Sempre più “artisti” usano la tecnica del lupo di cappuccetto rosso: si travestono da nonna per ingannare gli utenti

Alcuni trapper si stanno specializzando in "social washing", così possono agire in modo irresponsabile senza pagare pegno

Immagine da salernosera.it


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Una delle immagini più forti legate al mondo delle favole è quella del lupo di Cappuccetto Rosso. Il predatore affamato si traveste per sembrare la nonna di Cappuccetto, indossa la sua vestaglia, infila la cuffia da notte e altera la voce per far avvicinare la bambina e poterla mangiare. È il tema eterno della finzione maligna, dell’inganno mortale, del fingersi amici affidabili per poi dominare e distruggere. È un’abilità, quella della dissimulazione, che hanno imparato in tanti, che ha permesso ai dittatori di conquistare le Nazioni, ai potenti di farsi accettare, agli affaristi cinici di risultare simpatici, ed anche agli artisti “borderline” di agire in modo irresponsabile senza pagare pegno. Così come nelle questioni ambientali esiste il “greenwashing”, vale dire l’abilità di “ripulirsi” inventando un qualche impegno ecologista per poi essere liberi di inquinare a tutto spiano (ad esempio finanziare un’oasi protetta nei Caraibi, continuando però a scaricare sostanze tossiche nel fiume sotto casa), così anche nel mondo dello spettacolo esiste e prolifera una specie di “social washing, un sistema per far accettare cose che accettabili non sono. Alcuni trapper accedono alle reti televisive e ai talent show con testi nichilisti e violenti, con la poetica della suburra e l’atteggiamento del “cane sciolto”, ma con astuti manager e uffici stampa pronti a fornire qualche chiave interpretativa che salvi le apparenze e metta al sicuro gli incassi. Se hai cantato con compiacimento di droga e prostitute potrai cavartela dicendo che era la biografia di qualcun altro, se hai scritto insulti e bestemmie potrai spiegare che è una scelta linguistica, lo spaccato verace di una vita di periferia, se hai inneggiato ai soldi come scopo fondamentale dell’esistenza potrai sempre dire che stai facendo della critica sociale, e che la tua canzone voleva essere un atto di denuncia. Anche quando la cosa non sta in piedi, anche quando l’intervento dello staff appare inverosimile e truffaldino, si troverà qualcuno che farà finta di crederci: un giornalista per mostrarsi al passo con i tempi, un radiofonico per non rinunciare a trasmettere la hit del momento, un autore e un presentatore televisivo per non perdere quella fetta di pubblico che ha fatto del tipo livoroso e violento  il suo beniamino. Ora, tra i fenomeni del momento vanno annoverati quei  trapper che vantano repertori di testi da loro composti a dir poco inquietanti. Una delle canzoni di questi spontanei e crudi interpreti dell’universo giovanile allude ad un femminicidio dando voce all’uomo che lo ha commesso,  in altre canzoni viene esternato un sentimento di disprezzo verso la donna, con frasi vergognose. Ce n’è abbastanza per reagire, per mobilitare settori dell’opinione pubblica, per ribellarsi a questa schizofrenia che vede il moltiplicarsi sulle reti nazionali di temi come quello della droga, della prostituzione o della violenza di genere, e contemporaneamente la celebrazione di personaggi ambigui, che a quelle esperienze alludono con compiacimento. Alcuni farfugliano nelle interviste qualcosa circa un  presunto “impegno sociale”; altri si tengono a galla raccontando che la violenza verbale è solo una forma di creatività, che il loro linguaggio e vissuto è la conseguenza di un’assenza delle istituzioni, e tutto questo serve a rendere digeribile qualcosa di indigesto e  velenoso.
Per garantirsi la ribalta in televisione avranno uno staff pronto a sostenere che quella violenza è solo il riflesso dei tempi, che le cose dette vogliono significare altro, che è già pronta una dichiarazione di solidarietà dell’artista con le donne vittime della violenza; uno staff pronto a sostenere, insomma, che quel lupo travestito da nonna, a suo modo è una nonna vera, e che Cappuccetto Rosso non corre reali pericoli ed anzi può stare tranquilla. Sta solo all’intelligenza e al buon senso di chi gestisce i programmi e li guarda crederci. Oppure no.