Maledetto Youtube che mi propone, senza un motivo, brani troppo commoventi

Anche quest'anno ho provato ad ascoltare qualche brano natalizio, e mi sono ritrovato davanti a un grande, ma malinconico, Lou Reed


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Maledetto Youtube.

No, non voglio lanciarmi in una delle ormai mie solite invettive contro chi sfrutta l’opera di artisti affamandoli con introiti decisamente troppo bassi, nello specifico sto maledicendo Youtube per questioni molto meno complesse da raccontare, e anche molto più personali.

Durante le feste, non potete non esservene accorti, c’è stata una vera e propria crociata contro Last Christmas degli Wham. Come se di colpo tutti, ma proprio tutti tutti, ci fossimo accorti di quanto in effetti quella canzone facesse cagare. E se uso la prima persona plurale non è tanto perché anche io sia stato parte di questa crociata, l’ho sempre considerata una canzoncina piuttosto fastidiosa ma mi guardo bene dal perdere tempo dietro queste idiozie da social, quanto perché faccio parte di questa porzione di mondo che perde tempo dietro queste stupide crociate e voglio prendermi per una volta la mia razione di merda, seppur da incolpevole. In sostanza è successo che dire che uno era riuscito a scampare all’ascolto coatto di Last Christmas era qualcosa di figo, lo hanno fatto in tanti, compresi gli stessi idioti che la sera della vigilia non hanno mancato di sottolineare che era ufficialmente iniziato il Natale perché su Rete 4 andava in onda Una Poltrona Per Due (ma forse era Italia 1, non lo so, e nel dire che non lo so sto stavolta seriamente sottolineando come io non faccia parte di questa genia di persone, pur facendo parte di quella porzione di mondo che perde tempo dietro questo tipo di condivisioni social). Ovviamente qualcuno ha provato a difendere quella canzone, vuoi perché magari gli piace davvero, vuoi perché George Michael è morto proprio sotto Natale, decisamente troppo giovane, vuoi perché attaccare una canzone di Natale è davvero una cazzata, ma nell’insieme il giochino è stato scansare il brano in questione, magari finendo per ascoltare anche di peggio.

Io l’ho scansata. Non per scelta, ma perché semplicemente non mi è capitata e non la sono andata a cercare. Ho ascoltato All I Want For Christmas It’s You di Mariah Carey, per intenderci, se fossimo nel giorno del giudizio non credo che la mia situazione sarebbe migliore di chi ha ascoltato gli Wham, semplicemente dove mi sono trovato a passare le feste nessuno ha deciso che era il caso di sparare da qualche parte Last Christmas.

Succede. È successo.

Ho invece ascoltato un altro brano natalizio, sempre con George Michael, anche se la canzone in questione non è tanto natalizia come tipologia di composizione, quanto perché cita il Natale nel titolo e soprattutto è storicamente legata all’idea di beneficenza. Di più, in qualche modo è stata la canzone che ha inaugurato la saga delle canzone corali fatte per beneficenza. Anche chi ha dato vita alla faccenda di Last Christmas, persona che non credo abbia un quoziente intellettivo elevatissimo, avrà capito che sto parlando di Do They Know It’s Christmas, brano partito dalla volontà di Bob Geldof e di Midge Ure, anche autori della canzone, con Ure alla produzione insieme a Trevor Horn, e che all’epoca, parliamo esattamente dello stesso periodo in cui uscì Last Christmas, trentacinque anni fa, vide coinvolte le principali popstar inglesi, da Sting a Boy George, passando per i Duran Duran, gli Spandau Ballet, Phil Collins e Bono, oltre ovviamente agli Wham, tutte sotto il nome di Band Aid.

Anche in questo caso non me lo sono andato a cercare. È capitato che qualcuno abbia condiviso il video sulla mia timeline di Facebook, e che a differenza di quanto sarebbe capitato con Last Christmas, vedendolo io abbia deciso di andarmelo a ascoltare e vedere.

