Dopo che si è a lungo cercato un regista adatto per portarlo sul grande schermo, alla fine è stato il fumettista Igort (Igor Tuveri) a dirigere lui stesso il film tratto dal suo graphic novel più celebre, 5 È Il Numero Perfetto, esordendo al cinema a sessant’anni.
Proiettato ieri in anteprima alle Giornate degli Autori della Mostra di Venezia, il film inizia con titoli di testa stilizzati da fumetto, che richiamano anche il grande Saul Bass. Siamo all’inizio degli anni Settanta, il guappo Peppino Lo Cicero (Toni Servillo), vedovo, ha appeso le pistole al chiodo dopo aver bene istradato il figlio alla medesima professione. Una notte, in un agguato, gli uccidono il ragazzo. Peppino torna in azione per vendicarsi, aiutato dal partner di sempre Totò ’o macellaio (Carlo Buccirosso) e la vecchia fiamma Rita (Valeria Golino). Sarà una carneficina.
Tra i piaceri principali di 5 È Il Numero Perfetto c’è il gioco d’attori dei protagonisti, Servillo con naso adunco e Buccirosso, d’una precisione che ricorda i loro duetti sorrentiniani. Non c’è solo questo nella regia di Igort. Al centro della storia c’è un killer in disarmo, disilluso e assertivo, che nella vendetta ritrova un senso alla sua vita e il piacere sinistro del mestiere. Intorno a lui viene confezionato un film che tiene conto tanto dell’identità di Napoli quanto d’un impiego calibrato dei generi narrativi.
5 È Il Numero Perfetto è inequivocabilmente napoletano, con la camorra, accenti inconfondibili, mobilia da piccola borghesia eduardiana, l’odore persistente del caffè, i femminielli. Ma la geografia dei luoghi viene asciugata dagli stereotipi. Nessuno squarcio luminoso, golfo o Vesuvio a dar respiro. L’oleografia sparisce e restano solo i vicoli di una città battuta da una pioggia incessante, trasfigurata. Allo stesso tempo è Napoli e non lo è: luogo certo riconoscibile, ma anche allegoria universale d’una metropoli qualunque, in cui s’annida un male irredimibile.
Igort si diverte anche a far dialogare generi diversi. Sullo sfondo resta il profumo di alcuni generi legati al racconto partenopeo, melodramma e sceneggiata, sintetizzati nelle canzoni napoletane citate, Core ’Ngrato, Lacreme Napulitane, Guapparia. Ma nelle atmosfere e nei caratteri emergono il polar francese e il noir americano, soprattutto nel ritmo compassato, mentre le carneficine sono coreografate secondo stilemi pulp e i duelli (per una volta al sole) sono ritmati da campi e controcampi di primissimi piani da western leoniano.
Igort non è il primo a essersi posto il problema di quale stile scegliere per parlare di Napoli, città-palinsesto sulla quale si sono sedimentati fino all’usura tutti i modelli narrativi possibili. Allora, per non finire nella retorica vecchia o in quella nuova del gomorrismo, diversi autori recentemente hanno pensato bene di puntare sul mescolamento e talvolta la parodia dei generi, così i Manetti Bros. di Song’E Napule e Ammore E Malavita o l’originale film d’animazione Gatta Cenerentola. Igort si muove nella stessa direzione, optando per un plurilinguismo espressivo in cui, va riconosciuto, i riferimenti agli originali non si trasformano in calco sterile.
5 È Il Numero Perfetto mantiene una sua idea di messinscena stilizzata, nel senso appunto che l’attenzione allo stile, al ritmo, ai colori debitori del fumetto conta più della elementare storia di vendetta. Igort più che a costruire l’intreccio si diverte a intagliare sagome (ci sono Iaia Forte, Nello Mascia, un irriconoscibile Mimmo Borrelli), ambienti, atmosfere. Con i colpi d’ala d’una città di vicoli che sembrano angosciosamente non portare da nessuna parte. E una notte senza fine che termina in una luce meridiana finalmente pacificata. In un altro luogo e forse in un’altra vita.