Sono tante le storie di giovani italiani in fuga per lavoro all’estero. Noi di OptiMagazine le stiamo raccontando. Chiamateli come volete ma la sostanza non cambia. Non siamo capaci di creare le condizioni per riconoscerne il loro valore, la loro professionalità, non siamo capaci di inserirli in contesti lavorativi adatti ai loro profili di studio, di utilizzare il loro bagaglio culturale, la loro passione nel voler dare un contributo all’economia del loro Paese: l’Italia. E questo succede da Nord al Sud. Un appello alla politica di fermarsi a riflettere. A rivedere i vostri programmi e le vostre visioni, se per caso ne avete messo in campo qualcuna che riguardi questi giovani che “scelgono” di andare via. Quella di Andrea Badellino, è una storia emblematica. Mi chiedo perché dovrebbe essere ottimista?
“L’amarezza è un sentimento che non mi abbandonerà mai, mi fa sentire meglio il fatto che non sia l’unico in questa condizione”, così attacca Andrea Badellino, 34 anni, di Torino, nato nel quartiere Madonna di Campagna nella periferia Nord della città. Attualmente lavora in Irlanda, vicino Cork, alla Pepsi come R&D Assistant Scientist nel team analitico.
“Sono laureato in Scienze Zootecniche – racconta Andrea – con una specialistica in Scienze e Tecnologie Agrarie alla Facoltà di Agraria di Grugliasco (TO). Laurea che permette di apprendere la gestione non solo degli allevamenti ma dei territori, monitorare la produzione dei prodotti di origine animale sia su piccola che su larga scala. Sono partito all’età di 30 anni alla ricerca di un’occupazione. Delusissimo dalla politica e dal sistema italiano, “il Sistema dei più furbi”. Poi noi italiani ci facciamo sempre riconoscere, basti vedere i gruppi facebook “Italiani a…” pieno di luoghi comuni, di persone che chiedono aiuto e lo pretendono perché “fra italiani ci si aiuta”; connazionali che litigano tra loro per futili motivi che non sto a elencare. Per fortuna non ho mai avuto bisogno di questi gruppi, né tanto meno dell’aiuto di qualcuno. Il fatto di essere partito alla cieca e di essermi costruito una seconda vita qui in Irlanda in modo indipendente, mi fa sentire forte. Forza che è cresciuta piano piano, sin dal primo giorno. Non avevo mai fatto un viaggio in queste condizioni, dove non si ha nulla da perdere e la paura per il futuro è sempre presente. Il primo giorno passato a Galway prima di sbarcare sull’isola, è difficile descriverlo in termini di emozioni. Ricordo che pensavo molto ai miei genitori, dispiaciuto per loro che dopo gli sforzi di una vita intera, non erano riusciti ad assicurarmi un futuro tranquillo vicino a loro. Non me ne hanno mai parlato ma lo si capisce guardandoli, tutte le volte che riparto”.
Un percorso di studi poco comune..
“E’ vero. Una laurea insolita, scelta un pò per caso. Non mi sono mai sentito stimolato dal sistema scolastico italiano e dopo il liceo, privo di passioni particolari, ho cercato di scegliere tra i corsi di laurea più redditizi (cioè coi quali si potesse trovare facilmente un lavoro) e così ho affrontato il test a numero chiuso di Fisioterapia. Risultati? Quattrocentesimo su poco più di settecento iscritti. Ho così deciso di iniziare un corso di laurea a ingresso libero, con il primo anno composto dalle stesse materie presenti nel test, in modo di riprovarci l’anno successivo. Il corso scelto è stato Agraria in Produzioni Animali. Dopo un anno scopro di nutrire un particolare interesse per QUESTE MATERIE legate alla natura e alle tradizioni della nostra regione e non solo (un esempio i formaggi che ritroverò poi nella mia tesi di laurea Triennale). Consapevole delle poche speranze di entrare in fisioterapia decido di continuare. Durante gli studi non mi trovo benissimo con l’ambiente e mi perdo, so già che sarà difficile trovare un lavoro (erano gli anni precedenti la crisi, 2006-2010) e abbattendomi, impiego parecchio tempo nel laurearmi, quasi 5 anni”.
Dopodiché..
