E’ ancora in corso al Teatro Golden di Roma la rassegna dal titolo “A tu per tu…”, della quale ho l’onore di occuparmi come direttrice artistica. Il direttore del teatro, Andrea Maia, ha deciso di inserire nella programmazione degli eventi anche la musica, con una rassegna che per un mese vede alternarsi cantautori e cantautrici “storici” e giovani leve della canzone d’autore italiana scelti per aprire i concerti di Morgan, Mimmo Cavallo, Syria, Alberto Fortis, Rossana Casale, Mariella Nava, Carlo Marrale, Toni Bungaro e la sottoscritta. Il titolo della rassegna è stato suggerito dalla particolare architettura del teatro (un’arena senza palcoscenico con le poltrone intorno e vicino all’artista), che crea un senso di intimità e di confidenza, una condizione ottimale per chi lavora con il suono e soprattutto con la parola, ed anche per chi ascolta.
L’adesione piena ed immediata di tutti gli artisti mi ha fatto riflettere su quanto sia importante un rapporto ravvicinato con il pubblico, persone da guardare negli occhi, da poter avvicinare senza scendere le scale del palcoscenico, e con cui interagire anche nel corso dello spettacolo. La cosa più sorprendente è proprio la reazione del pubblico, che si sente parte di tante storie di vita “messe in musica” e raccontate quasi “a quattr’occhi”. La prossemica è quella disciplina che studia lo spazio e le distanze all’interno di una comunicazione, sia verbale che non verbale; e il termine, coniato dall’antropologo Edward T.Hall agli inizi degli anni Sessanta, deriva dall’inglese “proximity” (prossimità). Lui studiò i modi che i diversi popoli hanno di gestire lo spazio nei rapporti interpersonali, in altri termini la distanza che, nelle varie culture, la persona mette tra sé e gli altri per sottolineare la qualità della relazione, più o meno formale, più o meno confidenziale.
Il segreto di una relazione positiva è forse proprio nella giusta distanza fisica tra le persone, e il segreto di uno spettacolo è forse nella scelta di una prossemica che avvicini le persone senza però annullare la magia di uno spazio scenico che deve comunque esistere. In qualche modo il filosofo Arthur Schopenhauer si era posto il problema, trattandolo con la metafora dei porcospini: i porcospini, per difendersi dal freddo, si avvicinavano troppo fra loro al punto da ferirsi con gli aculei, ma se si allontanavano per evitare le punture rischiavano di morire di freddo, così furono costretti a trovare la giusta distanza per sentire calore senza rischio di ferirsi. L’area del Teatro Golden non si presta alle “liturgie” tradizionali, ma propone uno schema alternativo nel quale si sperimenta, un po’ come nel caso dei porcospini, la giusta distanza tra confidenza e azione scenica, tra calore umano e riconoscimento dello spazio altrui. La canzone d’autore ne ha un gran bisogno.
Interessante disquisizione sullo spazio vitale. Lavorando da decenni sul corpo e per il corpo, inteso come veicolo di messaggi, autore e protagonista in primis del rapporto con l’altro/a, non posso che accogliere in pieno i pensieri di Grazia. Lo spazio giusto,vitale,armonioso, dà luce e respiro, non soffoca e non spinge a gesti forzati di adattamento. Quello che ho provato immediatamente domenica pomeriggio entrando nella bellissima area del Teatro Golden.Ho sentito naturalezza, armonia, condivisione,piacevolezza di stare insieme, distanti ma vicini, respirando musica ed emozioni in una miscellanea magica di forme, luci e spazi. Protagonisti e spettatori. Musicisti e addetti ai lavori. Se avete pensato, ragionato e deciso a tavolino tutto questo … il risultato è stato un incanto.E lo sento ancora dentro. Vorrei sentir musica soltanto così in futuro. Grazie!