Le vacanze di Natale sono il momento ideale per recuperare il tempo perduto e rovistare nell’ampia offerta cinematografica di Netflix. Film che spaziano tra tutti i generi, che vanno dal blockbuster ipercinetico modello 6 Underground di Michael Bay (non è esattamente il nostro genere di consiglio, ma volendo c’è anche quello) a interessanti film d’autore. Ecco una lista di dieci film da vedere su Netflix durante le feste.
The Irishman (2019) di Martin Scorsese
Obbligatorio cominciare dal film diretto da Martin Scorsese, con il terzetto De Niro, Pacino, Pesci. È una produzione Netflix, grazie alla quale la piattaforma giocherà un ruolo importante nella stagione dei premi, infatti sono già arrivate nomination ai Golden Globes e ai Sag Awards. È l’ultimo mafia movie del regista italoamericano, forse l’ultimo suo film in assoluto. Come opera-testamento è perfetta. The Irishman è una storia di morti. De Niro, giunto alla fine della vita, racconta la sua storia immorale di killer della mafia e guardaspalle del sindacalista Jimmy Hoffa. Ma grazie al processo di de-aging usato nel film, anche da giovani tutti i protagonisti sembrano dei vecchi. E ogni volta che compare un personaggio, una didascalia ci dice quando verrà ucciso e come. Un film lugubre che, senza far la morale, mostra l’inutilità e l’immoralità della carriera criminale. E quando De Niro sceglie il modello di bara per l’ultimo viaggio, forse finalmente capisce cosa è stata la sua vita. In aggiunta segnaliamo The Irishman In Conversation, col regista e i tre protagonisti che parlano della lavorazione del film. Qui la recensione estesa del film.
Storia Di Un Matrimonio (2019) di Noah Baumbach
Altra produzione Netflix, altro grande favorito agli Oscar. Baumbach ha firmato il suo capolavoro. Una storia di amori e soprattutto disamori borghesi, con una giovane coppia di successo che affronta il fallimento di un matrimonio giunto al capolinea. Il regista teatrale egomaniaco Adam Driver e la sua attrice musa Scarlett Joahnsson ostentano buone maniere e sperano in una separazione civile. Ma la realtà va oltre le aspettative e alla fine emergono i sentimenti e l’odio autentico. Un film a lenta combustione che, grazie alla scrittura calibrata e alle magnifiche interpretazioni (anche gli avvocati rapaci Laura Dern e Ray Liotta) ha il sapore della vita autentica. Per questo il pubblico si è identificato, trovando il film tanto bello quanto insostenibile. Adam Driver che canta Being Alive non si dimentica. Qui la recensione lunga.
Magnolia (1999) di Paul Thomas Anderson
Sono passati ormai vent’anni dall’uscita di questo film. Non ancora trentenne (è nato nel 1970), il regista aveva già diretto Boogie Nights, film sul mondo del porno in cui aveva messo in mostra un talento un po’ alla Scorsese (la sensibilità nel fondere musica e immagini in un montaggio fluido) e molto alla Robert Altman (la capacità di dirigere un cast corale). Magnolia va oltre, una storia affollatissima di personaggi e musica – la splendida colonna sonora di Aimee Mann – che ruota tutta intorno ai rapporti familiari, all’essere padri sempre inadeguati e figli sempre sbandati. Il regista non mostrerà mai più la stessa sincerità emotiva di questo film lancinante, di cui si stagliano nella memoria personaggi come il motivatore Tom Cruise, che tiene un corso dal titolo “seduci e distruggi” per conquistare le donne. Col senno di poi Thomas Anderson ha detto che sarebbe stato meglio sfrondarlo di mezz’ora, ma il film funziona benissimo così, debordante, eccessivo, con un pizzico di megalomania. Come la pioggia di rane del finale, che ancora oggi affascina, sorprende, ci interroga.
