Qualche anno fa, il maestro Ennio Morricone – grande compositore, arrangiatore, direttore d’orchestra e due volte premio Oscar, insomma un pilastro della musica che il mondo ci invidia – fu costretto a rinunciare ad una proposta della RAI motivando così la sua decisione: “L’ultima volta mi hanno cercato per un’opera di Alberto Negrin (regista televisivo e teatrale anch’egli di grande spessore) e mi hanno detto che c’erano diecimila euro per me e per l’intera orchestra”. “Ora, io posso anche decidere di lavorare gratis per la Tv del mio Paese – aggiunse il compositore – ma i musicisti vanno rispettati. Incidere una colonna sonora con un’orchestra costa almeno 20, 30 o 40 mila euro”. “E’ stato un momento di grande imbarazzo – concluse Morricone – e così ho dovuto dire: grazie, posso comprendere le ‘ristrettezze’ ma non posso chiedere ai musicisti di suonare a loro spese”. La notizia rimbalzò ovunque, suscitando stupore per la brutta figura fatta in quell’occasione dall’azienda radiotelevisiva pubblica, anche alla luce dei compensi astronomici che venivano invece riconosciuti ad altri collaboratori. L’incidente si concluse con le scuse da parte della RAI e con nuove proposte di lavoro per il maestro, ma l’episodio resta rivelatore della considerazione che si riserva a quanti lavorano nel campo della musica (senza sconti neanche per un artista pluripremiato e con tanto di stella nella “Walk of fame” sull’Hollywood Boulevard). Quel caso è ancora attuale per interrogarsi sul destino di un musicista che voglia oggi, in Italia, vivere del proprio lavoro. Non un hobbista volenteroso e sognatore ma un professionista, uno che possa ricavare compensi dalle esibizioni live, dalla vendita di un proprio CD, dalle royalties discografiche, dai proventi delle piattaforme streaming, ma anche suonando nelle bande, nelle orchestre, nelle feste private e nei matrimoni, oppure componendo, facendo il turnista, il cantautore, insegnando, lavorando nella pubblicità, nei piano bar, esercitando la professione di musicoterapeuta (non riconosciuta in Italia e in pochi Paesi al mondo), suonando nei gruppi di animazione turistica o sulle navi da crociera etc…. Uno che per vivere di questo lavoro ha certamente investito tempo e soldi per studiare, formarsi, sviluppare le proprie capacità. Questo musicista, insomma, riesce a vivere dignitosamente e a “pagare le bollette”? Riesce ad un certo punto della carriera a metter su famiglia e a garantire un futuro ai propri figli?
Se si escludono poche categorie per fortuna tutelate con contratti veri ed assunzioni a tempo indeterminato (vedi ad esempio i componenti di alcune grandi Istituzioni Sinfoniche o coloro che sono assunti presso i Conservatori pubblici), la gran parte dei musicisti deve fare i conti con la precarietà e con l’ansia quotidiana di dover in qualche modo “fare cassa”. Una rappresentanza sindacale praticamente non esiste e l’Enpals, l’ente accorpato all’Inps che dovrebbe tutelare gli interessi dei lavoratori dello spettacolo, non offre garanzie previdenziali se non a fronte di cospicui contributi versati, una condizione difficile da raggiungere per il musicista a causa della precarietà del lavoro e del suo carattere saltuario, oltre che a causa della scorrettezza di molti impresari che non versano i contributi dovuti. I musicisti che portano emozioni nella nostra vita, ricevono compensi spesso penosi e non possono immaginare di avere un giorno una pensione, o una qualche forma di assicurazione o di assistenza medica. “I musicisti in Italia sono come un esercito di fantasmi – dice Massimo Marchese, emigrato con la sua arte all’estero – di cui nessuno si occupa”. Marco Manusso – un eccellente chitarrista che ha lavorato con i nomi più importanti della musica italiana – portò in scena qualche anno fa uno spettacolo dal titolo “Ma lei…a parte la chitarra, che lavoro fa?”, uno spaccato arguto e divertente sulla vita di chi fa musica, che tuttavia lascia un senso d’amarezza, come quando leggi del gesto disperato di chi non riesce a vivere suonando e si lancia nel vuoto.
Se la musica è cultura, la cultura andrebbe protetta. Quest’arte, invece, è abbandonata a se stessa, e a salvarla non basta un gesto nobile come quello del Maestro Ennio Morricone.
Dopo vent’anni di carriera musicale con risultati eccellenti, mi trovo a rispondere alla domanda se si può vivere di musica al giorno d’oggi con una famiglia, è assolutamente no. Ogni anno la situazione peggiora, non esiste regolamentazione, tutto in nero. Ormai i musicisti vanno al ribasso arrivando a prendere anche meno di 50euro per serata, cosa per me impensabile dieci anni fa. Se uno dovesse anche fatturare lavorerebbe praticamente gratis se non in perdita. Sono quindi arrivato alla conclusione che devo reinventarmi la vita a quarant’anni con 2 figli piccoli, sfrutterò il mio diploma di perito agrario e mi metterò a coltivare biologico, almeno 5 anni della mia formazione non li ho buttati via. Questa è l’Italia di oggi. Per chi ha la possibilità meglio all’estero, perché in questo Paese decadente non si ha alcuna possibilità, soprattutto se fai musica vera ed onesta, indipendentemente dal genere.
Gentile Grazia di Michele,
grazie infinite per le sue parole. Non è usuale che qualcuno si ricordi dei musicisti che lavorano nella “fascia di mezzo”, ovvero che non sono hobbisti ma che neanche hanno un nome da copertina di Rolling Stone. Eppure siamo tantti e tutti i giorni cerchiamo di sbarcare il lunario.
Dieci anni fa scrissi una lettera alla trasmissione televisiva Annozero condotta da Michele Santoro sperando che un po’ di visibilità su questo mondo oscuro potesse in qualche modo darci una mano… Va da sé che non ricevetti neppure risposta. E’ curioso che oggi lei abbia usato più o meno le stesse parole sollevando esattamente gli stessi argomenti che, evidentemente, in dieci anni non sono cambiati di una virgola.
Ho sempre utopisticamente pensato che un giorno avremmo potuto organizzare uno sciopero generale della musica nel quale tutti i musicisti (e dico TUTTI) si sarebbero rifiutati di suonare e, proprio in quel giorno, organizzare un unico concerto in cui qualche artista di rilievo nazionale potesse portare all’attenzione dell’opinione pubblica le nostre istanze. Ma è cosa risaputa che noialtri “musicanti” siamo degli indomiti sognatori.
Oggi, coi ponti che crollano e le aziende che chiudono, è davvero difficile pensare che qualcuno ascolti le difficoltà una minoranza che, per lo più, viene bollata come gente che “gioca” invece che lavorare… Però proviamoci lo stesso.
So che son stato prolisso, ma se avesse voglia di leggere ciò che denunciavo nel 2009 glie ne sarei grato. Può trovare la mia lettera aperta qui: https://www.facebook.com/notes/guido-pietrella/volevo-fare-il-musicista/195504679687/
Cordialmente,
Guido Pietrella