Ultimamente mi sono spesso soffermato a parlare dei fatti miei in questi articoli. Talmente tanto da aver spesso indotto chi leggeva a credere che fossero appunto i fatti miei il vero argomento trattato nell’articolo. Ora, mettendo momentaneamente da parte quella particolare forma di fiducia unilaterale che vuole che chi legga creda a chi scrive, perché altrimenti è inutile star lì a leggere articoli, vi posso serenamente dire che non è così. Nel senso, non è che io abbia realmente raccontato i fatti miei. E non erano in tutti i casi i fatti miei a essere l’argomento trattato in quei lunghi articoli. O almeno non solo. Si chiama storytelling, lo sapete, ormai ne parlano pure dal fruttivendolo. E lo storytelling che sto praticando, non fatemi star qui a spiegare perché, parte da un mio certo autobiografismo, più o meno reale. Voi leggete i fatti miei, o quelli che io spaccio per fatti miei, o quelli che voi pensate siano fatti miei, visto che come tale ve li vendo, e in realtà state navigando in acque che sanno di metafora. Questa l’idea.
Stavolta è diverso. Stavolta parto proprio dai fatti miei, quelli veri. Ora, è un po’ come il non lo farò mai più di chiunque sia stato colto per l’ennesima volta a fare qualcosa che non avrebbe dovuto fare. Non è che valga moltissimo. Ma c’è quella faccenda del tacito patto di fiducia unilaterale tra chi scrive e chi legge, o meglio, chi legge e chi scrive. Io scrivo e voi mi credete.
Non avete quindi seri motivi di dubitare di me se vi dico che io, in realtà, fosse stato per me non avrei mai votato per le Targhe Tenco. Non ci tengo a far parte di un club che abbia me come socio, per dirla con Groucho Marx, e anche se so bene che le Targhe Tenco non sono il Club Tenco e il far parte della giuria delle Targhe Tenco non equivale a far parte di quest’ultimo, resta il fatto che io non avrei mai voluto far parte neanche di questa giuria. Nel corso degli anni me ne hanno proposte diverse, di giurie, e ho praticamente sempre detto di no. Anzi, ho fatto del mio dire di no a tutti una sorta di maschera di quelle che uno indossa e subito tutti lo riconoscono. Una maschera strana, quindi, tipo quella di Spider Man o di uno di quei serial killer famosi di certi film. Io sono quello che non c’è. Non c’è nelle giurie. Non c’è alle conferenze. Non c’è mai. E non volevo essere neanche nella giuria delle Targhe Tenco. Non che me lo avessero proposto, ma non mi interessava proprio. Perché le Targhe Tenco mi hanno quasi sempre fatto cagare. E quando, ormai cinque anni fa, ho ricominciato a scrivere di musica su giornali, Il Fatto Quotidiano nello specifico, dopo una decina d’anni di standby, mi sono anche sentito in dovere di dirlo. Ho fatto un pezzo, me lo ricordo ancora, in cui per dire che le Targhe Tenco mi sapevano di vecchio e di falso usavo questa non troppo sottilissimo esempio. Dicevo che tra Brunori SaS, che avrebbe poi vinto, e i Dear Jack, che erano da poco usciti da Amici, preferivo questi ultimi, perché almeno erano una merda ma lo erano esplicitamente. Contavo, ingenuo che sono, sul fatto che per tutti quelli che mi leggevano, sin da subito tanta gente, non fosse minimamente in dubbio che i Dear Jack mi facevano davvero cagare sangue. Era un paradosso, ecco, chiamiamo le cose col loro nome. All’epoca la cosa mi valse una polemica social con Dario Brunori, con cui poi ho avuto un lungo carteggio epistolare e con il quale credo ci siamo ben più che chiariti, ma il concetto speravo fosse valido magari per gli altri, non per i diretti interessati. Invece la cosa mi valse di entrare nella giuria del Tenco, perché qualcuno, non ricordo chi, al momento, mi disse che dovevo fare resistenza e critica dall’interno. Le cose non andarono ovviamente bene. Perché accettai, coglione che sono, e quell’anno feci un casino che, avessi voluto farlo, non mi sarebbe venuto così bene. Votai come miglior album quello di Filippo Andreani, La prima volta. Lo dichiarai anche, perché già allora avevo la percezione di essere in qualche modo uno che doveva giocare in maniera limpida e che con il mio voto, magari, avrei potuto consigliare qualcuno. In realtà non lo votai. No, non è che presi per il culo tutti dichiarando il falso. Scrissi il voto nella mail, che però rimase per motivi che ignoro nelle bozze. Filippo prima mi ringraziò. Poi, quando uscirono i voti palesi e lui vide che non c’ero mi chiese ragione di questo mio gesto poco carino, dichiarare una cosa e non farla. Anche perché lui era arrivato secondo per un solo voto. A quel punto mi accorsi dell’inghippo. Screenshottai la bozza, con tanto di ora e data e la mandai al direttivo del Tenco, chiedendo una revisione del voto, o quantomeno di invitarlo come gesto riparatore. Mi venne detto che, essendo stato io la causa di questo errore, io che ero un noto cagacazzi, la cosa non poteva essere presa in considerazione. Pensavano fosse una mia provocazione, in sostanza. E Filippo perse.
