Franco Battiato è talmente carismatico e apprezzato nel panorama musicale italiano, che spesso si dimentica il modo avventuroso e provocatorio con il quale l’artista siciliano è apparso sulla scena negli anni Settanta. I suoi dischi sono capolavori di stile e la sua presenza, in ogni contesto – compresa la sua apparizione anni fa a Sanremo in coppia con Luca Madonia – è percepita come quella di un artista “classico”. In realtà, la cifra artistica di Battiato è frutto di una lunga sperimentazione, una tenace militanza ai margini del sistema musicale e spesso contro di esso, contro i suoi schemi e i suoi standard. In effetti, benché ai margini dei grandi circuiti musicali, allora come oggi dominati dagli autori anglosassoni, il nostro Paese non fu estraneo ad alcuni filoni innovativi. Da Juri Camisasca a Claudio Rocchi, da Andrea Chimenti a Nadma, la scena italiana, allora territorio quasi esclusivo della musica leggera, fu comunque teatro di sperimentazione. Questa ricerca stilistica il più delle volte non ebbe la forza di uscire dai circuiti undergorund e rimase sottotraccia rispetto ad un mercato musicale ancorato ai canoni ben definiti della nostra tradizione. Fortunatamente non mancarono le eccezioni.
Se Fabrizio De André è stato, a modo suo, un innovatore e ancora di più un “contaminatore”, sia pure nel solco dello stile cantautorale, a cercare nuove vie è stato per l’appunto Franco Battiato. Racconta Antonello Cresti, saggista, giornalista e compositore: “Battiato è figura chiave della scena più freak e sperimentale degli anni Settanta italiani, non solo come autore e instancabile performer, ma anche come aggregatore di talenti. Nel 1973, giunto al terzo album (“Sulle Corde di Aries”) Battiato raggiunge una sintesi invidiabile che, partendo dal minimalismo di Riley inserisce melodie pop, tessiture mediterranee e massicce partiture elettroniche per raggiungere un equilibrio stupefacente tra linguaggi apparentemente discordi”. Ed è proprio negli oltre 15 minuti del pezzo “Sequenze e Frequenze“, brano di apertura dell’album, che Battiato – come ricorda Cresti – mette a punto quel cantato in falsetto che caratterizzerà molta produzione successiva. Iniziato nei primi anni Settanta con “Fetus”, il periodo sperimentale più spinto di Battiato durerà sino alla fine degli del decennio quando tornerà ad un formato più tradizionale grazie al quale, forte di una maturità artistica ottenuta anche sulla scia della sua personale recherche, si impone all’attenzione del grande pubblico. Pezzi quali “Bandiera Bianca“, “Centro di Gravità Permanente“, “Voglio Vederti Danzare“, “L’Era del Cinghiale Bianco“, “La Cura” sono entrate a far parte, a pieno titolo, del nostro patrimonio musicale. Poi, nel 2010, a chiusura del cerchio, è tornato all’esperienza sperimentale. Del resto, Battiato – disse di lui il critico Bertoncelli – è sempre stato inclassificabile, negli anni Settanta entrava in scena, accendeva uno stereo con musica assurda e se ne andava; il pubblico lo rincorreva inferocito…
E’ uscito da poco, il 18 ottobre, un album “Torneremo Ancora” e l’omonimo singolo inedito, dove il maestro, con una voce instabile ma unica, una melodia e un testo fuori dalle mode e dal tempo parla di migrazione di anime, della trasformazione della vita, di spiritualità, in un flusso di pensiero e di note che rende l’ascolto commovente. Il suo manager, Franco Cattini, ha dichiarato che questo cd, contenente i classici di Battiato registrati dal vivo nel 2017 con la Royal Philarmonic Orchestra, sarà l’ultimo lavoro dell’artista siciliano, in quanto non esiste altro materiale, e le condizioni di salute di Franco sono precarie.
In questo momento in cui la musica sembra andare in tutt’altra direzione, niente è più sperimentale di questo capolavoro, in linea con chi, fuori dal coro, ha lasciato e continua a lasciare un segno indelebile.
Da ascoltare, fermando il mondo per qualche minuto.