Se per spiegare Sante Bambole Puttane di Grazia Di Michele dobbiamo invitare all’ascolto chi storce il naso per la “parolaccia” inclusa nel titolo, allora potrebbe essere la buona occasione per rinforzare la tesi sull’importanza dei cantautori in un contesto storico ancora schiavo della superficialità. Un problema, questo, che non è ancora stato superato nonostante l’Internet offra risorse gratuite e intuitive a chiunque voglia informarsi e conoscere il mondo che ancora inciampa nel pregiudizio, nel sessismo e nel patriarcato più arcaico.
Sante Bambole Puttane è una sequenza di parole, una triade di figure che potrebbero far parte di un distinguo, ma che sono in realtà una prigione semantica che ci fa capire quanto lavoro ci sia ancora da fare per uscire da una zona di comfort che ci lascia ancora troppo indietro rispetto al progresso del pensiero: 10 brani, 10 donne e 10 storie fanno parte del nuovo album di Grazia Di Michele, che a questo giro ha scelto di estendere la sua opera a un romanzo che è anche il titolo di una canzone del nuovo disco.
Apollonia è l’organo imprescindibile dal disco, la storia che veste di letteratura un’opera musicale in cui la cantautrice, a quattro mani insieme alla sorella Joanna, ha incorniciato 10 ritratti di donne che non godono dei riflettori del mainstream né dei microfoni delle TV nazionali: le donne di Grazia Di Michele subiscono il tonfo sordo dell’anonimato e gridano in silenzio.
La ricerca di una semplicità schietta e di una profondità di contenuti è ricaduta su un pop cantautorale che arriva dritto al punto: Grazia non ricorre a metafore, perché le donne che vivono nell’ombra (Lora) indossano cappotti da giocoliere (Irina) e vivono lo strazio di un’Africa che si allontana mentre l’imbarcazione prende il largo (Amina); in altri casi si ritrovano con un destino già scritto alla tenera età dei 18 anni (Habi) oppure dipingono il loro mondo di libertà e amore, un sogno che vive tra le note di Apollonia.
Grazia, Sante Bambole Puttane arriva con il romanzo Apollonia, che è anche uno dei ritratti presenti nel disco. Qual è, dunque, la differenza tra la scrittura di un testo e la scrittura di un romanzo?
Sostanzialmente, il testo di una canzone deve sottostare a un minutaggio e a tante altre regole ben precise; in un romanzo, invece, vi è molta più libertà nella stesura dei particolari e delle storie. Per raccontare la storia di Apollonia sul piano narrativo ho dovuto attingere anche da alcuni spunti personali, e per lavorare senza troppi paletti era necessario, appunto, un romanzo. Del resto, pur avendo pubblicato diversi racconti mi ritrovavo per la prima volta con un vero e proprio romanzo, ed è stato tutto velocissimo: grazie al responsabile del mio ufficio stampa, Nicola Cirillo, il manoscritto è finito nelle mani dell’editore e ho visto la mia opera stampata.
Il ruolo del cantautore si fa sempre più importante, in un contesto storico così all’avanguardia nei numeri ma così arcaico nei fatti. Sono ancora vivi antichi sentimenti come razzismo, omofobia e sessismo. Com’è questo mondo, agli occhi di un cantautore?
Mi sono sempre ripetuta una frase: “Pensavo che il tempo fosse un ponte, invece è una ruota”. La situazione è terribile, perché anziché vivere il progresso come una continua evoluzione, ancora sentiamo di Paesi in cui alla donna viene praticata l’infibulazione, altri in cui si parla ancora di tratta delle bianche che nel peggiore dei casi sono minorenni. Ma sono solo pochi esempi. L’esempio di Carola Rackete, attaccata sull’aspetto fisico e sulla provenienza sociale quando non si era in grado di contestarla sul piano ideologico, è solo uno dei tanti. Alla donna che si espone per un diritto o una lotta si risponde con attacchi al suo essere donna, questo è preoccupante. Il cantautore cerca di ribadire continuamente che certi discorsi dovrebbero essere chiusi, superati. Non è un caso se io e Platinette abbiamo presentato Io Sono Una Finestra a Sanremo: ogni piccolo contributo da parte del mondo dei cantautori non è mai abbastanza, non è mai troppo.
Qual è, tra i dieci ritratti che hai dipinto in musica, quello con il quale empatizzi di più?
Helen, che sarebbe la suora che ha ispirato il film Dead Man Walking. Però, ecco, il mio legame con lei non è empatico. Più che altro vorrei tanto che fosse un faro. Di lei colpisce lo sguardo misericordioso, una cosa che la fa diventare un punto di riferimento anziché una storia esemplare di violenza e soprusi.
Secondo te, perché ancora così tante donne vivono e soffrono nell’ombra?
Il discorso è complicato, anche se può essere sufficiente ridurre la risposta a motivazioni che arrivano dal patriarcato e dal sessismo. Possiamo trovare un esempio in un libro di Dacia Maraini, che esplora esattamente tutto il lessico associato al sesso femminile e a quello maschile. Io stessa, ad esempio, durante l’incontro che ho tenuto ieri a Napoli ho interrogato i presenti sulle parole “chirurgo” e “badante”. Alla prima, ovviamente, tutti associavano l’uomo mentre alla seconda associavano la donna. C’è ancora molto da lavorare e le donne vivono questa condizione perché anche nel lessico, nella grammatica e ancora nel mondo del lavoro esiste una visione della donna troppo sottostante rispetto all’uomo. Il peggio arriva quando il problema arriva dalle donne stesse, che indicano il mondo femminile incapace di vivere realtà che – secondo canoni non scritti – apparterrebbero agli uomini, e per questo puntano il dito contro altre donne.