Il lungo declino di June sembra essere giunto al termine. Non che le cose a Gilead stiano improvvisamente migliorando, ma The Handmaid’s Tale 3×09 sembra suggerire che toccare il fondo è l’unico modo per iniziare a risalire. Dopo i tragici eventi dello scorso episodio, Heroic è una implacabile, asfissiante osservazione della lucidità perduta di June.
I giorni, le settimane e forse i mesi trascorsi in ginocchio a pregare in solitudine per la salvezza del bambino di Ofmatthew – Natalie – hanno un effetto devastante su di lei. La ripetitività dei suoni dei macchinari è così irrimediabilmente impressa nella sua mente da farle cogliere le note del vecchio successo Heaven Is a Place on Earth.
Anziché alienarla, l’assenza di qualsiasi diversivo la rende estremamente consapevole di qualsiasi dettaglio la circondi. La sua voce fuori campo registra i bagliori asettici della stanza, l’odore decadente della morte e quello disgustoso delle mogli al capezzale di Ofmatthew. L’ancella non si riprenderà, ma le preghiere sono rivolte al benessere del bambino che porta in grembo.
June è ancora convinta che sia meglio morire che crescere a Gilead, e le sue suppliche a Dio sono una richiesta di liberazione per la madre e il feto. Con il passare dei giorni la speranza si evolve in concreti tentativi d’azione, e dopo aver osservato la routine dei medici June decide di usare un piccolo bisturi per porre fine all’esistenza di Ofmatthew.
Janine, ricoverata nello stesso ospedale dopo una nuova infezione all’occhio, entra nella stanza proprio nel momento in cui June si avvicina al letto di Natalie. So come possiamo aiutarla, dice June mostrandole il bisturi, dobbiamo farla finita. La reazione della compagna, tuttavia, è di puro orrore. Janine è sconvolta, le chiede perché sia diventata così egoista, perché adesso ruoti tutto attorno ai suoi problemi. Sei diversa, conclude prima di lasciare la stanza.
In una delle scene successive torna però a mostrare il suo tormento. Zia Lydia le porta una benda rossa per coprire l’occhio – non c’è nulla di male in un pizzico di vanità, sottintende – e con fatica la ragazza si lascia andare a una risata liberatoria, ammettendo di sembrare un pirata. Anche zia Lydia ride di gusto – forse per la prima volta – e questo scambio in apparenza spensierato e felice palesa al contrario la natura grottesca della relazione fra le due donne.
La lenta agonia di Natalie riporta sullo schermo anche Serena, arrivata in visita alcuni giorni dopo le altre mogli. Sta per lasciare la stanza quando June le chiede di poter scambiare qualche parola con lei, invitandola ad avvicinarsi così da raccontarle un segreto. Serena le si accosta e June prova maldestramente a colpirla con il solito bisturi, finendo per ferirsi alla mano. Sei fuori di testa, reagisce Serena, più colpita dal suo precario stato mentale che arrabbiata per la mossa a sorpresa. L’immagine successiva sembra suggerire che voglia denunciarla, ma l’ingresso del dottore e le sue cure immediate spazzano questo dubbio.
La loro interazione dà un valore catartico a The Handmaid’s Tale 3×09 e sembra toccare le corde più profonde dell’animo di June. La state torturando, dice all’uomo, riferendosi alla volontà dei medici di mantenere in vita Ofmatthew. Non è lei la mia paziente, ma il bambino, ribatte lui. E con la stessa pacatezza proseguono la conversazione fino a scoprire di avere una conoscenza in comune: la dottoressa Maddox, madre di June. Adesso capisco perché hai provato a colpire la signora Waterford, scherza quindi il dottore, la dottoressa Maddox faceva davvero paura.
È forse l’essere riuscita a scovare in lui un legame con la realtà pre-Gilead a spingerla a rivelare l’intenzione di uccidere Serena, Natalie e chiunque altro nella stanza. Da quanto tempo hai pensieri suicidi?, le chiede. Lei pensa che abbia frainteso, ma lui spiega che se davvero facesse una cosa del genere verrebbe impiccata. June coglie in un istante la profonda verità di quella considerazione, mentre il suo sguardo s’illumina di una nuova consapevolezza sul proprio stato di prostrazione.
Le condizioni di Natalie, intanto, peggiorano al punto da costringere i medici a un intervento d’emergenza. Il bambino viene estratto dal ventre della madre e messo al sicuro, e il mattino dopo June può finalmente tornare a casa. È già in corridoio quando incontra Rose, una ragazzina con cui scambia alcune chiacchiere. Essendo vicina al menarca potrà presto avere dei bambini, le spiega la piccola, scatenando in lei un nuovo senso di disagio.
June prosegue comunque verso l’uscita dell’ospedale, mentre zia Lydia le si avvicina per riportarla a casa. Sembra che questo orribile capitolo della sua vita stia per chiudersi, ma veder passare una schiera di ragazzine pronte a portare in grembo la nuova generazione di figli di Gilead la scuote. Si convince a tornare al capezzale di Ofmatthew; zia Lydia ne è stupita ma accetta di buon grado.
