L’album d’esordio di Alvis, giovane promessa di “Amici 18”, è comparso su tutti gli store il 26 aprile dopo le anticipazioni dei singoli A un paio di passi dal cuore, Mala noche e Hai ragione papà. Durante la sua partecipazione al talent show di Maria De Filippi, Alvis si era fatto notare per il suo spirito eversivo, e dobbiamo dire che lo stesso carattere emerge nelle 9 tracce che compongono il disco. Rilasciato dalla Universal Music Italia, l’album d’esordio di Alvis è stato prodotto da Daves The Kid, lo stesso producer che ha lavorato insieme a Sfera Ebbasta, DrefGold e Charlie Charles per il singolo Sciroppo. Dref e Daves, tra l’altro, sono i primi due artisti accolti nella BillionHeadz Music Group, l’etichetta discografica fondata da Sfera e Charlie.
Ci ritroviamo, dunque, a parlare di trap, ma con questo disco dobbiamo – e possiamo – usare il termine con parsimonia. Alvis si serve della trap quando scomoda l’autotune e alcune sillabe troncate, ma è anche in grado di sfoderare un pop interessante come nel caso di Chissenefrega e di spostarsi su confini più internazionali come accade in Rooftop. La musica non gli è nuova, se consideriamo – lo aveva dichiarato in un’intervista – che il 23enne ha iniziato a scoprire il mondo delle note quando a 12 anni suonava la batteria e quando a 19 anni si è iscritto a una scuola di produzione musicale.
Nelle nove tracce dell’album d’esordio di Alvis troviamo trap, pop, musica leggera e temi oltremodo vicini a questa generazione, quali il rapporto con la famiglia, l’amore e il tormento che entrambe le cose sono in grado di procurare.
Caraibi e solarità, portate all’orecchio dal marimba, aprono A un paio di passi dal cuore, dove il titolo diventa l’indirizzo al quale Alvis spera che la sua fiamma faccia trasloco. Il testo è un invito frenetico a rompere gli indugi su una presa di posizione: «Ti pentirai di tutto, meno che di me, meno che di noi», e il beat si colloca al confine tra il pop e il reggaeton. Mala noche, come il titolo suggerisce, ha sfumature latineggianti grazie all’intro eseguita con una chitarra acustica, e l’arrangiamento si fa reggaeton dopo il primo ritornello. Alvis racconta la tragica libertà di farsi del male quando una storia travagliata finisce: «Mi butti il cuore nel Naviglio come i tamarri le bici a Milano, e ci guardano tutti, ti dico “fai piano”, che gran finale hollywoodiano. Quando ti arrabbi somigli maledettamente a mia madre, quel volume di voce mi spacca a metà». Senza di lei, adesso, Alvis sta bene e può scatenare risse nei locali, girare un film e volare veloce senza meta.
Restiamo sul latino-americano con Hai ragione papà, e Alvis si lascia andare in un’autocritica sulle sue responsabilità e su quella retta via che più volte ha mancato, sovvertendo alle regole di suo padre. Una serie di disastri commessi durante il giorno lo fanno tornare indietro per riconoscersi diverse lacune nel savoir-faire, ma soprattutto una certa incapacità di gestire le situazioni. Brano ballabile, oltretutto, che scherza sul suo sentirsi ancora un ragazzino immaturo.
Mai inganna per l’intro affidata a un riff di chitarra, ma è un brano trap. L’autotune domina il cantato e la scelta stilistica domina il testo, un cliché del rubacuori cyberpunk contemporaneo che non vuole conoscere regole né attese, perché diventa predatore della ragazza che gli ha rapito il cervello. Liberi si apre con powerchord di chitarra distorta, ma siamo di nuovo in mezzo a un inganno: ritorna l’attitudine trap con l’autotune e la donna da conquistare. “Liberi” è la parola usata per definire l’obbiettivo: lei deve lasciare il suo lui e scappare con Alvis, che la sta aspettando rischiando di diventare vecchio.
Chissenefrega è la canzone più eterogenea al disco insieme a Rooftop. Chissenefrega è una ballad acustica, ma anche un bel pezzo pop in cui gli accordi di settima+ sanno dare quell’atmosfera lontana anni luce dalle due “trappate” precedenti. Una serenata forse, con Alvis che canta sotto la finestra di lei per chiederle di scendere e “salvargli la vita”. C’è impegno, in alcuni punti, anche nel testo: «Freud non capirebbe niente se leggesse di noi». Cadere è la paura di perdere tutto, ora che il 23enne è riuscito a trovare un equilibrio: «Non ho più paura, non ho più le pare, o forse ho solo imparato a nascondere le prove. Non voglio cadere come le stelle quando iniziano a splendere». Un beat elettronico e accordi semplici accompagnano l’autotune impiegato anche in questa traccia. Purtroppo.
Alvis canta e rappa in Capelli Rosa, un pop in-trap-polato, anche questa volta, nel cliché di un artista che dedica il suo capriccio ai patemi sentimentali e affida quest’ultimi, come richiede il mercato, all’autotune. Quest’ultimo ricorre anche in Rooftop, un titolo che ci ricorda i Beatles e un testo che riassume, in parte, i contenuti del disco: lei deve tornare da lui. A questo giro, però, Alvis sceglie la lingua inglese, una chitarra acustica e delle percussioni sommesse. L’intonazione meccanica, qui, è più leggera e questo rende Rooftop la seconda parte interessante del’album d’esordio di Alvis.
Alvis ama la musica e lo ha dimostrato: il suo pop è pieno di sfumature che spaziano dalla più frivola di Mai a quella più impegnata di Chissenefrega, e si trova all’inizio del suo percorso. Chi lo segue da “Amici di Maria De Filippi” ha imparato a conoscerlo meglio, e la sua curiosità artistica è la sua forza. L’album d’esordio di Alvis è il suo biglietto da visita, vicino al mainstream per certe sonorità e più personale se parliamo di attitudine.