Netflix ha dimostrato più volte di avere valori ben precisi ed essere saldamente ancorata alla società contemporanea, e non si è smentita neppure questa volta. Il dibattito sulla durissima legge anti-aborto in Georgia accende gli animi di uomini e donne statunitensi da mesi e finalmente la piattaforma ha deciso di alzare la voce. Ted Sarandos, chief content officer, ha dichiarato infatti che se la legge entrasse davvero in vigore l’azienda si vedrebbe costretta a riconsiderare i propri investimenti in Georgia.
La cosiddetta fetal heartbeat law è stata firmata il 7 maggio e ci si è accorti fin da subito che uno dei modi più efficaci di opporvisi sarebbe stato quello di spingere l’industria di Hollywood a una ribellione di massa. La questione non è di poco conto: in Georgia, infatti, il cinema e la televisione danno lavoro a più di 90.000 persone e fruttano quasi 3 miliardi di dollari di profitti.
L’inconcepibile durezza della legge anti-aborto in Georgia ha già spinto piccole produzioni a boicottare lo stato. Tra queste la serie televisiva Amazon The Power e la commedia di Kristen Wiig, Barb and Star Go to Vista Del Mar. Sentiamo di dover far valere il diritto delle donne di scegliere liberamente cosa fare del proprio corpo. Nonostante la nostra sia stata una decisione difficile pensiamo anche sia la più giusta, hanno commentato le produttrici Jane Featherstone e Naomi de Pear.
Purtroppo i grandi studios di Hollywood non hanno mostrato la stessa onestà intellettuale. Warner Bros e Disney sono al momento due tra i casi più eclatanti di multinazionali disposte a mantenersi neutrali pur di non mettere a rischio i propri affari in Georgia.
Alla luce di ciò è ancora più significativo che Netflix abbia deciso di schierarsi contro la heartbeath law, la cui entrata in vigore è prevista per gennaio 2020. Il gigante dello streaming ha molti conti in sospeso con questo stato sudorientale degli Stati Uniti: non dimentichiamo che è proprio qui che si producono serie di enorme successo come Stranger Things e Ozark. Ma Ted Sarandos ha comunque fatto la voce grossa.
Molte delle nostre impiegate lavorano a delle produzioni in Georgia e questa legge intaccherà profondamente i loro diritti, insieme a quelli di milioni di altre donne, ha dichiarato. È per questo che saremo a fianco dell’ACLU e degli altri in un’importante battaglia giudiziaria. Dato che la legge non è ancora entrata in vigore continueremo a girare in Georgia, ma allo stesso tempo sosterremo i partner e gli artisti che decideranno di non farlo. Se mai diventasse realtà riconsidereremmo il nostro intero investimento in Georgia, ha concluso.
Le reazioni delle star del cinema, della tv e della musica alla legge anti-aborto in Georgia sono state altrettanto variabili. Alcuni, come Jason Bateman, Alyssa Milano, Ariana Grande e Rihanna hanno promesso di boicottare lo stato se la legge entrerà in vigore. Altri, tra cui J.J. Abrams, Ron Howard e Jordan Peele, hanno deciso di non esprimersi, limitandosi a promettere donazioni ai gruppi contrari alla norma.
Il silenzio dei grandi studios dinanzi a questa legge scellerata stride con la dura presa di posizione mostrata nel 2016, sempre in Georgia. A quei tempi la rabbia collettiva era diretta a una proposta di legge basata su due punti ugualmente inconcepibili. Il primo prevedeva che le autorità religiose potessero rifiutarsi di celebrare matrimoni omosessuali; il secondo che organizzazioni di ispirazione religiosa potessero non assumere o non servire chiunque non rispettasse i princìpi religiosi dell’organizzazione stessa.
In quell’occasione Disney, Marvel, la MPAA, AMC, Viacom e molti altri hanno fatto valere tutto il proprio peso. Questa volta, invece, i politici dello stato hanno potuto contare su un comodo silenzio. L’attuale governatore, Brian Kemp, è arrivato a dire che i detrattori della legge sono celebrità di serie C, mentre il presidente del National Right to Life Committee ha fatto notare come gli investimenti di Hollywood in Georgia siano troppo consistenti per poter semplicemente chiudere bottega e andare via.
E il nodo dell’intera faccenda potrebbe essere proprio questo. Negli ultimi dieci anni la Georgia è diventata un business irrinunciabile per studios grandi e piccoli grazie a succulenti incentivi e detrazioni fiscali. Basti pensare ai profitti che possono essere derivati da film campioni d’incassi come Hunger Games, Black Panther o Captain America: Civil War, girati proprio in Georgia.
Eppure in un mondo ideale le considerazioni economiche non dovrebbero essere quelle prevalenti. Netflix ha circa 10 miliardi di dollari in gioco in Georgia, eppure non ha rinunciato all’opportunità di dire la cosa giusta. Cosa frena le altre grandi case di produzione? Se l’unica preoccupazione fossero le potenziali perdite di profitti, forse potremmo accettare la freddezza delle decisioni dettate esclusivamente dal tornaconto personale.
Ma non è questo il caso. In gioco ci sono le vite di milioni di donne, il loro diritto di vivere pienamente e prendere decisioni autonome su questioni personali che hanno al contempo una ricaduta sull’intera società. Se fare la cosa giusta è un’opzione così impraticabile, i grandi studios potrebbero quantomeno far ciò che per loro è più semplice: giocare con le cifre. Perché minacciare lo stato della Gerogia di chiudere i rubinetti potrebbe essere in fondo l’unico modo di ragionare con chi ha un bidone dell’immondizia al posto del cuore.