Abbiamo atteso a lungo l’uscita di “In The End” dei Cranberries, ma allo stesso tempo abbiamo desiderato che questo disco non esistesse, o forse che non esistesse il contesto. Ciò che rende straziante l’ultimo album, quello definitivo, della band irlandese più popolare e innovativa degli anni ’90 è la consapevolezza di trovarsi di fronte ad un addio. La scomparsa di Dolores O’Riordan non ha spento per sempre i riflettori sulla sua musica, e per questo i superstiti della band con l’ausilio del produttore Stephen Street hanno scelto, nell’ultimo anno, di raccogliere tutte le registrazioni che la grande assenta aveva lasciato durante i lavori sul disco.
Dolores era positiva, e la sua nuova energia aveva permesso alla band di scrivere nuova musica per suggellare la ritrovata affinità con un nuovo disco. Nessuno, ovviamente, si aspettava che “In The End” dei Cranberries sarebbe diventato, un giorno, il testamento sonoro di quei quattro ragazzi di Limerick che ci incantarono con Zombie e ci inquietarono con Promises. A partire dal 2017 Dolores aveva registrato delle demo vocali dopo che il suo medico le aveva consigliato di fermarsi qualche mese per via di un dolore alla schiena. Dopo quel tragico 15 gennaio 2018 Mike Hogan, Noel Hogan e Fergal Lawler riscoprirono quelle registrazioni e si guardarono negli occhi: era ottimo materiale per un disco.
I tre Cranberries rimasti, da quel momento, hanno manifestato una notevole forza d’animo: hanno sopportato il silenzio assordante durante le ore trascorse in studio, hanno sopportato il dolore dell’assenza e sono riusciti a ottenere il consenso dalla famiglia di Dolores per procedere con i lavori. Le loro parole, lapidarie, non hanno lasciato spazio a dubbi: «È la fine dei Cranberries. Non pubblicheremo altre canzoni, né andremo in tour. Ci sarà quest’album e poi basta. È un modo per celebrare Dolores e la band. Finiamo in bellezza». Così, con l’anticipazione dei singoli All Over Now, Wake Me When It’s Over e In The End, i Cranberries si inchinano al mondo e lo ringraziano. Lo fa anche Dolores, che oggi sorride mentre scopre di aver creato l’ennesimo capolavoro.
Chitarre distorte, percussioni inquiete e sentimento diventano una porta che sbatte violenta sul nostro grugno quando si apre All Over Now, un matrimonio tra acidità in settima+ e virtuosismi in clean della scuola di Robert Smith dei Cure. Dolores O’Riordan non sa dirci addio, nemmeno quando si serve di titoli che recitano: «Ora è tutto finito». Non c’è alcuna cosa che volga al termine, perché la grande assente può ancora incantarci con la sua squadra di musicanti ispirati e la sua letteratura fatta di testi profondi e intimisti. Rock, semplicemente, nel lessico che i Cranberries hanno insegnato al mondo che loro stessi amavano immensamente.
In Lost c’è qualcosa di One dei Metallica, almeno nell’arpeggio iniziale, ma quei suoni in reverse sono il disturbo necessario per aprirsi a un violoncello che segna il pavimento di un brano cupo, triste e cerebrale. La contraddizione tormenta Dolores per 4 minuti: «Sono persa con te, sono persa senza te». Avremo una pace apparente fino alla metà del brano, perché poi tutto esplode con un canto che si arrampica un’ottava più in alto e una batteria che si introduce timida: non c’è bisogno di una potenza sonica, quando il materiale scelto è già forte e profondo da creare scompiglio fra le viscere.
Wake Me When It’s Over è come un’evoluzione di Zombie, se consideriamo le classiche strofe in pulito e il classico ritornello distorto e impertinente. Questa volta, però, Dolores ci redarguisce: diamo un taglio ai tormenti, dobbiamo smettere di essere negativi e assenti, altrimenti bruciamo tutto ciò che abbiamo intorno. «Svegliami quando è tutto finito», ci dice la grande assente esausta da un passato che ancora domina il nostro percorso. Il delay che amplifica la sua voce nel ritornello è il tocco di classe del brano, uno spazio infinito che veste i panni di un evidenziatore che ci porta all’attenzione del concetto.