Dire che Do They Know It’s Christmas sia una bella canzone, credo, sia al tempo stesso una grande verità e una menzogna. Quando qualche anno fa ne è stata fatta una nuova versione, per dire, senza il coinvolgimento di artisti a me cari, ascoltandola ho pensato che in effetti non fosse gran cosa, ma poi, introdotta dalla voce soul di Paul Young, con quel suo improbabile taglio di capelli, superato probabilmente solo da quello dell’altro re del pop dell’epoca, Paul King, seguita dalla voce altrettanto calda di un Boy George coi capelli lunghi e rossi, e poi da George Michael, mesciato e sbarbato, ché tutti i cantanti nel video erano sbarbati, erano gli anni 80, baby, beh, la faccenda prende tutta un’altra piega. A colpirmi, nel sentire la canzone, ma molto di più nel vedere la clip che la accompagnava, non era tanto la faccenda della barba, ci mancherebbe altro, quanto l’incredibile gioventù ostentata da tutti i protagonisti. Tutti giovanissimi. Sting, Bono, Paul Weller, Simon Le Bon, Phil Collins. Ecco, no, Phil Collins era vecchio già allora, ma questa è altra faccenda. Gli artisti coinvolti da Geldof e Midge Ure erano tutti sfacciatamente giovani. Anche sfacciatamente uomini, perché a parte le Bananarama, che più che altro si vedono a un certo punto del video arrivare, e che si sentono a malapena nel ritornello corale, gli artisti di Band Aid sono tutti uomini, fatto che, fossi stato poco più di un adolescente all’epoca, e fossero esistiti i social all’epoca, mi avrebbe sicuramente indotto a lanciare anche in quel caso l’hashtag #LaFigaLaPortoIo, perché evidentemente anche il mondo della beneficenza è un mondo di uomini. Ma non è neanche questo il punto. Non è di sessismo che voglio parlarvi, non oggi. Quello che mi ha colpito, infatti, è stato quel che è successo subito dopo che il video è finito, nel momento, cioè, in cui mi stavo appunto compiacendo di quella loro bellissima gioventù, a suo modo anche mia, che all’epoca ero un quindicenne, poco più piccolo di tutti loro. E torniamo a quanto sia maledetto Youtube, appunto. Se infatti ho sempre pensato che la faccenda degli algoritmi, si tratti di Facebook, dei social in genere e tanto più dei sistemi con i quali si ascolta musica oggi, una emerita cazzata, è pur vero che Youtube ha associato il mio ascoltare e guardare Do They Know It’s Christmas con due aspetti rilevanti, il fatto che quella fosse una canzone cantata da un gruppo di artisti e il fatto che quella fosse una canzone cantata da un gruppo di artisti riuniti per uno scopo benefico. Così, mentre mi aspettavo di veder partire l’altrettanto classicissima We Are The World, ecco che a sorpresa Youtube mi ha piazzato A Perfetc Day, brano di Lou Reed riproposto nel 1997 da un gruppo pazzesco di artisti, riuniti dalla BBC.

