimo Festival di Sanremo. Intendiamoci, negli anni passati la lista mi era arrivata nei primi giorni di dicembre, visto che l’annuncio ufficiale era sempre stato dato prima delle feste. Quest’anno li ho ricevuti sotto Natale, sempre in anticipo rispetto all’annuncio, previsto per esplicita dichiarazione del direttore artistico Amadeus e della RAI stessa per il 6 gennaio 2020.


Ricordiamolo, visto che è vero che stiamo parlando di canzonette, ma lo stiamo facendo per lavoro, non per sparare due cazzate al bar, il Festival della Canzone Italiana di Sanremo è un concorso pubblico, non una robettina che si fa tra amici, tipo tombolata o karaoke.
Si è parlato di 6 gennaio, anzi, Amadeus ha detto che avrebbe dato la lista, con tanto di cantanti presenti in trasmissione, il 6 gennaio, durante la diretta televisiva relativa alla Lotteria Italia, e così doveva essere.
Torniamo a noi.
Ricevo la lista.
Sicura.
Non la pubblico.
Non perché non sia interessato agli scoop, e in effetti non sono interessato agli scoop, non sono un giornalista, ma perché la lista mi è stata mandata con l’implicita richiesta di non divulgarla. Funziona così, in genere, tra professionisti. Ho saputo, faccio un esempio, del duetto tra Tiziano Ferro e Jovanotti, mesi prima che il disco uscisse e che Tiziano spoilerasse la notizia sui social. Non l’ho divulgata perché mi è stata detta in confidenza, e se tradisci una confidenza sei una persona scorretta, umanamente una merda, ma sei anche uno che si incammina a non ricevere più confidenze, perché sei uno che non sa tenere fede a un patto di reciproca fiducia. Ho già anche ascoltato qualche canzone del prossimo Festival, se si scrive di musica e si è considerati, a torto o ragione, credibili, funziona così.


Gli artisti ti chiamano in studio e te li fanno ascoltare. Alcune volte te li fanno ascoltare quando ancora non sono neanche canzoni finite, per un consiglio, un parere, o semplicemente perché funziona così.
Siccome sono giorni che quotidiani e siti pubblicano liste che si avvicinano a quella che ho ricevuto, immagino, erroneamente, che la stessa lista che ho ricevuto io la abbiano ricevuto anche quelli che potrebbero essere erroneamente essere scambiati per miei colleghi.
Vedo che ci sono nomi che non possono esserci, perché non hanno presentato canzoni, perché sono già usciti dalla lista, faccio due esempi su tutti, Noemi e Enrico Ruggeri, entrambi mai stati in lizza, ma suppongo sia un modo un po’ scorretto per mettere il fumo sugli occhi ai lettori e non tradire del tutto la fiducia di chi ha girato ai sedicenti miei colleghi la lista. Perché sarebbe semplicemente bastato chiamarli, Noemi e Ruggeri, per sapere che non avevano mai mandato la canzone. Ma, questo lo capirò solo poi, in realtà spesso e volentieri quelle liste sono frutto di tentativi goffi di beccarci, e poco importa se i diretti interessati, i cantanti appunto, potrebbero rimanere danneggiati dal vedere i loro nomi in liste fasulle, risultando poi esclusi pur non avendo mai partecipato.


Vengo a noi. Chi pubblica una lista. Non è esattamente quella vera, ma ci si avvicina parecchio. Ci sono errori, tipo la presenza di Bersani e The Kolors, in una sorta di improbabile ballottaggio. Bugo risulta essere Sarcina de Le Vibrazioni. Junior Cally diventa Junior Kelly, ma insomma, ci siamo quasi. Niente di che, penso. Del resto, Tony Vandoni di Radio Italia ha pubblicato giorni prima una sua personale ipotesi di Cast, giusta, ma nessuno sembra essersene accorto.
Ci è andato molto vicino anche Paolo Giordano de Il Giornale, e la sera prima dei fatti l’ha praticamente pubblicata giusta Massimiliano Longo di All Music Italia, ma evidentemente quello è mestiere, se si fa questo lavoro funziona così. Nessuno però le ha prese sul serio, per motivi che almeno in un caso mi sembrano evidenti, è la lista di Chi che tutti scambiano per quella giusta.


