Giocare al Game Boy nel 2019: le vecchie console viste dalla nuova generazione

Un bambino di 8 anni. Un "mentore" di oltre 30. E una console senza età.


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Lorenzo ha otto anni e mezzo. E oggi gli ho chiesto di giocare al Game Boy. Sì, proprio lei, la prima indimenticabile console targata Nintendo, che debuttò sul mercato nell’ormai giurassico 1989, e che rivoluzionò per sempre il mercato dei videogame. Per la prima volta, grazie all’handheld della casa di Kyoto, era possibile testare con mano esperienze ludiche molto simili a quelle casalinghe sfruttando una completa portabilità, racchiusa in una scocca di celluloide grigia riconoscibile anche dai non appassionati. E che ha lanciato il Game Boy nell’immaginario collettivo per quasi 30 anni. Il resto è storia, con diverse revisioni a rinnovare una formula comunque vincente – pensiamo al Game Boy Color o a quello Mini, passando pure per il più performante Advance -, per poi lasciare il passo agli eredi DS e 3DS.

Lorenzo non sa nulla di tutto questo, troppo giovane per aver vissuto i tempi d’oro del gaming da passeggio. Eppure, la sua naturale attrazione per la tecnologia mi ha spinto a portarlo sulla strada del retrogaming, o almeno a dargli una piccola infarinatura di quello che fu e che ha aperto la strada a tutto quello che è arrivato dopo. I suoi occhi vispi, contornati da una netta corona di lentiggini, si erano già posati in precedenza sul mio Nintendo Switch e su qualche titolo per PlayStation 4, ma è la prima volta che quelle sue manine fameliche e affamate di novità stringono un gioiellino tech di tale portata storica. Sapevo, per esperienza diretta, che giocare al Game Boy oggi, nel 2019, può regalare sensazioni molto diverse da quelle che animano i nostri ricordi. Eppure, il mio esperimento con Lorenzo – figlio primogenito di mia cugina per una volta alle prese con lo zio più nerd che ci sia! – ha lasciato anche a me un senso di stupore e un certo retrogusto di scoperta, aprendo anche per me che scrivo un sentiero fatto di pixel grezzi e di capolavori inarrivabili, un viale dei ricordi pennellato da schermi in bianco e nero e pile stilo da ricaricare.

La scelta è ricaduta su Super Mario Land, ed è stato lo stesso Lorenzo ad essere attratto per prima dall’avventura dell’idraulico baffuto pensata espressamente per Game Boy. In un mucchio di cartucce, ha afferrato con fare sicuro ed entusiasta proprio il gioco con cui ho iniziato anche io a smanettare con la console portatile della “grande N”, dopo cena sul divano con papà. Prima di arrivare effettivamente alla schermata iniziale, però, sono rimasto ad osservarlo. A fissare il suo approccio con quella scatolina di silicio “giocattolosa” e avveniristica. Mi ha chiesto perché fosse così pesante, lui abituato a smartphone ultraleggeri e a pad sempre più ergonomici. Perché lo schermo non rispondesse alla pressione timida delle sue dita, inaspettatamente privo di tecnologia touch. Perché, ancora, dovesse inserire la cartuccia nel retro del device, restando poi quasi deluso dalla totale assenza di colori una volta trovato – a fatica! – il tasto di accensione. Lollo – così lo chiamiamo in famiglia – si è detto addirittura triste per i giocatori del passato, che non potevano godersi quei videogame tanto avanzati che oggi animano i nostri monitor, appoggiandosi pure agli accessori più disparati – dai motion controller ai visori per la realtà virtuale.

I suoi pregiudizi si sono però diradati immediatamente quando ha iniziato effettivamente a giocare al Game Boy. Tasto A, tasto B, poi un colpo alla croce direzionale: Lorenzo è diventato subito Mario sulle tracce dell’inseparabile Principessa Peach, tra salti non sempre riuscitissimi e percorsi segreti non sempre semplici da scovare nei diversi livelli di gioco. Da lì, è stato facilissimo convincerlo a provare Pokémon Rosso e Blu – antenati del suo amatissimo Pokémon GO e dei futuri Spada e Scudo, che aspetta a novembre su Switch con la mia stessa impazienza -, e persino l’inossidabile Tetris, ad oggi ancora il videogioco più venduto della storia e tra quelli che senza dubbio hanno più influenzato la cultura pop tutta. Il rompicapo del russo Pažitnov, a dire il vero, lo ha inizialmente annoiato – “Questo gioco piacerebbe solo a mia mamma!” -, per poi catturarlo completamente, tanto che ho dovuto staccarlo dallo schermo a fatica. Senza dimenticarmi di ringraziarlo, perché oggi Lollo mi ha fatto ricordare perché, quasi 30 anni fa, i videogiochi sono diventati il mio primo grande amore. Capace di resistere alle “ingiurie” del tempo.