Il Giorno Più Bello Del Mondo è il quarto film diretto dall’attore e regista Alessandro Siani, nato cabarettista e riuscito, in virtù di un talento anche imprenditoriale non comune, ad affermarsi come uno dei comici di più costante successo degli ultimi anni. Al botteghino i film di Siani ottengono sempre risultati ragguardevoli, dai 15 milioni de Il Principe Abusivo e Si Accettano Miracoli ai 10 di Mister Felicità.
Ne Il Giorno Più Bello Del Mondo Siani è Arturo Meraviglia, scalcagnato agente di artisti dello spettacolo con un solo cliente, Gianni Pochi Pochi (Giovanni Esposito), comico la cui specialità è quella di non far ridere mai. Arturo vorrebbe rimettere in piedi il teatro in cui il padre Cosimo (Enrico Iannello), impresario vero, ottenne enormi successi. La fortuna è dalla sua parte, sotto forma di eredità del defunto zio d’America. Che non consiste in un lascito in denaro ma in due bambini, la saputella Sara (Sara Ciocca) e Gioele (Leone Riva), che ha il dono della telecinesi, sposta gli oggetti con la forza del pensiero. Il destino di Meraviglia si ribalta, grazie ai mirabolanti numeri di magia di cui è capace il bambino. Ad adocchiarlo però ci sono anche degli scienziati che conducono ricerche su ragazzi superdotati, i cui obiettivi non sono esattamente disinteressati. Allora Arturo, aiutato da un’improbabile banda di amici e da una bella ricercatrice (Stefania Spampinato, vista in Grey’s Anatomy), interverrà per strappare i bambini alle grinfie dei cattivi.
Il Giorno Più Bello Del Mondo conferma la tendenza di Alessandro Siani alla favola bella. Dopo principi e miracoli dei titoli precedenti, qui il fantastico diventa un motivo esplicito coi poteri di Gioele. Il film parte con qualche ambizione, un articolato piano sequenza su di un palcoscenico con un numero da musical. Ma la cura scenografica del piccolo prologo è presto accantonata, per tornare dalle parti della usuale commedia alla Siani, nella quale, pur volendo sorvolare sulla rudimentalità della sceneggiatura (lo zio d’America, gli scienziati cattivi, uno nano, l’altro col ghigno alla Joker) non c’è una sola idea di comicità visiva.
Tutto si riduce alle tipiche gag verbali di Siani, giochi di parole, monologhi (il racconto della favola della buonanotte), dialoghi tirati per le lunghe. Il racconto rifugge da qualsiasi riferimento pur larvato alla realtà (pensiamo al paesino di cartapesta di Si Accettano Miracoli), certi che il pubblico, più che intrattenuto, voglia essere anestetizzato da una commediola gentile e innocua. La storia d’amore carina e asessuata, i bambini dagli occhioni grandi e luminosi, la retorica della malinconia del teatro cadente, lo spettacolo come magia che, dice Arturo, “deve costruire la gioia nei cuori delle persone”: ogni dettaglio viene uniformato al minimo comun denominatore del tranquillizzante, del rassicurante, per cullare uno spettatore sul cui volto ci si augura si stampi non un’autentica risata, ma un perenne sorriso immoto e insapore.
A questo Siani aggiunge un suo stile comico ondivago, che al faro Troisi aggiunge accenti presi di peso da Christian De Sica quando fa il verso ai napoletani, con l’effetto di vedere un napoletano che imita un attore che imita un napoletano. La recitazione, non solo quella di Siani, è un altro limite del film, a parte i sempre bravi interpreti di scuola napoletana come Benedetto Casillo e Gianni Ferreri.
Il Giorno Più Bello Del Mondo è una piccola favola inoffensiva. Ma a Siani diciamo che la realtà che lui ostinatamente cerca di tenere fuori dalla porta finisce sempre per rientrare dalla finestra. Mi riferisco al momento in cui, poiché Gioele è in grado, tra i vari miracoli, di estinguere i debiti, l’intera piazza Plebiscito, la più grande di Napoli, si riempie di una folla oceanica di poveracci inquadrati dall’alto. Vuole essere una gag, e lo è proprio perché, certo al di là delle intenzioni, suona come inquietante immagine di miseria collettiva. E dice più di tutto il resto del film messo insieme.A Siani perciò suggeriamo, con umiltà, di tenere ben spalancata quella finestra, per aggiungere zolfo ai suoi racconti e cercare di mostrare quello che, forse, potrebbe davvero essere in grado di fare come comico.