The Other Side Of The Wind (2018) di Orson Welles
Molto più di uno dei dieci film da vedere su Netflix. Questo è stato l’evento cinematografico del 2018. The Other Side of the Wind era un film fantasma, cento ore di girato che dormivano da decenni dentro un istituto di cultura iraniano a Parigi – perché tra gli originari produttori c’era il cognato dello Scià di Persia! Coi soldi di Netflix si è riuscito a riesumarle e farle montare dal premio Oscar Bob Murawski. Filologicamente è difficile dire se sia un film “di” Orson Welles. Ma c’è il suo cinema: sovraccarico, pieno di personaggi, storie e anche formati – 35 e 16 millimetri, super 8, bianco/nero e colore, tra documentario, cinema e film nel film iperpsichedelico. E c’è un protagonista wellesiano: l’enigmatico, bigger-than-life Jake Hannaford (un magnetico John Huston), regista settantenne in panne che cerca di rilanciare la carriera con un filmetto aggiornato ai gusti del momento. The Other Side Of The Wind è un’opera caleidoscopica, che insiste sui temi cari al regista, una mescolanza di verità e finzione in cui tutto è palesemente, se non falso, recitato. L’ultimo labirinto, postumo, di Orson Welles.
Detroit (2017) di Kathryn Bigelow
Un film che racconta fatti terribilmente sgradevoli in modo sgradevole. La Bigelow avrebbe potuto molto comodamente rappresentare dall’esterno le violenze razziali perpetrate della polizia di Detroit negli scontri del 1967, e svolgere il compitino del film di denuncia con messaggio incorporato. Invece si immerge nell’orrore, getta la macchina da presa in mezzo alle cose, anche a costo di perdere oggettività e lucidità. Conduce il gioco fino alle estreme conseguenze, portandolo avanti per una durata esorbitante e insostenibile. L’effetto è discutibile e per questo fa discutere davvero, senza offrirci una morale preconfezionata. In questo senso è un film autenticamente politico: che non consola lo spettatore ripetendogli le idee che ha già in testa, ma lo obbliga a interrogarsi sull’intrinseca ambiguità della realtà e delle immagini che scorrono davanti ai suoi occhi.
La Grande Scommessa (2016) di Adam McKay
Quando uscì fu una sorpresa, un film serio da parte di un regista di commedie grossolane tipo Anchorman. La Grande Scommessa è un’opera rutilante che ripercorre la crisi economica dell’ultimo decennio. Poiché il mercato finanziario che l’ha prodotta ha regole folli, il film sceglie uno stile corrispondente, inclassificabile e senza precedenti. C’è il narratore che guarda in faccia lo spettatore e invece di rassicurarlo lo introduce nel girone dantesco di individui esaltati dall’ambizione e la sete di danaro. Ci sono siparietti didattici con testimonial famosi che spiegano all’uomo della strada cosa è successo davvero. C’è il documentario sarcastico con voce off e fermi immagine alla Michael Moore. Sotto tutto questo cova il dramma della gente perbene stritolata dal sistema. Un film dallo stile sbilenco, traballante, sempre sul punto di franare. Esattamente come la storia e il mondo che racconta. Qui la recensione lunga.
Diego Maradona (2019) di Asaf Kapadia
500 ore di girato di materiali in gran parte inediti messi a disposizione dalla famiglia con cui il premio Oscar Asif Kapadia fa quello che gli riesce meglio, un certosino lavoro di incastro che dà vita alla storia di Diego Armando Maradona, “ribelle, eroe, sfrontato, dio”, come recita il sottotitolo. Il regista costruisce un ritratto a tutto tondo degli anni napoletani del calciatore, che fotografano l’uomo e il mondo a volte paradossale e fanatico che gli ruotava intorno, facendogli anche del male. Il documentario attraverso un montaggio asfissiante smonta retoriche consolidate, svela dettagli sorprendenti, mostra la maschera e il volto del campione, il ragazzino indifeso e il personaggio pubblico, raccontato pure nel suo lato oscuro, rinunciando però a brividi scandalistici. Cinema senza sconti e senza accomodamenti. Questo è uno dei nostri dieci film da vedere su Netflix. Ma sulla piattaforma, da non dimenticare, c’è anche il precedente film di Kapadia, Senna, dedicato al campione di automobilismo.