The Handmaid’s Tale 3×09 si conclude così con una nuova catarsi per June, la quale chiede perdono a Natalie per il modo orribile in cui l’ha trattata. Non è certa che possa sentirla, ma prova a tranquillizzarla dicendole che il suo è un bellissimo bambino e che non ha nulla di cui preoccuparsi. Solo a questo punto rivela il suo nuovo piano: mandar via da Gilead il maggior numero possibile di bambini. Non so ancora bene come, ma ti giuro che lo farò. Li porterò via. Perché Gilead deve capire come ci si sente, è arrivato il loro turno di soffrire.
Heroic – questo il titolo dell’episodio – costringe June fra le pareti di una stanza che è una prigione, e al suo interno crea quanto di più catartico ed efficace si sia visto in questa stagione. L’alienante susseguirsi delle giornate, delle cure mediche, persino dei bip degli apparecchi che tengono in vita Natalie sono così realisticamente asfissianti che qualsiasi variazione – persino le convulsioni – pare una momentanea via di fuga dalla follia.
June si trova in uno stato di debolezza fisica e psicologica mai raggiunto finora: ha gli occhi rossi e cerchiati, il viso pallido, le ginocchia abrase dalle infinite ore trascorse in ginocchio, la voce tremante e alterata. La sua voce fuori campo è un sussurro nelle orecchie di chi osserva, al contempo un accompagnamento e un tentativo disperato di non cedere all’isolamento. Il volto di Elisabeth Moss è come sempre così espressivo da trasmettere con strabiliante accuratezza ogni possibile sfumatura dello squilibrio di June.
Le lamentele di Janine sul suo egoismo esprimono il comprensibile sconcerto di quelle ancelle che in lei hanno sempre visto una leader, una donna coraggiosa e giusta, pronta a sfidare le regole di Gilead non soltanto per il suo bene, ma anche per quello di tutte loro. Ma la June che ha davanti non è la Giovanna d’Arco d’inizio stagione. È invece una donna messa in ginocchio dalla brutalità del sistema, dalla lontananza delle figlie, dai continui fallimenti dei propri piani d’azione. In questo momento più che mai emerge la sua umanità fallibile, il peso insostenibile degli eventi, ed è impossibile non sentirsi sopraffare dal senso di pietà e compassione nei suoi confronti.
Nel contesto del suo smarrimento lo scambio con il dottore appare ancora più significativo. Lo sconosciuto che a un primo sguardo potrebbe sembrare un agente attivo del regime è in realtà un uomo con una certa umanità. È disposto ad ascoltare davvero June, e non Ofjoseph, e decide di non denunciarla per il tentativo di uccidere chiunque in quella stanza d’ospedale. Prova quindi a fare del bene, a suo modo e per mezzo del suo lavoro, ma non oppone alcuna resistenza alle pratiche del regime. Essere un uomo e per di più un medico, insomma, gli garantisce credibilità e privilegi. È così che può ingannarsi sulla superiorità morale con la quale chiede a June come intenda onorare le sue figlie.
L’unico momento in grado di spezzare il senso di claustrofobia dell’episodio arriva sul finale, quando June lascia l’ospedale, ma è proprio a questo punto che si ripete la dinamica di The Handmaid’s Tale. Come sul finire della seconda stagione, infatti, June resta anziché andare. Anche stavolta ha un piano, e anche stavolta è molto fumoso. Vorrebbe liberare i bambini di Gilead perché possano crescere altrove, ma non sa come farlo, proprio come in passato ha dichiarato di voler radere al suolo Gilead senza aver davvero un grosso margine di manovra.
Ad ogni modo, lasciare da parte i dubbi sugli sviluppi futuri o le connessioni incerte con la Gilead esterna è il modo migliore per apprezzare gli splendidi risultati raggiunti in The Handmaid’s Tale 3×09. La vista, l’olfatto e l’udito vengono stimolati così magistralmente che sembra di trovarsi al fianco di June ed essere schiacciati come lei dal peso insostenibile di una claustrofobia densa.
Per la prima volta, inoltre, si riesce a percepire un senso di reale pericolo per Hannah. La bambina sta crescendo, si avvicina anche per lei il momento di avere figli? E di averli a Gilead? Forse. Il pensiero deve aver attraversato la mente di June e in fondo rimane il motore di qualsiasi suo tentativo – immaginato o messo in atto – di cambiare le cose. Che poi la serie faccia ancora fatica a stabilire che tipo di eroina lei debba essere è un’altra storia.
In conclusione, The Handmaid’s Tale 3×09 può considerarsi l’episodio più efficace della stagione. Il suo più grande pregio è saper rendere perfettamente tutto ciò che è nel DNA della serie: l’oppressione del regime, la privazione della libertà, il senso di claustrofobia, il corpo femminile come condanna, la prostrazione fisica e mentale. Insomma, la serie non è perfetta – nessuna lo è – ma la sua qualità tecnica è ineccepibile e Heroic ne rimarrà sempre una fedele testimonianza.
Diamo adesso un primo sguardo al promo di The Handmaid’s Tale 3×10 e ascoltiamo il commento di Elisabeth Moss al nono episodio.