Billie Eilish, tanti auguri! E viviti bene il mondo degli adulti, con o senza tette in trend topic

La neomaggiorenne si è scagliata contro la rivista tedesca Nylon, rea di aver messo in copertina una sua immagine, tutta rielaborata in grafica, che ce la mostrava come un androide in topless

Foto Youtube/AwesomenessTV


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Oggi Billie Eilish compie gli anni. Oggi Billie Eilish diventa maggiorenne. Auguri a lei.

E auguri anche a noi.

Perché?

Ve lo spiego.

Un paio di mesi fa è stato un anniversario importante per chiunque ami la letteratura e il calcio. Come se fosse possibile amare la prima senza amare anche il secondo. Comunque, un paio di mesi fa è stato il centesimo anniversario della comparsa sul pianeta Terra di quel genio indiscusso di Gianni Brera, letterato prestato indegnamente, perché indegno è il mondo a cui venne prestato, al mondo del giornalismo, indefesso tifoso del Genoa, giocoliere delle parole, postmoderno, suo malgrado, quando il postmodernismo nelle nostre lettere era poco più di un pensiero. A lui si devono tante belle intuizioni, e anche alcuni di quei termini che sono entrati, a gamba tesa verrebbe da dire, nel vocabolario di chi di calcio scrive e parla, da incornare, centrocampista, melina, goleador, libero, disimpegno, rifinitura a contropiede. Solo per dirne alcune. Nei fatti sentirlo parlare e ancora di più leggerlo, per me che ero un bambino, prima, e un ragazzino, poi, è sempre stato un vero e sommo piacere, una cosa quasi fisica, come fisica era la sua lingua alta e al tempo stesso bassa, terrena, terrestre, campestre.

Ecco, non so se sia stato Gianni Brera a coniare anche il termine fluidificante. E non so neanche se sia un termine ancora in uso, per mia abitudine non ascolto se non costretto con la violenza quello che dicono i telecronisti mentre guardo le partite. Li trovo tutti odiosamente tecnici e così poco poetici.

Dicevo, non so se sia stato Gianni Brera a coniare anche il termine fluidificante, aggettivo con il quale si intendeva indicare quei giocatori che, nascendo difensori di fascia, si prendevano la licenza di andare lungo la linea laterale del campo, su su, fino all’attacco. Stiamo parlando, lo dico per i Millennials all’ascolto, sempre che esistano Millennials che si riconoscono in questo orribile termine e al tempo stesso seguano il calcio provando anche a studiarne la storia, non solo la stretta misera attualità, stiamo parlando, dicevo, di un calcio assai diverso dal nostro, quello dell’epoca di Gianni Brera, appunto, più strenuo difensore al mondo del cosiddetto, da lui, Catenaccio, vale a dire quel gioco difensivissimo, con tutti i difensori in linea a ergere una sorta di muraglia da fortezza di fronte alla porta, pronti poi a ripartire in contropiede. Il Made in Italy ai tempi del boom, potrei chiosare. Ecco, il fluidificante era quel giocatore lì, il terzino che poi diventava quasi un’ala, e che volendo si toglieva anche lo sfizio di segnare goal. Non uno, per caso, in mischia, ma un numero consistente, importante.

Ecco, non so se sia stato Gianni Brera a coniare anche il termine fluidificante, potrei chiederlo a GianFelice Facchetti, il figlio di colui che più di ogni altro, credo, abbia incarnato il termine in questione, Giacinto Facchetti, terzino fluidificante dell’Inter e della Nazionale di calcio, per dirla sempre con quel gergo calcistico lì, col vizio del goal. Io e GianFelice Facchetti ci vediamo tutti i giorni, anche se credo non ci siamo scambiati più che qualche saluto, spesso fatto di cenni con gli occhi. I nostri figli frequentano la medesima scuola, ma non la stessa classe, anche se spesso si ritrovano a giocare nel campetto di calcio del parco antistante. Anche lì, credo sia una faccenda di genetica, si intuisce chi è parente di chi. Perché mio figlio è una sorta di gigione funambolico, uno che non sta zitto un attimo anche mentre gioca a calcio, votato all’attacco non so se più per talento o per una mera faccenda di esibizionismo, chiamato dagli amichetti Bomberito, ma sarei disposto a scommettere che l’idea iniziale sia venuta a lui, il figlio di GianFelice, quindi il nipote di Facchetti è elegante, essenziale, ha senso della posizione, c’è ma non si vede, se non per il fatto di essere sempre lì, quando deve esserci. Ma una parola di troppo, un po’ come ricordo giocasse il nonno. E dire che il padre è un uomo di teatro, anche di televisione.