Mad Max: Fury Road (2015) di George Miller
Alla fine del 2019, uno dei giochi più in voga è quello di stilare la lista dei film del decennio. Titolo immancabile, spesso al primo posto, è Mad Max: Fury Road. Il settantenne George Miller dopo gli imbarazzanti pinguini di Happy Feet lo si immaginava in pensione. Invece s’inventa un film arrembante, di messa in scena selvaggia. Immagina un futuro distopico segnato dalla penuria di cose e cibo, un mondo in cui gli esseri umani sono ridotti a ingranaggi della macchina totalitaria, che li usa come di pezzi di ricambio. Ma gli uomini non rinunciano a cercare il proprio posto nel mondo. Più che gli uomini, le donne. Perché il vero protagonista di questa storia femminista non è il Max di Tom Hardy, ma la guerriera Charlize Theron. Miller gira a mille all’ora e rifiuta la pulizia anestetizzante del digitale, sbattendoci in faccia un mondo di polvere, deserto, carne e sangue. Pieno di personaggi che sembrano solo rabbiosi, e che invece portano dentro di sé un grumo di sentimenti ostinatamente umani.
Okja (2017) di Bong Joon-ho
Parasite, la tragicommedia sulla lotta di classe a Seoul, è considerato da tanti il capolavoro del 2019. Netflix, che evidentemente sa vederci giusto, di Bong Joon-ho aveva prodotto il precedente Okja. Che, passato in concorso a Cannes, s’era attirato addosso tante critiche perché secondo molti era assurdo che a un festival del cinema prendesse parte un film non destinato alle sale. Stiamo parlando di appena due anni fa, eppure sembra un tempo lontanissimo, in mezzo al quale ci sono stati il fenomeno Roma di Cuarón, prodotto da Netflix e vincitore di tre Oscar, e adesso The Irishman e Marriage Story, destinati a risultati ancora più rilevanti. Per colpa del trambusto Okja finì nel dimenticatoio. E va assolutamente recuperato, perché è una favola ecologista al vetriolo con al centro un animale geneticamente modificato (come, a parere di alcuni, i film di Netflix), che parla di capitalismo e società dello spettacolo. Un film che mostra il talento del regista per i racconti nel segno del mescolamento di generi e sentimenti. Meno ambiguo e più didascalico di Parasite, ma non meno feroce.
Un Sogno Chiamato Florida (2017) di Sean Baker
Moonie, Scooty e Jancey vivono in Florida, a due passi da Disney World. La loro storia però non ha nulla di fiabesco, perché stanno in uno di quei motel da due soldi che nascondono dietro le superfici colorate lo squallore di vite sbandate, famiglie quasi sempre composte solo da madre e figli, perché i padri non si sa dove siano. I bambini tutto questo lo capiscono fino a un certo punto e allora il loro quotidiano è condotto secondo uno spirito di avventura che possiede una sua poesia, anche se incastrata in un mondo che non offre spazio ai sogni. Concludiamo questa lista dei dieci film da vedere su Netflix con Sean Baker, una delle voci più fiere del cinema indipendente americano, che del paese racconta i margini e non il centro. Con questo film asciutto e commovente ha ottenuto maggiore visibilità, grazie anche alla partecipazione di Willem Dafoe, magnifico nel ruolo di comprensivo tuttofare del motel, che gli ha regalato anche una imprevedibile nomination all’Oscar. Un film che non nasconde la sgradevolezza, non si fa illusioni e però immagina una dolcezza possibile.