Ivan Segreto è ritornato, Con un EP che ha per titolo un neologismo “Mètasi”, e che anticipa l’album che uscirà in autunno. Un album fortemente ispirato e innovativo. Ho incontrato Ivan due anni fa ed è stato un colpo di fulmine. Prima conoscevo solo la sua voce, ma frequentandolo per il tour promozionale di “Folli Voli” in cui mi ha accompagnato con generosità in giro per l’Italia (e la Svizzera), ho potuto capire perchè la sua voce fosse così bella: ho intercettato la sua purezza espressiva, la sua necessità di fare musica, il suo impegno nel seguire un percorso interiore. Tutte caratteristiche che ritrovo nella sua nuova produzione, lungamente meditata, prima di essere pubblicata.
Caro Ivan, torni alla discografia dopo 5 anni. Quali sono le aspettative e i timori?
Grazia, che bello ritrovarti.
Ammetto di non soffrire alcun timore ed alcuna particolare aspettativa.
La cosa che preme più di ogni altra è la voglia di esprimersi e di condividere, siamo qui per questo. È chiaro che sarei felice di far arrivare la musica che scrivo a quanta più gente possibile, ma non dipende solo da me. Da una parte sono sono stato lontano dal mercato discografico, ma dall’altra parte è scomparso proprio il mercato e sto cercando di trovare una dimensione nuova, che vada oltre il “disco”, oltre “Spotify” o “Youtube”.
Abbiamo un percorso simile: anche tu sei stato sotto contratto di una multinazionale come la Sony, poi sei diventato “indipendente”. Ora hai tutti gli elementi per decidere: se una grande etichetta ti riproponesse un contratto, accetteresti?
Non ho assolutamente e sinceramente alcun pregiudizio a riguardo. Se si dovessero intercettare dei comuni interessi non avrei alcun problema a lavorare di nuovo con una multinazionale. Sono consapevole del fatto che il lavoro da musicista indipendente sia estremamente più complicato, soprattutto in un paese piccolo come l’Italia, dove servizi e bacino di utenza sono limitati e circoscritti.
Si è portati a credere che una multinazionale, se non altro per il nome, potrebbe provare a spingere il prodotto nazionale anche su mercati esteri, ma questo è difficile che si realizzi in fretta a patto di proporre prodotti fortemente stereotipati e di facile riconducibilità stilistica. Molto più agile e creativa è per certi versi la strada dell’indipendenza ma bisogna essere molto bravi nel costruirsi uno staff di persone che credono veramente nel progetto. Questa cosa mi ha richiesto davvero molto tempo, molta pazienza ed energia.
Non sempre è chiaro che la musica è anche un settore produttivo, ci sono persone che lavorano con professionalità, impegno, preparazione e devono poter ricevere il giusto compenso. La digitalizzazione ha mortificato questo aspetto, è inutile negarlo. Tutti possono ascoltare la musica gratuitamente, ma chi la produce sopporta dei costi. Una casa discografica dovrebbe poter garantire che produzione e fruizione della musica siano sostenibili.
C’è un tema che pervade questo nuovo EP, Mètasi, e anche tutto l’album che generosamente mi hai fatto ascoltare in anteprima. Un tema che sembra più esistenziale, più spirituale. Un interesse che però, forse, è sempre stato presente nella tua musica. Ricordo, ad esempio “Binirici”. Cosa è successo in questi anni?
Si è vero, è un tema a me molto vicino e caro, sin dal mio primo lavoro.
Ma il tempo e la dedizione ti aiutano a sviluppare ed entrare sempre più a fondo nelle cose.
Un percorso di crescita lo facciamo tutti. Tutti noi cantiamo gioie e dolori, cadiamo e ci rialziamo. La cosa che probabilmente ho cercato di sviluppare in questi anni è una certa attenzione nell’uso delle parole. La porto avanti da diversi anni e mi accorgo che la bellezza risiede nella semplicità. Il mio scopo è quello di ritornare ad essere semplice, ma è un lavoro molto duro.
Qualche giorno fa il teologo Vito Mancuso ha affermato che “Credere in Dio vuol dire ritenere che ogni cosa è illuminata”. E’ così? Come possiamo afferrare il divino?
Credo che la ricerca personale sincera e creativa sia una buona chiave per provare a darsi delle risposte in tal senso. Io amo la musica, è per me un metodo efficace per scavalcare la mente e provare a mettermi in contatto con me stesso.
Anche se di recente anche il silenzio o un certo tipo di ascolto mi portano a dei buoni risultati, per il mio grado di comprensione.
Entrare in noi stessi credo sia la chiave.
Ma non sono un guru, io racconto di me, delle mie esperienze e del mio cammino. Mi accorgo che molti per paura o pigrizia non si pongono neanche la questione. Credo ci sia del divino in ognuno di noi e credo anche che sia in ogni cosa. Ognuno di noi ha il suo modo di essere e di percepire la realtà così come la sente “vera”. Creatore della propria vita.
La spiritualità è un tema molto poco frequentato nella musica contemporanea eppure gran parte della musica occidentale nasce come necessità di condurre al sacro. Perché la musica non è più strumento del sacro?
Ragionando con un parallelismo, sarebbe un po’ come dire che l’acqua ha preso a scacciare i pesci o che abbia smesso di dissetare.
Lei non è ne buona ne cattiva, si concede alla forma che decide di accoglierla ma, al contempo, è pronta ad aggirare o a spazzare via chi si pone lungo il suo cammino. La musica, a prescindere dai generi, dalle forme che decidiamo di darle rimane una manifestazione del divino. È lo strumento che usa il sacro per creare ed animare. L’uomo, che ha preso le distanze dalla fonte, non può fuggire per sempre dalla sua stessa natura. Prima o poi bisognerà ritornare e ci basterà osservare la nostra Terra per cominciare a ritrovare la presenza del divino, del suono, in ogni cosa.
In principio era il verbo, in principio era il suono ma lo è ancora adesso, non ha smesso di esserlo.
Ci sono guide che aiutano l’acqua a fluire come vorrebbe?
Tanti. Per limitarmi al nostro Paese penso a Franco Battiato. Lui ha tracciato un percorso stilistico molto personale e incisivo in Italia. E’ un maestro, parte del mio cammino e del cammino di tanti.