E infatti a un certo punto succede il fattaccio. Amadeus, che ci si immaginerebbe essere un professionista con una certa esperienza non solo di faccende interne alla Rai, ma anche di comunicazione, si fa intervistare da La Repubblica, neo acquisto di casa Agnelli. E nel fare l’intervista conferma la lista di Chi, correggendo i pochi errori.
Ora, lo dico per chi pur non essendo addetto ai lavori pensa di saperla lunga, dare l’esclusiva di una notizia che precedentemente è stato detto sarebbe stata data in diretta Tv è un fatto irrituale, come quando Renzi dava a Rlt 102,5 notizie relative alle mosse di governo.
Non solo, farlo con una sola testata, seppur rilevante, lasciando a bocca asciutta tutte le altre presuppone il considerare le altre merda, oltre che mettersele tutte contro, e non parlo di me, figuriamoci, parlo del Corriere, di Tv Sorrisi e Canzoni, delle testate giornalistiche interne Rai come i TG. Tutte merde. Ma il punto, penso erroneamente all’inizio, è un altro. Se in tanti abbiamo ricevuto questa lista con preghiera di non diffusione e abbiamo tenuto fede al patto, patto tradito da Chi, perché Amadeus ci tratta come delle merde e invece di tenere a sua volta fede al patto concede l’esclusiva alla sola Repubblica?

Non poteva fare un comunicato, andare al Tg 1 e dare lì la notizia o farlo direttamente durante la diretta di Potenza, quella di Rai 1? Avrebbe comunque bypassato tutti noi, ma lo avrebbe fatto mettendoci comunque tutti sullo stesso livello, e avrebbe soprattutto mantenuto una sorta di equilibrio interno alla Rai.
Invece Amadeus concede l’esclusiva a Repubblica. Tutti la riprendono. Io resto basito. Non solo per questa sgradevole situazione, ma anche nel constatare che, pubblicamente, non si incazza nessuno.
Scrivo un paio di tweet, e per me twitter è l’ultimo dei social, figuriamoci, in cui esterno il mio malcontento. Uso immagini chiare, come sempre. Il mio tweet finisce nell’occhio del ciclone, ma ancora non lo so.
Tornate a Rambo, tornato nel suo paese, con la neve, la gente che gli sbatte le porte in faccia, insomma, ci siamo capiti.
Nel mentre mi sento con altri addetti ai lavori, è l’ultimo dell’anno, capiamoci, e tutti sono concordi con me, ma tutti, come sempre, lo sono in privato.


Il mio tweet, anzi, i miei tweet finiscono ripresi da alcune testate. Nel mentre i vari blogger e giornalisti che in precedenza hanno pubblicato le liste si lasciano andare a una difesa d’ufficio non tanto di Amadeus, cui viene riconosciuto una sorta di nervosismo dovuto allo spoiler di Signorini e di Chi, quando a Chi stesso. I più, in sostanza, dicono che anche loro avrebbero pubblicato la lista, se solo l’avessero avuta.
Fermi tutti.
Se solo la avessero avuta.
Qui capisco una cosa. In realtà la lista non ce l’avevano. Hanno messo insieme i nomi prendendo notizie qua e là, e ci sta. La lista probabilmente ce l’avevamo in pochi, pochissimi. Sicuramente Tony Vandoni, cui va riconosciuto la paternità dello spolier meno cagato della storia dell’umanità. Probabilmente anche Giordano e Longo, anche se, da come l’avevano raccontata, la loro lista sembrava più il frutto di una sorta di lavoro di investigazione, lasciatemi continuare a usare parole fuoriposto, più che una confidenza spoilerata. Conoscono persone, hanno messo insieme i nomi e sono arrivati a quelle liste.