Gli anni successivi non votai, anche perché nel mentre Enrico Ruggeri, di cui vi ho parlato recentemente, un mio amico fraterno, mi fece notare come lui non fosse mai stato preso in considerazione per una qualche targa. Di più, erano quasi trent’anni che non lo invitavano neanche al Club Tenco, come ospite. Lui che magari qualche canzone d’autore l’ha anche scritta. Siccome i suoi album non erano in lizza mi rifiutai di votare, e fanculo a tutti.
Di più, chiesi di essere tolto dalle liste, tanto non volevo starci. Ma, credo come certe religioni monoteiste, una volta che ne fai parte non puoi uscirne. Alla Maccio Capatonda.
Negli ultimi due anni ho ripreso a votare, come gesto politico. Ho anche chiesto pubblicamente di votare Chiara Dello Iacovo, a dire il vero, tre anni fa, inducendo in qualche modo il suo discografico di allora a candidarla. Insomma, ho sempre cagato il cazzo.
Quest’anno ho dichiarato i miei voti al primo turno. L’ho fatto su Facebook, proprio per farlo sapere. Sono un cazzo di influencer, nel mio settore, diciamolo.
Subito dopo quella votazione ho letto il post di una giovane collega che stimo che criticava chi avesse fatto esattamente la medesima cosa, ravvisando nel gesto di taggare gli artisti un modo subdolo per farsi ringraziare pubblicamente da questi ultimi, di farsi belli ai loro occhi.
Ho risposto, sapendo di non essere il solo a fare ciò, e anche di non essere necessariamente io l’oggetto di quel post. Ho sottolineato come avessi votato molti artisti in buona parte con meno seguito di me, non andando quindi a caccia di consensi, e ho sottolineato come il mio voto palese fosse un gesto politico, qualcosa fatto pubblicamente per farlo sapere a tutti. Lei, credo, è rimasta della sua idea, io della mia.
Ora c’è stato il ballottaggio per le vittorie finali, e ancora una volta ho reso noti i miei voti sui social. Lo faccio anche qui, perché credo che sia necessario non solo difendere le proprie idee, ma anche farle circolare il più possibile.
In quasi tutte le categorie ci sono artisti che del resto ho votato anche al primo turno, seppur in quella occasione di voti ne ho espressi tre in alcune delle categorie presenti.
Chi ho votato.
Per la categoria Miglior Album ho votato C’è qui qualcosa che ti riguarda di Patrizia Laquidara. Ne ho parlato anche in questo giornale, credo che Patrizia sia una delle più importanti artiste del nostro panorama musicale e credo che questo album sia uno dei più rilevanti uscito negli ultimi anni. Di più, credo sia davvero un distillato di bellezza, e siccome è noto che io da anni difenda con tutto me stesso il cantautorato al femminile è ovvio che io voti per lei, un diamante tra i diamanti.
Miglior album in dialetto è per me ‘O Diavolo di Francesco Di Bella. Come sopra, ritengo l’ex cantante dei 24 Grana una eccellenza nella composizione e interpretazione, un vero talento puro, uno di quegli artisti che, in un mondo giusto verrebbe portato su una lettiga in giro per le strade delle città, in uno normale passerebbe ogni dieci minuti in radio o in tv. Così non è, ma questo resta un grande album di un grande artista. Ascoltatelo.
Miglior album di esordiente ho votato Diventeremo adulti di Giulia Mei. Come per Patrizia, vale qui la faccenda dell’avere di fronte una grande cantautrice. Nel caso di Giulia, ovviamente, trattandosi di esordio, si tratta di una artista ai primi passi. Ma le sue canzoni sono canzoni già mature, importanti, e chi di voi avesse agio di passare il 27 giugno, a partire dalle 19, dalle parti dell’Officina delle Arti Pier Paolo Pasolini di Roma, assistendo alla serata Femminile Plurale, da me condotto con Cinzia Fiorato e da Tosca e me ideato, ne potrebbe avere prova provata, insieme alle altre trentuno artiste che calcheranno quel palco. Davvero brava, Giulia. Evviva.
