Inside Out, il film d’animazione targato Pixar è un viaggio nelle emozioni che aiutano a crescere

Un film in cui protagoniste sono le emozioni installate nel cervello d’una ragazzina. Fantasia e neuroscienze s’incontrano per dar vita a una grande fiaba contemporanea

Inside Out

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Uscito nel 2015, è già diventato un classico Inside Out, il film d’animazione targato Pixar che stasera Italia 1 ripropone alle 21.25. Un successo al botteghino, quasi 900 milioni di dollari d’incasso globali, premio Oscar come Miglior film d’animazione nel 2016, il film diretto da Pete Docter e Ronnie del Carmen è, soprattutto, uno di quelli che meglio mostrano la strategia consolidata dei cartoon contemporanei, che imbastiscono delle avvincenti narrazioni stratificate a più livelli, capaci di affascinare i bambini e insieme suscitare riflessioni articolate negli spettatori adulti.

Inside Out è basato su un’idea dello stesso Docter, partito da uno stimolo autobiografico, legato alle domande che qualunque genitore si pone trovandosi di fronte a quell’inesplicabile mistero che è una figlia preadolescente: “Vedevo i cambiamenti nelle sue reazioni e mi chiedevo: ‘Cosa avrà nella testa, cosa le sta passando?’ Ecco, è stato quello lo spunto per un viaggio, quasi un’avventura, nella mente di una persona”.

Quella persona in Inside Out diventa Riley, una ragazzina di 11 anni costretta ad affrontare il trauma del cambiamento, un trasferimento al seguito degli amorevoli genitori dal Minnesota alla sconosciuta San Francisco. La crisi esistenziale di Riley si trasforma in una narrazione condotta dall’interno del suo cervello, attraverso un processo di antropomorfizzazione che trasforma ogni emozione percepita in un personaggio con caratteristiche psicologiche, comportamentali e somatiche attentamente definite.

Nell’universo di Inside Out, le emozioni fondamentali sono cinque: Gioia, Tristezza, Rabbia, Disgusto e Paura, rese familiari allo spettatore grazie a caratteristiche che attingono a un bagaglio di conoscenze e credenze condivise. Per cui Rabbia è un tozzo individuo ovviamente rosso che quando si irrita (spessissimo!) s’accende come un fiammifero; Tristezza è la classica ragazzina sfigata della scuola, con gli occhiali da secchiona e un colorito blu (che in inglese vuol dire proprio tristezza); Disgusto della suddetta scuola sarebbe la reginetta, talmente cool da essere perennemente insoddisfatta di tutto e tutti, come dimostra il verde del suo eterno disappunto; Paura ha tratti meno netti, forse perché il suo perenne terrore l’ha consumato al punto da renderlo un esserino segaligno e sfuggente (è così la paura a pensarci bene, totalizzante e indefinita): e infine c’è Gioia, sorta di Campanellino di Peter Pan che sprizza in ogni dove la sua energia multicolore e luminosa.

Nel quartier generale del cervello, con Gioia a sovrintendere all’intero processo cognitivo come emozione guida, il quintetto dirige le attività superiori dell’essere umano, con un incessante lavorio tra leve, bottoni, spie luminose e ricordi di forma sferica. La mente, insomma, è un universo di vaste dimensioni, che la sbrigliata fantasia dei creatori della Pixar plasma, allo stesso tempo, come: un gigantesco elaboratore elettronico; una sterminata biblioteca di Babele (l’enciclopedia della memoria); uno studio cinematografico che dà vita alla dimensione onirica di Riley (la proverbiale “fabbrica dei sogni” hollywoodiana); un antro orrifico in cui s’annida il subconscio (il sonno della ragione genera mostri); l’area del pensiero astratto, in cui le idee assumono una forma bidimensionale come fumetti disegnati da un bambino; una discarica buia, in cui s’accatastano e sbriciolano i ricordi ormai superflui espulsi dalla psiche.

In Inside Out fantasia e neuroscienze s’incontrano, per dar vita a un mondo cerebrale all’altezza tanto delle esigenze narrative quanto d’una rappresentazione passabilmente credibile dei processi cognitivi. È istruttivo, nonché assai divertente, sentir parlare, ad esempio in questa intervista, il professore di psicologia dell’università di Berkeley Dacher Keltner, consulente scientifico della Pixar per il film. Dal quale apprendiamo che le cinque emozioni scelte come protagoniste sono il frutto di una lunga e tutt’altro che pacifica selezione tra tutte quelle che affollano la mente – secondo lo studioso circa una ventina –, che ha visto a lungo in ballo la Speranza, l’Invidia, l’Orgoglio, a cui alla fine è stato preferito il quintetto che meglio si prestava alla costruzione di personaggi divertenti e caratterialmente memorabili.

Le emozioni sono il motore di Inside Out, gli autentici protagonisti, assai più di Riley la quale, in verità, sembra più un fantoccio che un personaggio a tutto tondo, dato che le sue scelte sono sempre la conseguenza meccanica di quel che accade all’interno del cervello nell’interazione tra le cinque emozioni sottoposte alla leadership di Gioia. La protagonista del film, alla fine, è proprio Gioia, che matura quando capisce come la sua missione non sia quella di rendere Riley perennemente felice – obiettivo né possibile né auspicabile –, quanto di aiutarla a crescere attraverso un processo di integrazione tra i vari aspetti della sua personalità.

Come in ogni fiaba che si rispetti, Inside Out è un’avventura il cui obiettivo è diventare adulti. E questo sarà possibile solo dopo aver superato le prove rappresentate allegoricamente dal rocambolesco viaggio che Gioia intraprende nel mondo multicolore ma pieno di pericoli del cervello, nel quale si trova catapultata per una sfortunata coincidenza – cosa che fa sprofondare Riley, privata dell’allegria, in un profondo stato d’abulia. Gioia deve ritrovare la strada di casa e per farlo avrà bisogno della collaborazione fondamentale di alcuni aiutanti, l’amico immaginario Bing Bong (che vaga ramingo nei meandri del cervello perché Riley, ormai cresciutella, non sa più che farsene di questa sua proiezione infantile), e Tristezza, l’unica emozione che apparentemente “non sa bene quale sia il suo ruolo”.

Il che, fuor di metafora, vuol dire che Gioia per giungere al suo scopo deve capire che ogni emozione riveste un ruolo essenziale, soprattutto quella socialmente più svalutata, la Tristezza, che sovrintende a funzioni irrinunciabili della psiche umana, senza le quali è impossibile dirsi davvero adulti. Quella che ritrova Gioia alla fine del viaggio è una realtà, psichica e materiale, più ricca di sfumature, come le sfere dei ricordi non più monocrome ma con i colori di tutte le emozioni. Ed è questa consapevolezza matura che Gioia, Tristezza, Rabbia, Paura e Disgusto consegnano alla nuova Riley, che trova finalmente il suo posto in un mondo meno perfetto ma più vero.