Capisco anche che è evidente che le varie mezze figure che avevano parlato di liste, le mezzefigure che ne hanno parlato per mesi, se non hanno realmente avuto la vera lista da chi in effetti gliela poteva passare è perché in effetti non contano un cazzo e anche perché loro l’avrebbero pubblicata. Mi chiedo solo di che liste stessero parlando nei giorni precedenti, ma questo è fare la punta al cazzo.
Questi sono discorsi da bar, per addetti ai lavori. I fatti salienti sono che Amadeus ha tradito la fiducia dei pochi che in effetti la lista ce l’avevano, e l’avevano ricevuta da chi lavora a quella lista, mica dal panettiere sotto casa, con preghiera di non diffusione. Ho pubblicato non a caso lo screenshot della lista stessa, con ben in evidenza la data in cui l’ho ricevuta, il 26 dicembre, tanto per non dar adito a dubbi a riguardo. Ha tradito la nostra fiducia, ha tradito la Rai, sputtanando il programma del 6 gennaio, e temo abbia anche reso un po’ complicata la gestione dei rapporti con la stampa, almeno con certa stampa, quella che ha in Repubblica un diretto competitor.

Quando ho parlato di “cagarci in testa”, intendevo questo, usavo una immagine forte, chiaramente decodificabile anche ai tanti analfabeti funzionali che usano i social. Gli stessi analfabeti, del resto, che hanno poi interpretato alla lettera i miei “e guerra sia” oh! questi sono gesti che si pagano col sangue”, presi alla lettera. Ma che ci vuoi fare, se uno è analfabeta è analfabeta, mica è colpa di chi scrive, nel caso. Lo dico qui con parole chiare, Amadeus non ci ha veramente cagato in testa, quindi quando parlavo di guerra non intendevo dire che ho schierato un esercito contro un suo ipotetico esercito, e quando parlavo di pagare col sangue intendevo che il fatto non passerà tanto facilmente, ci saranno ripercussioni, che nello specifico potrebbero essere, alcuni quotidiani e magazine ne parleranno male, altri non seguiranno il Festival, qualcuno in possesso di notizie confidenziali le spoilererà senza paura di rovinargli il lavoro. Questo.


Poi c’è un’altra faccenda, più complicata, se Amadeus ha detto che la lista sarebbe stata detta il 6, parlando di un concorso pubblico, e invece l’ha detta a Repubblica il 31, ecco, forse ha commesso un errore proprio burocratico, e magari qualcuno di quelli esclusi potrebbe intentare un ricorso, appellandosi a quei giorni di pensamenti e ripensamenti che sarebbero stati vanificati dalla frettolosità di Amadeus stesso. Sai, esiste un regolamento che parla del 6 gennaio, se a averlo stracciato è stato proprio il direttore artistico capace che qualcuno si incazza.
Oh, sono ipotesi, eh.


Resta che Amadeus se n’è fottuto di noi, cerchio magico in possesso della Verità, sto ironizzando, amici analfabeti e blogger senza liste, non incazzatevi, e che mi ha fatto incazzare, l’ho scritto su twitter e la cosa è finita un po’ su tutti i giornali.
Sta continuando a finirci, nonostante siano passati giorni, nonostante siano scoppiate guerre vere, nonostante qui si stia parlando, oggettivamente, del nulla.
E c’è finita suppergiù ovunque così, con la parola “cagandoci” nel titolo, seppur oscurata da qualche asterisco, col mio tweet incollato in coda all’articolo, e con il sottoscritto descritto erroneamente giornalista, spesso come giornalista de Linkiesta, a volte anche come giornalista del Fatto Quotidiano.
Ora, va bene tutto, ma ci tengo a precisare un paio di cose.
E ci tengo nonostante mi senta come il Rambo di cui sopra, sfinito da tutto questo, io che volevo solo passare qualche giorno in pace (mia suocera poi mi ha fatto lo stoccafisso, sia messo agli atti).
Ma così non è stato possibile, quindi eccomi.


