Boy Erased – Vite cancellate è l’ennesimo film “tratto da una storia vera”. Ormai non c’è nemmeno più bisogno di sottolinearlo, perché a parte i film di supereroi, in cui il fatto che qualcuno cominci a volare o attraversi una parete di cemento dovrebbe porli al di là della verosimiglianza, quasi tutte le altre pellicole si ispirano a fatti autentici. Prendiamo gli ultimi premi Oscar: degli 8 candidati a miglior film, a parte appunto il cinecomic Black Panther e A Star Is Born (che però è la quarta versione di una storia vista in tutte le salse), gli altri sei rientrano tutti nella suddetta categoria, partendo dal vincitore Green Book, passando per Roma di Cuarón e il biopic Bohemian Rhapsody e finendo a BlacKkKlansman di Spike Lee. Il che fa venire qualche sospetto sulla capacità degli sceneggiatori di inventarsi ancora qualcosa. Ma poi, come dice il vecchio adagio, la realtà supera sempre la fantasia, e allora va tutto bene.
Detto questo, torniamo a Boy Erased – Vite cancellate, secondo film da regista dell’attore Joel Edgerton, tratto dal memoir omonimo del 2016 di Garrard Conley, che racconta la sua esperienza di giovane omosessuale figlio d’una religiosissima famiglia d’un pastore battista dell’Arkansas il quale, di fronte al trauma della scoperta della diversità del ragazzo, lo spinge all’iscrizione al corso Love in Action, che mira alla “correzione”, attraverso la fede e un processo di riprogrammazione del comportamento, delle proprie tendenze sessuali.
Come dice infatti Victor Sykes (Edgerton), responsabile del “Programma Rifugio”, “fingi finché non riesci”. Così Jared (Lucas Hedges) accetta di sottoporsi alla terapia, per amore dei genitori e spinto dalla sincera fede religiosa sua e della comunità rurale da cui proviene. Detto questo e riconosciute le lodevoli intenzioni di partenza e l’importanza del messaggio, va detto che l’esecuzione del film è di maniera, mai in grado di trovare una chiave o delle metafore visive pregnanti che diano un’autonoma vita cinematografica alla vicenda.
Per cui accade quello che si può immaginare, col film che si regge sui numeri di scuola del suo cast di stelle, dal pastore padre amorevole (Russell Crowe) legatissimo al figlio ma incapace di confrontarsi con la diversità, alla madre (Nicole Kidman) moglie devota che cova però un’anima capace di scelte più radicali, anche perché, è ovvio, “una madre lo sa quando qualcosa è sbagliato”, come non manca di affermare.
Il resto lo fanno le sequenze nella sede del Programma Rifugio: la mestizia di pareti e porte che dividono dal mondo normale, ragazzi che s’aggirano smarriti (c’è pure Xavier Dolan), secondini che sequestrano cellulari e diari, un controllo non apertamente violento ma vessatorio che fruga in ogni dove, soprattutto nell’anima dei pazienti-reclusi per piegarla, manipolarla, riplasmarla. Qualcuno ne farà inevitabilmente le spese – le classiche vittime secondarie che in questo genere di film fungono da stimolo necessario ai protagonisti per capire dove sbagliano e cosa devono fare.
Le due parti del film rimandano pesantemente a dei classici cui Boy Erased – Vite cancellate deve molto. La dinamica dei rapporti familiari è presa di peso da Gente comune di Robert Redford, con la provincia americana, un grande trauma di partenza che coinvolge un adolescente, genitori che vanno in crisi, la presenza di un analista (anche Sykes, molto a suo modo, lo è). Il Programma Rifugio ricorda invece Qualcuno volò sul nido del cuculo, con persino a un certo punto un ragazzo complessato grande e grosso che aiuta Jared allo stesso modo del Grande Capo con Jack Nicholson.
La storia vera, perciò, viene talmente riadattata ai canoni consolidati di un racconto di genere (melo)drammatico da finire per perdere molto della sua supposta autenticità. Alla fine tra le mani ci si ritrova un film esangue che, se non brutto, è scolastico, già visto, prevedibile. E non bastano a restituire un sapore di realtà le foto dei veri protagonisti nei titoli di coda. Anche perché Boy Erased – Vite cancellate ha il difetto di essere eufemistico: a parole è dalla parte della diversità, ma cinematograficamente non lo è mai, dato che dell’amore omosessuale non c’è traccia, e tutto viene tenuto nei toni d’un puritanesimo molto sfumato e piuttosto ipocrita.