Glielo devo chiedere, questa faccenda del fluidificante, perché, a dispetto di tante altre parole che dal calcio sono poi finite nel nostro vocabolario quotidiano, e che in qualche modo sono riuscite in quel mezzo miracolo di affrancarsi dal loro ristretto campo di competenze, la parola fluidificante, che in effetti rendeva bene l’idea di chi scivola sulla fascia, incontenibile, l’ho sempre trovata orrenda. Non quindi perché non rendesse l’idea, ma perché la parola è brutta in sé, cacofonica, e anche perché richiama alla mente situazioni che, in tutta sincerità, poco consone al caso. Cioè, lo dico da scrittore, se per descrivere una discesa sulla fascia di Antonio Cabrini, sì, sono nato nel 1969, ognuno ha i terzini di riferimento che si merita, devo paragonarlo a qualcosa che, nella mia mente, è legato all’altrettanto orrenda pubblicità televisiva anni Ottanta dell’antigelo Paraflu, converrete, c’è qualcosa che non va. Fluidificante è per me parola relegata dentro il serbatoio dell’acqua della macchina, Dio, adesso non mi toglierò più dalla testa l’esquimese del famoso spot, non certo sulla fascia laterale sinistra, perché diciamocelo, da che mondo è mondo il fluidificante, come le migliori ali, stanno a sinistra, salvo rare eccezioni che non sarò certo qui a elencare.

Oggi, però, la parola fluido sembra essere tornata molto di moda. Troppo di moda.

Se ne parla in più campi, non certo quelli del calcio, dove l’idea di un difensore che possa diventare all’occasione attaccante è morta nel momento in cui il calcio Olandese, prima, quello sacchiano, poi, ha reso quello che è legittimamente considerato, almeno da chi scrive, lo sport più bello del mondo qualcosa di più simile a una simulazione fisica di una partita dell’Xbox, tutta fisica e atletica e al tempo stesso mentale, ma tutta anche molto poco fantasiosa, irregolare, anarchica.

Fluida è la musica, ci vogliono dare a intendere quelli che in qualche modo si trovano, loro e nostro malgrado, a guidare la macchina, ricordiamolo sempre, una macchina che sta correndo all’impazzata contro un tir che giunge dalla parte opposta, laddove invece sarebbe semmai da definire vaporizzata, non più tattile, impossibile da decifrare, anche piuttosto fastidiosa, a dirla tutta. Fluida perché, appunto, non più fisica, concreta, oggettificabile, inscatolabile.

Fluida è la società, o meglio, liquida, e qui ovviamente tiro in ballo, in maniera superficiale Bauman, superficiale perché citare en passant Bauman in un articolo che parte da Brera e finisce a Billie Eilish, perché fra un po’ si tornerà a parlere di Billie Eilish e del suo diciottesimo compleanno, i titoli non si trovano lì per caso, non può che essere superficiale, forse anche un po’ pretestuoso, e superficiale anche perché ben conosco la differenza tra liquido e fluido, ma fingo di ignorarla tanto per tirare in ballo la morte del senso di comunità, il soggettivismo, il consumismo, la frammentazione dei valori, l’incertezza assurta a unico punto fermo.

Fluida, soprattutto, è oggi la sessualità. Non scrivo per una di quelle riviste alla moda, un tempo suppongo avrei detto “un femminile”, attendo aggiornamenti a riguardo, quindi non mi soffermerò a lungo neanche su questo aspetto. Si tratta, per dirla con poche parole, di questa cosa che oggi sembra sia diventata la norma, per cui non esiste più una distinzione di sessi, tutto è appunto fluido, niente eterosessualità, pansessualità, asessualità, omosessualità. Sesso fluido, le persone invece che i generi, detta in parole molto povere. Il sesso fluido dovrebbe essere l’oggi della Generazione Z, quella che segue i Millennials, vado a naso non essendo ferrato nel settore né Douglas Coupland, ahimè.

Bene. Proviamo a chiudere il cerchio, sempre che abbia senso chiudere qualcosa parlando di fluidità.

Siamo partiti da Brera, da Giacinto Facchetti, dobbiamo arrivare a Billie Eilish. Anzi, dobbiamo arrivare al corpo di Billie Eilish, che della sua musica si è già detto molto, personalmente ne parlavo in tempi non sospetti un anno e mezzo fa.

