Prima la criminalità, la corruzione, la violenza e la prostituzione; adesso la società multietnica. Dopo Suburra e Baby, Zero – su Netflix nel 2020 – è la terza serie tv italiana della piattaforma. Questa volta l’ispirazione arriva dal libro Non ho mai avuto la mia età, del giovane di origine angolana Antonio Dikele Distefano.
Come il titolo stesso lascia intendere, la storia è quella di un ragazzo senza nome – Zero, appunto – che dalla vita ha avuto poco o nulla. Non ha la cittadinanza, non ha una madre, non ha soldi né speranze di un futuro dignitoso. Come qualsiasi giovane che non possa concedersi il lusso di avere la propria età, Zero ha dovuto accettare molto presto il fatto che certe cose non si possono chiedere ai genitori, che ciò che è giusto non è patrimonio di tutti.
Il romanzo racconta la vita di Zero fra i 7 e i 18 anni nella dura periferia milanese. È una fase di povertà ma anche di pomeriggi trascorsi in bicicletta, a giocare a pallone o ascoltare musica. Sono anni in cui Zero sogna di uscire dal fango, ma nei quali ha paura di ciò che c’è fuori perché sa che il Paese non lo riconosce. Sa che la gente può essere crudele e che è vero ciò che la madre gli ha detto una volta, e cioè che i bianchi nei neri vedono sempre qualcosa di cattivo.
L’adattamento di Zero su Netflix sarà quindi una trasposizione dell’esperienza di vita di quei giovani costretti a fare a pugni con la vita. Il romanzo offrirà un valido punto di partenza, ma la serie vi si allontanerà nel tentativo di farsi corale. È lo stesso Antonio Dikele Distefano a offrire una perfetta sintesi del suo progetto:
Zero è un ragazzo speciale con un superpotere, grazie al quale può conoscere la realtà delle cose, delle relazioni e delle persone, che si nasconde sempre dietro le apparenze. Per me, un ragazzo nero e italiano come Zero, che deve tutto all’Italia, la cosa più bella è che questa sarà la prima serie nella quale i protagonisti saranno dei ragazzi neri italiani. Spero che questo possa aprire delle porte a quegli attori, creativi e artisti neri che non hanno ancora avuto un’occasione importante. Spero che questa storia rifletta quella di tanti ragazzi a prescindere dal loro colore.
Il progetto è senz’altro ambizioso ed è ciò di cui Netflix ha bisogno per aiutare a promuovere un’immagine diversa dell’Italia. Con Zero la piattaforma può superare la drammatizzazione dei fenomeni e degli attributi più stereotipici del Paese e farsi portavoce delle istanze di giovani a lungo marginalizzati. Può, in poche parole, parlare della realtà.
Proprio questo è l’obiettivo di Distefano. Stufo della televisione e della musica che raccontano un mondo ideale, che non esiste, il giovane autore vuole invece approfittare di questa occasione senza precedenti per parlare di ciò che non si vede, o meglio, che i media tradizionali non vedono. Essendo cresciuto in Italia è convinto di poter ritrarre le peculiarità di una società multietnica ben integrata. È una realtà molto diversa da quella francese, ha dichiarato in un’intervista, dove esistono i ghetti e le periferie sono lasciate a sé stesse.
Anche l’ambientazione – la periferia di Milano – godrà così di un nuovo protagonismo televisivo. A renderla ancora più coerente con la realtà dovrà poi intervenire un casting attento e aderente ai connotati della zona. Netflix sembra pronta a cogliere la sfida. Felipe Tewes, Director of International Originals della piattaforma, si è dimostrato entusiasta della possibilità di sviluppare una grande idea con una voce originale e realizzare da un punto di vista nuovo il concept del supereroe.
Zero sarà prodotta da Fabula Pictures con la partecipazione di Red Joint Film e arriverà su Netflix nel 2020. La speranza è che dal semplice intrattenimento delle altre serie italiane – Suburra e Baby – si possa passare a una più alta rappresentazione della società, capace di far luce su quei margini oscurati, trascurati, ignorati troppo a lungo.