Primo, non sono un giornalista. Non lo sono per scelta, nonostante scriva per quotidiani e magazine e siti da quasi venticinque anni. Non sono neanche pubblicista. Sono uno scrittore. Sono un critico musicale. Non sono un giornalista. La smettano di scrivere che sono un giornalista.
Altra cosa, ho smesso di scrivere per il sito del Fatto Quoditiano nel 2017, capisco al mio posto ci sia arrivato il nulla, ma mi sembra un lasso di tempo abbastanza lungo per essersene accorti. Non vale neanche l’assunto “e chi ti si caga”, per dire, perché se riprendono i miei tweet evidentemente mi stanno cagando, si informassero un po’, dai.
Ho anche smesso di scrivere per Linkiesta, nel mentre.
Se nel caso del sito del Fatto Quotidiano c’è stato un motivo scatenante, che non starò qui a citare, nel caso de Linkiesta apparentemente no. Figuriamoci, un anno fa eravamo un po’ ovunque, io e Linkiesta, citati per la faccenda di Baglioni, Salzano e il conflitto di interessi su Sanremo, abbiamo fatto numeri incredibili, ci siamo anche divertiti, anche e soprattutto grazie a Dagospia e Striscia la Notizia che hanno amplificato il tutto.


Lì è semplicemente successo che il vecchio direttore, Francesco Cancellato, è passato a Fanpage, succede. Al suo posto è arrivato un nuovo direttore e il nuovo direttore, Christian Rocca, ha radicalmente cambiato la linea editoriale del giornale. Credo lo abbiano chiamato per quello, del resto. Non sta a me capirne le ragioni.
Da un giornale che voleva in qualche modo provare a essere antisistema, o che nelle sue anime ospitava anche un’anima antisistema, va detto, stilosissima, è diventato una sorta di pravda renziana, e per traslato, nell’ambito di cui io mi occupo, la musica, di altoparlante di certi artisti e certi uffici stampa che a quel mondo sono particolarmente cari. Se prima provavamo a fare inchieste, a essere irriverenti verso un potere per altro finto, ora provano e riescono a fare marchette, carponi verso quel potere, sempre finto.


Non che la cosa mi sia stata comunicata direttamente per viva voce del direttore in questi termini, intendiamoci, non l’ho mai sentito, né ci siamo mai scritti.
È arrivato, ha cambiato il giornale e io ho smesso di scriverci.
Il fatto che io non lo abbia mai sentito può essere letto in due modi diverso. Può aver sbagliato lui a non cercarmi, visto che delle pagine di spettacolo ero indubbiamente la firma più letta e quella più identificabile all’esterno con quella testata, o posso aver sbagliato io a non cercarlo, arrogante nel mio atteggiarmi a prima donna che aspetta che a fare il primo passo sia il nuovo direttore.
Non è importante, direi.
Se un giornale, per fare un esempio, passa dal mettere in evidenza quanto il tour di Jovanotti sia stato un errore in termini strategici al cantarne le lodi, in fondo, solo una cosa vuol dire, al massimo due: il direttore è amico di Jovanotti, o il direttore è amico di amici di Jovanotti, tipo il suo ufficio stampa. Sto parlando in linea ipotetica, come esempio, ci siamo capiti.

Il fatto è che io non posso scrivere per un giornale che è passato dall’essere un giornale che, fedele al nome Linkiesta, non a caso spesso citata come L’inchiesta, provava a cercare la verità, anche in maniera disturbante, a dire qualcosa che gli altri non dicevano, un giornale libero, per intendersi, all’essere una sorta di velina. Non posso proprio.
Non potrei scrivere le cose che ho iniziato a leggere nella nuova versione de Linkiesta neanche se mi costringessero con una pistola puntata alla tempia, figuriamoci con una pistolina, non fosse altro perché solitamente scrivo seduto, non in ginocchio, men che meno a pecora.
Posso solo immaginare il fastidio che in questi giorni Rocca può aver provato a leggere il nome del giornale che dirige legato al mio e ai miei tweet. Ho provato lo stesso fastidio anche io, per le ragioni opposte, nonostante in questi tre anni, quelli prima del suo arrivo, io lì mi ci sia trovato davvero bene.


Quindi, no, non sono il giornalista Michele Monina de L’inchiesta.
Sono Michele Monina, sono un critico musicale, e scrivo per Optimagazine, penso che Amadeus abbia fatto un gesto molto sconveniente nei nostri confronti e che, metaforicamente, pagherà col sangue, e che se qualcuno non è capace di leggere tra le righe, anche quando la grana è così spessa, beh, quello è un problema suo e suo soltanto, non di chi scrive.
Durante Sanremo, quindi, ci si legge qui, come sempre da un anno. E adesso lasciatemi in pace, ho una katana da affilare.