Billie Eilish è oggi la Popstar. La Popstar ragazzina che proprio oggi diventa maggiorenne. Quella più rappresentativa dell’oggi, per come è arrivata, partendo dalla rete e, a differenza per ora di un Lil Nas X, invadendo la rete non con un solo colpo grosso, e per il tipo di musica che fa, quella sì fluida, capace di mettere d’accordo sia i suoi coetanei, la Generazione Z di cui sopra, sia i più vecchi, che in lei, e magari anche nel fratello compositore/arrangiatore Finneas O’Connell (questo il cognome vero di Billie Eilish), e nel suo album When We All Fall Asleep, Where Do We Go?, un piccolo capolavoro, una via di mezzo tra i grandi classici, cui i più vecchi continuano giustamente a guardare con la nostalgia che Simon Reynolds (e dopo aver trattato superficialmente Zygmunt Bauman è la volta di Simon Reynolds, signore e signori) ha cristallizzato nel suo capolavoro Retromania, e il contemporaneo, versione un po’ meno classica e un po’ più contemporanea di Sia, colei che qualche anno fa ha fatto battere il cuore ai medesimi vecchi.

Billie Eilish è la Popstar, e in quanto Popstar è colei al cui corpo, pensiamo al passato, da Michael Jackson a Madonna, passando per Prince, diventare in qualche modo icona, simbolo, transustanseazione, seppur impigliato nella questione dell’essere ancora minorenne, diciotto anni ancora da compiere.

E qui veniamo all’oggi, alle ultime notiziole a riguardo, che in qualche modo hanno aperto la strada a questi pensieri sparsi.

Sempre un paio di mesi fa, cioè quando si sarebbe dovute celebrare molto di più il centesimo anniversario della nascita di Gianni Brera, Billie Eilish, il cui look tipo prevede da sempre t-shirt oversize, un po’ su quella falsa riga cui ci hanno abituato nel tempo i rapper, si è scagliata in maniera piuttosto violenta con la rivista tedesca Nylon, rea di aver messo in copertina una sua immagine, tutta rielaborata in grafica, che ce la mostrava come fosse un androide. Il fatto curioso, che ha scatenato l’ira della nostra, in questo sì perfetta Popstar, non è tanto che l’immagine la mostrasse completamente pelata, perché l’androide nel nostro immaginario non porta i suoi classici capelli verdi, ma che fosse in topless. Topless, va detto, che però si poteva appena intuire, non mostrato direttamente, e che in tutti i casi rifuggiva ogni pruderie, essendo quella Billie Eilish, nelle intenzioni evidente del magazine tedesco, un androide, non una ragazza né una sex doll di quelle di cui ogni tanto si legge sulle medesime riviste di cui sopra.

Billie Eilish ha sbroccato, di brutto, perché nessuno le ha chiesto il permesso di rielaborare la sua immagine, fatto curioso, perché se si è personaggi pubblici si dovrebbe essere abbastanza abituati a questo, e perché lei, ancora diciassettenne, non gradiva mostrarsi in maniera così spudorata, in topless, appunto.

A parte aver dato pane a parecchi siti e giornali, che ovviamente ne hanno parlato, fatto che ha reso quella copertina poco gradita ancora più potente e visibile, la faccenda si sarebbe serenamente potuta archiviare sotto un generico titolo “sticazzi”, perché di Popstar che sbroccano è pieno il firmamento.

Visto quanto detto prima faceva sorridere pensare come colei che ho indicato come esempio precedente di Popstar contemporanea, la più stagionata Sia, abbia avuto reazioni molto diverse da quelle di Billie Eilish, magari aiutata dall’anagrafe. La storia la conoscete tutti, Sia non ha faccia. O meglio ce l’ha, ce l’ha avuta anche nei primi anni della sua carriera, prima come cantante degli Zero 7 e poi come solista, ma con ancora il cognome Furler. Poi, a un certo punto, sfonda da solista, con l’album 1000 Forms of Fear, e di colpo la sua faccia sparisce dalle scene. Sparisce tutta lei, a dire il vero, sostituita dalla mini-Sia, la giovanissima ballerina Maddie Ziegler, da quel momento suo alterego pubblico. Quando però in qualche modo deve apparire è sulla capigliatura che Sia gioca, indossando parrucche biondo platino, o bicolori, che coprono del tutto il viso. Un modo per esserci non essendoci, passo intermedio tra Salinger e i Daft Punk. Ma Sia esiste, e come tutti può essere paparazzata. Fatto che è in effetti accaduto nel novembre del 2017. Un suo scatto è stato rubato da un paparazzo. Uno scatto che non ne mostrava però il viso, ripeto, facilmente rintracciabile in rete, perché uscito di scena dopo anni e anni di presenze, ma il suo culo. Sì, un paparazzo ha immortalato il culo di Sia da lontano, con un teleobiettivo, e ha provato a vendere lo scatto a qualche rivista scandalistica. Solo che Sia è Sia, e una volta saputo della cosa ha ben pensato di rendere lei stessa pubblica quella foto, postandola sui social a beneficio di chi la volesse vedere. Un modo per rendere nulla l’asta per acquistarla, e anche per depotenziarne il valore. Usare il proprio culo per fare il culo agli altri, applausi per Sia.