Miglior album di interprete ho votato Nella corte dell’Arbat- Le canzoni di Bulat Okudzava di Alessio Lega. Alessio è un artista vero, di quelli anarchici, e questo sicuramente me lo fa sentire assai vicino, che pensa alla forma canzone come a qualcosa a metà strada tra la poesia e il manifesto politico, da inchiodare a suon di schitarrate e voce alle pareti del cervello. Stavolta si lancia nella riproposizione di canzoni del cantautore russo indicato già da Brassens come uno dei punti fermi del genere. Un anarchico che interpreta un comunista è già un bel progetto, ma qui siamo oltre, siamo nella vera poesia.
Migliore canzone ho votato Argento vivo, di Silvestri con Rancore e Manuel Agnelli. È l’unico voto diverso rispetto al primo turno. Ma è anche una gran bella canzone, di cui ho abbondantemente scritto, anche qui, durante il Festival di Sanremo. Merita la vittoria, credo, tra quelle in gara.
Infine ho votato come Miglior album a Progetto gli AdoRiza con Viaggio in Italia- Cantando le nostre radici. L’album e il progetto che ci sta dietro parte proprio da Officina Pasolini, quindi da Tosca, che ha curato lo spettacolo da cui l’album è scaturito insieme a Felice Liperi e Paolo Coletta, da Piero Fabrizi, che ne ha curato la direzione musicale e gli arrangiamenti, e da Massimo Venturiello che è stato regista del medesimo spettacolo. Un viaggio nelle nostre radici, come recita il sottotitolo, ma più che altro la dimostrazione, ce ne fosse bisogno, che possiamo essere molto moderni e molto contemporanei usando basi e plug-in, ma possiamo essere molto moderni, molto contemporanei e portatori di un sacco di bellezza continuando invece a suonare e cantare come succede da secoli e secoli, usando strumenti e voci. Perché la bellezza non ha tempo, è un refrain sempre attuale, e sentire dei giovani che fanno proprie le nostre tradizioni non può che commuoverci.
Quindi questi sono i miei voti. Li ho sciorinati anche qui, fingendo di farlo perché in qualche modo mi trovo invischiato nelle Targhe Tenco come un personaggio kafkiano. Ne ho anche biecamente approfittato per dirvi di non perdervi Femminile Plurale, il 27 giugno a Roma, presso l’Officina delle Arti Piero Paolo Pasolini. Lì saliranno sul palco loro, Lavinia Mancusi, Dalise, Andrea Mirò, Teresa De Sio, Cristina Nico, Giulia Ventisette, Sabrina Napoleone, Kim, Roberta Giallo, Valentina Amandolese, Pilar, Eleviole?, Nathalie, Diana Tejera, Angela Baraldi, Mimosa Campironi, Tosca, Elyza Jeph, Silvia Oddi, Gabriella Martinelli, Agnese Valle, Cassandra Raffaele, Irene Ghiotto, Giua, Marian Trapassi, Erica Boschiero, Giulia Mei, Chiara Civello, Ylenia Lucisano, Sara Romano, Sarah Stride e infine Lilith Primavera con Giuditta Sin. Presentiamo io e Cinzia Fiorato, già l’ho detto, e sarà uno dei più incredibili concerti che vi capiterà di vedere in Italia, fidatevi di chi queste artiste ben le conosce. Davvero un oceano di bellezza.
Oceano di bellezza che poi, con altre facce e altre voci, si riverserà su Genova, al Lilith Festival, che di Femminile Plurale è sorella maggiore (la madre di Femminile Plurale, credo, sia il Festivalino di Anatomia Femminile, presto di nuovo online sui miei profili Facebook). Qui canteranno: Eleonora Betti, Giulia Mei, Beatrice Campisi, Diana Tejera, Eleonora Bordonaro, Sarah Stride, Cri+SaraFou, Chiara White, Marta De Lluvia, anche lei finalista al Tenco come Migliore opera esordiente, Marian Trapassi, Mattiska, Frey, Sue, Dorsale, Maddalena Conni, Claudia Pisani, Chiara Figari, Sabrina Napoleone, Valentina Amandolese, Cristina Nico, RosAcustica, Charlie, Lidia Sciarrone, Lobina.
Insomma, dire da dopo questa doppietta, e dopo anche il bel primo maggio organizzato presso l’Angelo Mai da Diana Tejera, Angela Baraldi e Beatrice Tomassetti, il May Così Tante, ricorderete, che non ci sono artiste e cantautrici valide in Italia sarà cosa impossibile anche per il più maschilista degli organizzatori.