I Due Amici del titolo sono Clément (Vincent Macagne) e Abel (Louis Garrel). Non potrebbero essere più diversi: il primo è un folletto fragile e arruffato, lavora (si fa per dire) come comparsa cinematografica, d’una ipersensibilità che lo rende inadatto alla vita. Il secondo, benzinaio precario con velleità artistoidi, ha lo sguardo imbronciato e l’aria taciturna da bello e dannato, donnaiolo ed egoista, insomma il tipo d’uomo che riesce sempre a cavarsela preoccupandosi solo di sé stesso.
E però, forse anche perché drammaticamente soli, la loro amicizia resta in piedi. Fino a quando non interviene nel loro rapporto il terzo incomodo, Mona (l’iraniana Golshifteh Farahani). Clément l’ha vista lavorare a un chiosco alla Gare du Nord e se n’è subito innamorato nel suo modo esagerato. Lei ha un segreto inconfessabile, è una detenuta in semilibertà che ogni sera deve tornare in carcere, dunque non ha voglia di relazioni stabili, tantomento con il tenero ma asfissiante Clément. Abel interviene in aiuto, cercando di convincere la ragazza a stare con l’amico. Inutile dire che penserà soprattutto a sé stesso, anche perché Mona, pur capendo che trattasi d’un inaffidabile egocentrico, lo trova irresistibile. Come andrà a finire?
La programmazione estiva italiana è sempre piuttosto capricciosa e possono capitare gustose riesumazioni come questo Due Amici, distribuito dall’ottima Movies Inspired, che risale addirittura al 2015 ed è il primo film da regista di Louis Garrel, più noto come attore specializzato in parti da bello ombroso molto francesi. Ed è un film che inevitabilmente profuma di Nouvelle Vague, un dato quasi genetico per Louis, figlio dell’ultima vestale del movimento, il regista Philippe Garrel, scelto anche per impersonare Jean-Luc Godard nel bistrattato biopic dedicato al grande maestro da Michel Hazanavicius.
Due Amici getta un occhio agli indimenticabili terzetti del cinema francese degli anni Sessanta (il modello, però tragico, di Jules e Jim, Band à part), cercando soprattutto di riattivare quella sensazione di messa in scena autentica, di corpi e sguardi come fossero ripresi dal vero da una camera a mano che segue con leggerezza i personaggi. I quali, sebbene attraversati da continue tensioni non si lasciano mai, e s’inseguono tra strade, caffè e alberghetti parigini, di notte e di giorno, litigando, rifiutandosi, cercandosi. È difficile quasi capire in quale periodo si sia – i segni marcatamente contemporanei sono discreti, qualche telefono cellulare – in un film in cui l’esistenza si muove al ritmo esclusivo del desiderio, perché come dice Clément, col suo romanticismo esagerato, “le persone devono stare insieme o la vita non ha senso”.
Che Due Amici sia girato fuori tempo massimo lo sa bene anche Louis Garrel, dato che a un certo punto fa indossare ai suoi protagonisti i panni delle comparse sul set di un film sul maggio del Sessantotto. Così letteralmente il racconto si rifugia nell’epoca che costituisce la sua vocazione intima, dichiarando apertamente però che è tutta una recita, solo una finzione. Ed è questa la sensazione che resta allo spettatore: il quale può pure intenerirsi e appassionarsi al bizzarro rondò sentimentale degli indifesi personaggi, ma li guarda con la consapevolezza che ciò che sta scorrendo davanti ai suoi occhi è soltanto cinema. Un cinema intrigante, attraversato da vibrazioni inedite, ma ineluttabilmente appartenente a un’altra epoca, troppo distante per far scattare l’immedesimazione nel pubblico dei giovani d’oggi.