Sia che, va detto, è del 1975, non del 2001, quindi ha sicuramente col suo corpo e anche con la sua carriera un rapporto differente di quello che ha Billie Eilish, ciò detto, e ci mancherebbe pure altro, ognuna di loro, come i chiunque altra, è libera di fare del suo corpo il cazzo che vuole, anche senza bisogno che ci sia io qui a dirlo.

Più recentemente, però, Billie Eilish ci ha fatto sapere, attraverso una intervista concessa a Elle, che una volta compiuti i diciotto anni, quindi oggi, 18 dicembre, potrebbe abbandonare definitivamente il look con cui l’abbiamo conosciuta, un look oversize, per mostrare le sue forme. E ci ha anche spiegato, nel dettaglio, perché si sia sempre presentata con questo tipo di look, per una faccenda legata alle sue tette oversize. Ha raccontato che, tempo fa, qualcuno ha postato una sua foto sui social in bikini, era tipo un boomerang, fatto che ha scatenato i suoi fan. Così di colpo le sue tette sono finite in vetta ai trend topic di Twitter, ripresa da siti, giornali e anche dalla TV. Tutti a parlare delle sue tette. Un fatto per lei, ovviamente, sconvolgente, che l’ha spinta a indossare quella che a questo punto è una sorta di corazza, più che di divisa. Nel dirlo, Billie Eilish ha ancora una volta sottolineato che anche per questo è sbagliato, da parte dei suoi fan, insultare chi si veste diversamente da lei. La sua è una necessità, il solo modo per non mostrare tette troppo grandi, e per non farle finire in trend topic.

Dal 18 dicembre 2019, oggi per chi legge questo articolo nel giorno in cui viene pubblicato, però, tutto questo dovrebbe e potrebbe cambiare, perché una volta diventata maggiorenne, ci dice Billie, una volta quindi diventata donna, vorrebbe mostrare il suo corpo, non nasconderlo più. Un passo importante, seppur nella consapevolezza che il tutto verrà biasimato da molti.

Curioso, detto en passant, che per Billie Eilish compiere diciotto anni significhi diventare donna, e che mostrare le tette sia un modo per rivendicarlo, non perché mostrare le tette non sia un modo legittimo per rivendicare l’essere donna, ripeto, Billie Eilish farà il cazzo che le pare, ma perché vedere nella propria data di nascita, e nel passaggio dal non essere all’essere maggiorenne un qualche confine tra l’essere e non essere donna mi appare, sarò anche io libero di dirlo, suppongo, quantomeno buffo.

Essendo di una generazione differente, che aveva un rapporto col proprio corpo un po’ meno fluido, se me lo chiedesse (ma non me lo chiederà, quindi questo mio dire verrò sicuramente letto come mansplaining, amen) le suggerirei di incazzarsi meno se qualcuno rielabora le sue immagini, come il magazine Nylon, che per altro voleva celebrarla proprio come icona della musica digitale, e al tempo stesso di prendersela con calma riguardo al mostrarsi o non mostrarsi, caricandolo un po’ meno di significati che forse sarebbe il caso non venissero dati a un paio di tette, grosse o meno che siano. Non per bigottismo, figuriamoci, ma proprio perché il ragionamento espresso sembra un po’ confuso. Il tutto detto rispettando al massimo l’autodeterminazione e cercando di uccidere una volta per tutta l’innato paternalismo tipico della mia generazione. O forse semplicemente raccontato male.

In questo sì molto ma molto adolescenziale, da perfetta incarnazione della Generazione Z.

Intendiamoci, quando Miley Cyrus ha deciso di mettere in scena il suo passaggio da adolescenza a età adulta, con l’accelerazione repentina che da Hannah Montana l’ha portata al twerking e a Terry Richardson, un certo effetto dirompente sull’idea di corpo, e di corpo esibito, e di libertà di gestire il proprio rapporto col proprio corpo per una popstar, anche se con un pubblico adolescente, lo ha sortito. L’augurio che si può fare a Billie Eilish è di viversela bene, tette o non tette in trend topic. Auguri, benvenuta nel mondo degli adulti.