“Ho iniziato la laurea specialistica, conclusa in tre anni, con un Erasmus in Spagna, la tesi in Danimarca presso l’Università di Aarhus e un tirocinio curriculare nel laboratorio della Centrale del Latte di Torino. Avendo fatto un pò di esperienza di laboratorio, ho iniziato così a cercare lavoro nelle aziende alimentari come addetto controllo qualità, tecnico di laboratorio. Questo per circa un anno. Avrò mandato un migliaio di curriculum ottenendo soltanto 4 colloqui: 1) Ikea: colloquio di Gruppo durato 5 ore, ruolo: scaffalista!!!!!!!!!! No feedback; 2) Tirocinio retribuito ALLA Cargill (multinazionale USA) presso Fiorenzuola/ feedback: il responsabile non se la sente di farti muovere fino a Piacenza (come se davvero gliene importasse qualcosa); 3) Responsabile Qualità presso Reggio Emilia (non ricordo l’azienda) / feedback 0 – giornata persa 1; 4) Azienda Alimentare presso Torino Nord: domanda 1: qual è il tuo nome? Domanda 2: ma lei non è laureato in Scienze Alimentari? (lo avranno letto il cv?).
Una situazione piuttosto avvilente? “Decisamente. Non trovando dunque lavoro E inoltre sentendomi un peso per la famiglia (anche se loro negheranno sempre) comincio a programmare la mia fuga”.
Per trasferirti all’estero? “Si. Dopo un anno decido di partire per l’Irlanda, decisione presa quasi a caso, più che altro per la lingua (si parla solo Inglese a differenza degli altri paesi, come Olanda o Danimarca) e inizialmente ho pensato non fosse meta di tanti Italiani e altri stranieri e invece… Non volendo chiedere soldi ai miei genitori, decido di iscrivermi al WWOOF (World Wide Opportunity on Organic Farm) e l’applico in diverse farm irlandesi (per intenderci, si lavora e si riceve vitto e alloggio). Ricevo una risposta positiva da una fattoria con capre da latte, situate nell’isola più grande delle Aran Islands, Inishmore. Sono le isole che si vedono in lontananza dalle Cliffs of Moher (meta super turistica, dove le persone rischiano la vita per un selfie). Avevo un solo obiettivo…”
Quale?
“Di lavorare tre mesi in questa fattoria, migliorare il mio inglese e mandare curriculum (usando la voxpro ecc., lavori tra i più richiesti perché si parla anche italiano). I tre mesi in fattoria sono stati molto pesanti, abbiamo dovuto pulire anche la casa dove alloggiare. La mattina davo da mangiare ai maiali che stavano in uno shed (una casupola di pietra) e trovavo sempre tantissimi ratti, il mattino mi toccava allattare una settantina di capretti che dovevo separare dalle madri per fare poi la mungitura, poi la pulizia della stalla e il trasporto manuale dei sacchi di mangime di circa 10 chili”.
Ti sei sottoposto ad una prova durissima?
“Si. Per non parlare delle zecche che ho preso, lo sfruttamento che ho subito (mi faceva sgobbare tantissime ore) e, talvolta, mi assaliva un forte senso di solitudine (l’isola in tutto ha ha 800 abitanti sparsi qua e là). Nonostante tutto, è stata un’esperienza unica. I paesaggi che ho visto, senza turisti e senza isolani, non li scorderò mai. Passati i tre mesi, sono andato a Galway a lasciare curriculum e ho trovato “lavoro” in un ostello. Tra virgolette perché lavoravo poco più di mezza giornata in cambio avevo la colazione e l’alloggio. Alloggio che condividevo con altre 11 persone, usavo la mia valigia come armadio e il materasso era di spugna. Nonostante i pochi spazi, ho avuto la fortuna di condividere quel periodo con persone bellissime e le giornate passavano molto velocemente.
Una condizione comunque non giusta da sopportare e in ogni caso deciso a non mollare..
“Si. Dopo un mese ricevo un invito per un colloquio presso il Teagasc (parola irlandese che significa educazione se non ricordo male) che si trova nella cittadina di Fermoy (un paesino di 7000 abitanti circa). Riesco così a trovare lavoro come Research Assistant in un progetto riguardante il settore lattiero caseario. Dopo soli 4 mesi sono riuscito a trovare lavoro nel mio campo”.
Una mobilità lavorativa non indifferente con spostamenti anche di luoghi?
“E’ già la terza volta che cambio sistemazione. Dopo il lavoro al Teagasc, mi sono nuovamente trasferito, in county Kerry, in un paesino di 4000 abitanti, dove ho iniziato a lavorare come tecnico di laboratorio R&D presso la Kerry Group, una multinazionale irlandese alimentare (presente anche in Italia a Milano, mentre a Torino ha chiuso lo stabilimento che era a 5 minuti da casa mia). Mi sono spostato solamente per migliorare il curriculum, lasciando gli amici conosciuti durante l’esperienza precedente. A Listowel non ho vita sociale, lavoro – Netflix – Skype. Non sono il tipo che va in un pub da solo e attacca bottone facilmente, per di più con la musica alta e interagendo con gli Irlandesi del Kerry che hanno una delle pronunce più incomprensibili dell’isola.
E adesso come va il lavoro?