A Place I Know è il classico manifesto dell’amore dei Cranberries per le ballate acustiche. La voce di Dolores è soffice e si fa strada tra le ritmiche in acciaio degli accordi. Chiudiamo gli occhi quando lo slide crea quel glissato paradisiaco nell’intro e nell’uscita dal ritornello. Siamo dentro le atmosfere di You And Me (“Bury The Hatchet”, 1999), perché A Place I Know è una canzone d’amore che immagina un posto perfetto, una meritata zona di comfort per due amanti. Un pianoforte onirico apre le danze di Catch Me If You Can e l’effetto strizza l’occhio ai Sigur Rós per i primi secondi, perché poi i Cranberries creano l’inserto di tensione con l’apporto della batteria e l’impiego di una nervosa sessione d’archi. Troviamo quello stile canoro che Dolores O’Riordan aveva sdoganato nel mondo del mainstream, quell’intacco in falsetto che armonizzava le sue linee vocali, ma c’è di più: note fuori scala compaiono nello special, eseguite da un synth apparentemente scordato, ma che ha la stessa bellezza delle quinte diminuite inaugurate dai Black Sabbath.
Got It ha una doppia faccia: la ritmica di This Is The Day e il passo sostenuto di Dreams, quando la batteria è ridotta alla cassa su ogni quarto e un ride su ogni ottavo. Quando la voce fa il suo ingresso siamo dentro Analyse, e anche questa volta Dolores parla alla società come una maestra affettuosa: «Le persone vogliono che tu abbia un posto nella società», perché il tempo scorre. Non abbastanza, però, perché nello special di Got It troviamo gli “ah-ha-ha” di Salvation, dettaglio che fa di “In The End” dei Cranberries un disco antologico, al di là dei contenuti inediti.
Pacatezza e dolcezza, perfettamente cucite nell’animo della grande assente, sono al centro di Illusion. Dolores racconta “una storia di fallimento e gloria” nata nel 1980 e che ha rapito la sua anima, ma che era tutta un’illusione. Non si esclude che il brano possa far riferimento a un qualche evento storico, ma potrebbe trattarsi anche di una vicenda personale. Il riff di batteria, con il rullante che picchia in due battute come nelle più famose produzioni degli anni ’60, ha dinamiche basse per rispettare il sound acustico del brano, una canzone perfetta per rilassarsi ma anche per riflettere.
Crazy Heart, in pieno stile Cranberries – quella strana ruvidità rock guarnita con sensibilità – è probabilmente una dedica a un uomo troppo pieno di sé: «Sapevo che eri quello forte, il più forte, il primogenito», quindi: «Sii il rubacuori, il rapitore di anime», con una sottile ironia che vuole dissacrare le fortezze di chi non fa che ergersi a umanoide insuperabile. Se All Over Now omaggia i Cure nei riff iniziali, in Summer Song troviamo la stessa tendenza, questa volta un po’ più deliberata: i Cranberries attingono dalla squadra di Robert Smith per costruire una melodia in maggiore e un testo sull’amore, ma il sorriso che vediamo è lo stesso di Norman Bates. Estate, amore, scale maggiori e fiabe grottesche fanno di Summer Song uno dei brani più interessanti di “In The End” dei Cranberries. Notevole, infine, la strana somiglianza con Born To Run di Bruce Springsteen.
The Pressure, sulla linea di A Place I Know, è una canzone d’amore celebrativa e imponente. Dolores racconta di come tutte le ansie siano un ricordo remoto da quando ha trovato l’amore, e lo fa con un canto sommesso e quasi soffocato. Un’ultima isola acustica felice, un’ultima leggerezza che però finisce troppo presto quando arriva la title-track. Un epitaffio, quasi, una serie di parole purpuree che raccontano la rassegnazione, l’incapacità di trovare ciò che si desidera. Tuttavia, fino alla fine, Dolores ci dice che lo spirito è immortale. Se è vero quanto si dice intorno all’ultraterreno, allora oggi sappiamo che Dolores O’Riordan è uno spirito, e per questo è immortale.
“In The End” dei Cranberries si chiude con liriche mistiche e acustiche intense, sempre amate dalla grande assente che fu tanto cara alla musica, a noi, alla sua band e agli dei.