Ora, anche se tra il 1984 e il 1997 ci sono meno anni di quanti non ce ne siano tra il 1997 e il 2019, è evidente che a guardare quel video non sia stata l’incredibile gioventù dei protagonisti. Primo perché i protagonisti non sembravano e in buona parte non erano incredibilmente giovani, secondo perché a colpirmi come un cazzotto ben assestato in faccia, e ve lo dice uno che, proprio sotto Natale e proprio in quegli anni lì, un cazzotto in faccia se l’è preso, parlo degli anni 80, non degli anni 90, epoca in cui qualche cazzotto in faccia l’ho piuttosto assestato, a colpirmi come un cazzotto ben assestato in faccia è stato il fatto che buona parte degli artisti coinvolti, proprio a partire da Lou Reed, siano morti. Certo, anche il George Michael di Last Christmas e del bridge di Do They Know It’s Christmas è morto, male, proprio sotto Natale, ma in quella canzone di morti e di morti dolorose per chi ama la musica, ce ne sono a mio avviso un po’ troppe. La canzone la conoscete tutti, immagino, e se così non fosse, vi prego, andatevela a ascoltare, a imparare a memoria, di più, imparate a memoria tutto Tranformer, album di Lou Reed che la conteneva, anzi, imparate a memoria proprio tutta la discografia di Lou Reed, dai Velvet Undeground in poi, con la sola eccezione, forse, di Lulu, album che lo ha visto insolitamente e anche piuttosto incredibilmente collaborare con i Metallica. La canzone la conoscete tutti, adesso, quindi, è una ballad malinconicissima in cui un giovane Lou parla di una giornata perfetta, appunto, passata al parco, al cinema, a dar da mangiare agli animali allo zoo. Non è chiarissimo di cosa parli, se di una giornata perfetta perché passata con una ragazza o in compagnia dell’eroina, a tal riguardo esiste una vasta letteratura, compresa una scena piuttosto nota del film Trainspotting di Danny Boyle, poco importa. Il Lou Reed dell’epoca era un eroinomane, non è un segreto. Nei fatti a un certo punto di questa struggente canzone Lou cantava dei versi che, se possibile, erano più struggenti di tutto il resto della canzone, già piuttosto struggente di suo. Questi: “Just a Perfect Day/ You Made me Forget Myself/ I Thought I Was Someone Else/ Someone Good”. Una bella botta sui denti. Lou che grazie a una giornata perfetta per qualche ora ha pensato di essere un uomo migliore. Ecco, nel brano corale, che non a caso parte proprio con un Lou in grande spolvero e prosegue col suo amico di sempre David Bowie, l’uno vestito in pelle nera, l’altro in bianco, etereo, nel brano corale a cantare questo passaggio ci sono dapprima Dr John, anch’egli non più tra noi, poi lo stesso Bowie, anche se a chiudere e soccorrerci, almeno su questo frangente, arrivano Robert Cray e Huey Morgan dei Fan Lovin’ Criminal. Un colpo sui denti dato quando ormai di denti non ce ne sono quasi più, un po’ come nella bocca di quel Shawn Mc Gowan apparso poche battute prima. Ecco, foste anche voi dotati di un briciolo del mio talento nell’immaginarmi le cose sapreste focalizzarvi davanti agli occhi i miei occhi lucidi, velati di lacrime nel momento in cui Huey pronuncia quel suo caratteristico Yeah a chiudere la strofa, roba da pelle d’oca. Occhi velati che, non a caso, temo, inducono il mio subconscio a assestare il definitivo colpo da KO al mio povero cuore malinconico. Perché quello che io vedo, pur sapendo che non è vero, è che a chiudere il ritornello che segue, dopo Ian Broudie dei The Lightining Seeds, dopo Gabrielle e dopo ancora una volta Dr John è Michael Hutchence degli INXS, anche lui lì a gigioneggiare con le sue solite mosse sexy. Michael a cantare i versi “You Just Keep Me Hanging On”, un braccio a coprire in parte il volto. A volte la malinconia, o più in generale i sentimenti violenti cui siamo soggetti, ci inducono a dare una lettura distorta della realtà, anche di quella che conosciamo. Io so perfettamente che il Michael Hutchence che è lì a usare il verbo “to hang”, lo stesso che in inglese si utilizza per dire “impiccare”, è in realtà Evan Dando dei Lemonheads. Come so che la casualità tra la data di realizzazione del brano in questione, 17 novembre 1997 e quella in cui Michael Hutchence morirà, impiccatosi involontariamente durante un gioco erotico, il 22 novembre dello stesso anno, avrebbe reso il tutto forse troppo surreale. E tirare in ballo che Michael era al momento della sua morte il compagno di Paula Yates, ex moglie di quel Bob Geldof ideatore di Band Aid e autore di Do They Know It’s Christmas, anche lei morta suicida, per overdose, sorte poi toccata anche alla figlia dei due, Peaches, non avrebbe potuto far altro che rendere il tutto non più malinconico, ma cupo, di quella cupezza vagamente dark che proprio in quegli anni Ottanta iniziava a diventare un’attitudine diffusa, non solo in Inghilterra, ma anche nel resto del mondo. Nei fatti io ho letteralmente visto, coi miei occhi velati di lacrime, Michael Hutchense cantare quel passaggio, laddove a farlo è stato Evan Dando, fatto che mi ha ulteriormente immalinconito. Perché avere cinquant’anni mi ha spinto a guardarmi costantemente alle spalle, consapevole che la vita vissuta è con ogni buona probabilità più di quella che andrò a vivere, perché nel mentre di persone che non ci sono più è costellata la mia esistenza, persone che conoscevo personalmente come artisti che mi hanno semplicemente accompagnato con la loro arte, perché più semplicemente mi sto un po’ rincoglionendo, succede a tutti, anche ai migliori.

Nel corso dei miei cinquant’anni ho avuto modo di conoscere solo due dei tanti nomi citati in questo mio scritto. Lou Reed, ormai una vita fa, quando ho avuto l’onore di essere scelto da lui per tradurre con Nina Canizzaro in italiano il suo libro Ho Camminato Nel Fuoco, uscito per Strade Blu a cavallo tra i due millenni, e Midge Ure, un paio di anni fa, quando è stato ospite dei Decibel a Sanremo, per duettare con loro nel brano Lettera Dal Duca. Lou Reed, che era venuto in Italia per il tour di Ecstasy, mi era apparso molto in forma, iperpalestrato dentro una t-shirt decisamente troppo stretta per lui. Anche la band che lo accompagnava, all’Alcatraz, appariva così, un po’ troppo tonica di quanto uno sarebbe stato autorizzato a pensare considerando che quello era il Lou Reed che tanto avevo amato per tutti gli anni della mia vita, quello disperato, malinconico, sia che pensassi ai Velvet Underground che guardassi alla sua carriera solista, da Berlin a Tranformer, passando per New York o Songs For Drella col fido John Cale. Midge Ure, per contro, mi era apparso troppo invecchiato, senza più troppi capelli in testa, decisamente più vecchio della sua età anagrafica, seppur capace di tirare fuori dalla sua chitarra e dalle sue corde vocali quei suoni che così tanto me lo avevano fatto amare ai tempi degli Utravox e anche nei suoi lavori solisti. Lou Reed è morto. Midge Ure è lì che suona e canta, non che questa semplice constatazione comporti una qualche morale. Se non che io son qui che mi commuovo per uno Yeah pronunciato dal tizio dei Fun Lovin’ Criminals, non da Diamanda Galas, e forse questo qualcosa me lo dovrebbe pur dire. Tipo che sto invecchiando, che continuo a guardarmi troppo indietro e che sono vivo, anche.