“Il lavoro va molto bene ma mentalmente è difficile trovare un equilibrio. Nel weekend vado spesso a Fermoy (Teagasc) a trovare i miei amici che non sempre ci sono, altrimenti vado a fare due passi in mezzo alla natura (tempo permettendo). In più vedo le foto (sui social) di tutti gli amici che viaggiano, che si incontrano, che continuano la loro vita insomma mentre io sono lì a fare l’eremita”.
Ma non ti fermi ancora, inizi così di nuovo la ricerca del lavoro? E attualmente che ruolo ricopri?
Eh, si, inizio quindi a rimandare CV, e trovo lavoro vicino a Cork, alla Pepsi come R&D Assistant Scientist nel team analitico, una posizione più alta e meglio retribuita. Nel frattempo ho anche fatto un master post laurea in Tecnologia e Innovazione Casearia all’University College of Cork, che si è concluso di recente. Inizialmente abitavo a Midleton ma dopo tre mesi decido di cercare casa a Cork. Non sto a raccontare le difficoltà che ho avuto nel trovare casa. E’ una cosa insostenibile quella degli affitti in Irlanda. Ora sono finalmente nella seconda città più grande di Irlanda (ma più piccola della mia circoscrizione a Torino) e finalmente ho la mia vita sociale, il mio lavoro e anche i miei interessi.
Andrea, quali sono le ragioni per restare in Irlanda?
La ragione principale è la sicurezza economica. Nonostante non abbia ancora un impiego a tempo indeterminato Qui ci sono comunque più opportunità ed è sicuramente più facile raggiungere la fase di colloquio. Inoltre, non lo so per certo non avendo lavorato in Italia, pare che qui sia più facile fare carriera, chi è più in gamba avanza. E poi lo stipendio, quello che prendo ora è impensabile guadagnarlo in Italia. Poi ci sono i nuovi amici e anche loro o almeno la maggior parte, hanno un futuro incerto. Farsi una famiglia qui è sicuramente più facile e sicuro che in Italia. Attualmente frequento una ragazza – lei SÌ un vero cervello in fuga – CHE fa la ricercatrice al Teagasc, dove lavoravo prima, ed è arrivata l’anno scorso. Riesco a conciliare tutto: lei, la palestra, gli amici e il lavoro. In Pepsi gli orari sono flessibili e quindi posso decidere se lavorare di più il mattino o il pomeriggio. L’importante è che rispetti le scadenze.
E le ragioni per tornare?
Gli affetti, la famiglia e gli amici, la sensazione che si prova quando si è nella propria terra, il clima, anche se ultimamente la tendenza sta cambiando, piove quasi più a Torino che a Cork. Però non c’e’ una divisione netta tra le Stagioni come in Italia. E quindi si deve accettare il compromesso se si vuol tornare: lavorare prendendo di meno, con la consapevolezza che probabilmente non si farà carriera.
Per trattenere i giovani in Italia, cosa occorrerebbe?
“Il lavoro è la condizione principale, fare in modo che ci sia un collegamento tra le Università e le Aziende. Qui con una laurea triennale si trova già un bel lavoro, nonostante la competizione. E poi lo Stato dovrebbe favorire il mantenimento del suo tessuto sociale, non schernirlo. A volte invidio gli irlandesi perché hanno le possibilità che noi in Italia non abbiamo avuto”.
Pensi di tornare?
“Mi piacerebbe ma credo sia molto difficile. Mando comunque CV ogni settimana in Italia e su 10 che mando mi rispondono in due, mi chiamano e poi non si fanno più sentire. Pensavo che con l’esperienza all’estero potesse essere più semplice trovare un lavoro e invece no. La cosa che mi sembra più fattibile è avvicinarsi all’ Italia, trovando un lavoro in Francia o in Svizzera che resta pur sempre difficile”.
Più che delle ragioni, sarebbero necessarie determinate condizioni favorevoli per tornare in Italia. E quali?
“Il lavoro forse se l’avessi trovato dopo l’Università non sarei mai partito. Le condizioni favorevoli per tornare sono sempre le stesse: trovare una buona azienda e una buona posizione, vivendo in un posto piacevole”.
A questo punto Andrea si ferma e conclude: “Osservare le vicissitudini italiane da lontano fa effetto. Si può vedere il proprio Paese peggiorare giorno per giorno, sia economicamente che socialmente? Si prova un senso di rassegnazione molto forte e di rabbia allo stesso tempo. Da qui deriva il mio profondo pessimismo per la società in cui viviamo, non solo in Italia ma a livello globale, un mondo sempre più basato sull’apparenza, sulla vita social e le storie su Instagram. Spero un giorno di ritrovare quell’ottimismo che ho perso da parecchio tempo”.