Annunciato come un episodio potente e delicato al tempo stesso, con tanto di invito alla discrezionalità dello spettatore nella visione, Grey’s Anatomy 15×19 ha confermato brillantemente le attese.
Nell’episodio, intitolato “Silent All These Years”, Jo (Camilla Luddington nella sua migliore interpretazione finora) soccorre una donna vittima di uno stupro e con la sua storia ripercorre il recente incontro con la sua madre naturale (la guest star Michelle Forbes), di cui non riesce a parlare nemmeno col marito Alex dopo la sconvolgente scoperta di essere nata da uno stupro ed essere stata abbandonata due settimane dopo la nascita perché sua madre non riusciva ad amarla come avrebbe voluto a causa di quel trauma.
Sconvolta dal fatto di aver trovato di fronte una donna realizzata, con una bella famiglia e una casa accogliente, Jo deve far e i conti col fatto che sua madre non è stata costretta ad abbandonarla per indigenza, ma l’ha fatto volontariamente perché impossibilitata a stabilire un sano legame d’affetto con lei a causa di come è stata concepita. Ispirata ad una storia vera che ha coinvolto un giudice della Corte Suprema americana, la vicenda della madre di Jo è quella di una donna che subisce un abuso quando è ancora un’adolescente e decide ugualmente di portare avanti la gravidanza ma non è nelle condizioni psicologiche di poter amare sua figlia senza pensare che sia il frutto di una violenza lacerante che le ha distrutto la psiche, l’amor proprio, la dignità. Un passo avanti notevole rispetto alla classica – talvolta stucchevole – rappresentazione delle donne costrette ad abbandonare i figli da circostanze esterne: la madre biologica di Jo la abbandona perché prende atto di essere incapace di essere mamma, fa una scelta di libertà, esercita il suo diritto a non vivere una maternità che non ha scelto, ma che le è stata imposta con la violenza, una gravidanza che non ha voluto interrompere con l’aborto nella vana speranza che con la nascita della bambina le cose cambiassero. Scelta che invece Jo ha fatto, confessando di aver abortito il figlio del suo compagno violento, Paul Stadler, perché sarebbe stato impossibile crescere un bambino nella violenza quotidiana.
Parallelamente al ricordo delle scoperte di Jo sulle sue origini, il caso medico che la dottoranda si trova ad affrontare al suo ritorno in ospedale è quello di Abby, una donna e moglie stuprata da uno sconosciuto di ritorno a casa da un bar e inizialmente decisa a non subire un’ulteriore violenza, quella di una denuncia che la esporrebbe ad un processo in cui si sentirebbe probabilmente più giudicata del presunto colpevole. La scelta di sottoporsi comunque ai test del kit antistupro per non vanificare le prove di quel reato è una sequenza potente di immagini in cui il corpo della vittima viene osservato, esaminato, scrutato nei dettagli, quasi violato una seconda volta, stavolta con la persona costretta a pronunciare un doloroso “sì” ad ogni intervento del medico e che fa da contraltare al “no” urlato al suo aggressore. Non è un caso che la showrunner Krista Vernoff abbia rivelato di aver avuto problemi con ABC: l’emittente ha provato a censurare la sceneggiatura chiedendo che non fossero mostrati “fluidi corporei” e altri dettagli intimi, ma l’intervento della creatrice della serie Shonda Rhimes ha rispedito le notazioni al mittente e chiarito che non avrebbe accettato limitazioni sul racconto di un aspetto così importante della questione, quello della raccolta delle prove di una violenza con tutto ciò che comporta per la donna che vi si sottopone.
L’episodio ha affrontato il tema non solo col classico stigma di ogni violenza e abuso, ma andando ad indagare cosa succede alle vittime successivamente, focalizzandosi sulla necessità di riconoscere un abuso come tale, di non colpevolizzare se stesse, di rigettare ogni giustificazione possibile. La scelta drammaturgica è ben precisa: da un lato c’è l’elaborazione del trauma subito dalle vittime di violenza sessuale, la presa di consapevolezza di essere state private della loro libertà di poter scegliere, con le ferite fisiche e psicologiche che ne conseguono e che cambiano per sempre il rapporto con se stessi e con gli altri; dall’altro la necessità di non sentirsi isolati, soli, giudicati, quando si decide di denunciare, l’importanza di trovare quella solidarietà in primo luogo femminile così potentemente simboleggiata da un corridoio pieno di donne che in ospedale quasi fanno da scudo alla loro sorella ferita e annientata dalla cieca violenza maschile. “Sei una sopravvissuta“, ricorda Jo alla sua paziente alla quale ha voluto mostrare la vicinanza di tutte le donne dell’ospedale, forte della sua esperienza di vittima di abusi domestici da parte dell’unica persona da cui si era sentita amata nella vita.
L’episodio fa poi un ulteriore passo avanti, ricordando come la denuncia e la repressione siano solo uno dei binari da percorrere per arginare la piaga degli abusi: c’è infatti un aspetto quasi sempre sottovalutato, quello dell’educazione dei maschi al rispetto delle donne. Una buona prevenzione passa per la diffusione di una cultura della parità, dell’accettazione della libertà altrui, della centralità del consenso nelle relazioni interpersonali. Solo educando le nuove generazioni a vivere relazioni paritarie, basate sul libero, espresso ed entusiasta consenso, si potrà invertire la rotta di una cultura della sopraffazione atavica e radicata in ogni contesto sociale, non solo in quelli degradati. Non a caso si è scelto di parlare di questo tema mostrando la storia di donne apparentemente sicure di sé, libere e dotate di tutti gli strumenti per difendersi, eppure travolte dalla furia di criminali abituati ad usare la violenza nei rapporti con le donne. Perché la violenza di genere non ha classe sociale, età, contesto, è un fenomeno tristemente trasversale. La scelta di istruire il piccolo Tuck, il figlio della Bailey, sull’importanza imprescindibile del consenso è una luce di speranza in fondo al tunnel della cieca violenza.
Grey’s Anatomy 15×19 è un episodio potente, drammatico, che non ha paura di mostrare donne bisognose di solidarietà e supporto o risolute nelle scelte più difficili come quella dell’aborto, ma anche madri che rifiutano i loro figli perché impossibilitate ad amarli dopo essere state abusate e che non meritano di essere giudicate dei mostri per questo. Il trauma della violenza sessuale genera ripercussioni che sono tante e tali da non meritare giudizi, ma solo empatia e sostegno incondizionato. Nessuna deve diventare madre solo perché rimasta incinta dopo un rapporto non consenziente, nessuna deve sentirsi in colpa per aver sentito la necessità di abortire un figlio, nessuna dovrebbe essere giudicata per la scelta di denunciare o di non denunciare un abuso, perché anche quella rientra tra le libertà di una donna abusata. Un episodio da manuale più efficace di mille campagne sul tema.