Reti come The CW hanno sempre avuto la naturale propensione a ritrarre e attrarre un segmento di pubblico tanto complesso quanto eterogeneo, i cosiddetti young adults. Questi giovani adulti sono in realtà poco più che bambini, adolescenti, ragazzini cresciuti troppo in fretta o quasi adulti cresciuti troppo poco, insomma un calderone di tipi umani di cui è difficile parlare e catturare l’interesse. The Society su Netflix prova a fare entrambe le cose e il risultato, pur non essendo brillante, è più che onesto.
La premessa della serie è un’indagine di ciò che accade a un gruppo di studenti in gita che, non riuscendo ad arrivare alla meta prevista, si ritrova bloccato in una città equivalente a quella di partenza, ma depurata da adulti e ragazzini più giovani. Sono abbandonati a sé stessi, insomma.
La partenza è difficoltosa, ma col passare degli episodi il ritmo in The Society su Netflix si fa più incalzante e la narrazione ne trae un sostanziale vantaggio. Il misterioso evento che mette in moto l’intreccio, tuttavia, viene presto messo da parte per concentrarsi sulle azioni e reazioni dei ragazzi coinvolti.
Ciò che all’inizio potrebbe sembrare il racconto di una tipica contrapposizione fra ragazzi popolari, emarginati cronici e tipi determinati oltre i canoni della giovane età, si rivela invece un tentativo ambizioso di comprendere come individui al contempo fragili ed esplosivi possano riuscire a convivere in una situazione tanto complessa e rischiosa.
it started out fun. it was supposed to be fun. pic.twitter.com/1ytTSLMa0I
— The Society (@thesociety) May 10, 2019
Gli echi de Il signore delle mosche sono evidenti. Al principio l’ordine sociale tradizionale sembra poter resistere. Cassandra prende in mano le redini della situazione e fa il possibile perché i compagni non cedano al panico. I ragazzi si aggrappano a una tipica mentalità da gruppo per affrontare le cose. Becca, Gordie e Sam – i nerd della combriccola – riflettono sulla bizzarria del contesto, mentre Campbell ed Elle trovano crescenti punti di contatto nel loro essere outsider.
Presto, però, diventa evidente come i ragazzi debbano fare qualcosa in più che mantenere lo status quo. Devono anzitutto ricostruire una comunità dalle fondamenta, cosa che richiede una buona dose di flessibilità e abnegazione. In sostanza, tocca loro imparare a crescere.
Harry, per esempio, deve fare i conti con la sua storia personale di privilegio e imparare a condividere ciò che possiede. Cassandra, invece, deve servirsi del suo pragmatismo con audacia e determinazione, affrontando la resistenza maschile alla sua influenza.
if we all work toward one cause, together, there's no stopping us. pic.twitter.com/U2Zh0oylqI
— The Society (@thesociety) May 25, 2019
The Society su Netflix, insomma, dimostra di avere buone intenzioni e di essere riuscita a giocare abbastanza bene alcune delle sue carte. Anzitutto non banalizza le istanze dei suoi personaggi, anzi le legittima tentando di portare sullo schermo un gruppo di giovani eterogeneo e assimilabile alla realtà. In secondo luogo sfrutta bene le potenzialità di un cast in cui spiccano Kathryn Newton e Rachel Keller.
Altre soluzioni, invece, non sono state altrettanto convincenti. Sempre a proposito del cast, spicca un’omogeneità che sa tanto di occasione perduta. Per una serie che prova a sfiorare temi come i privilegi o la mancanza degli stessi e che dedica il suo stesso titolo all’idea di società, è strano che i suoi interpreti non offrano una rappresentazione ben più ampia. Naturalmente questo appiattisce anche i personaggi, che solo in un paio di casi non sembrano anonime figurine intercambiabili. E quello della debole caratterizzazione è uno dei problemi più evidenti.
C’è poi la questione dei rimandi – più o meno palesi – e delle ispirazioni. Da un lato questi aiutano ad ancorare la serie, ad assicurarle una legittimazione che forse altrimenti non riuscirebbe a trovare. Dall’altro cospargono i dieci episodi di The Society di atmosfere già avvertite altrove. Parliamo del già menzionato Signore delle mosche come anche di un’ambientazione e di un tentativo di organizzazione sociale di cui Lost si è impadronita molti anni fa.
Giunti a questo punto è molto difficile riuscire a offrire qualcosa che sappia davvero di nuovo, di mai visto o sentito. Né è davvero necessario, quando altri elementi possono far valere le istanze di una serie. Non è un problema, quindi, che The Society sembri richiamare gli anni ’90 nella sua rappresentazione della periferia americana, nell’abbigliamento dei personaggi, nelle sue più generali atmosfere. I problemi, semmai, sono altri, quelli di cui abbiamo già parlato.
Per concludere, The Society su Netflix non sarà una serie perfetta, ma ridurla a un mediocre teen drama non sarebbe onesto. La serie, ideata da Christopher Keyser e da lui prodotta insieme a Marc Webb, è una produzione di buon livello tecnico che può intrattenere senza grosse difficoltà la fetta di pubblico cui si rivolge, e forse anche chiunque sia attratto dai misteri indecifrabili.