Diabolik sono io parte da uno spunto così incredibilmente letterario da sembrare inverosimile, e invece autentico, la scomparsa nel nulla del disegnatore del primo numero del fumetto, Il re del terrore, uscito nel novembre del 1962, il misterioso Angelo Zarcone, detto il “Tedesco” per la sua abitudine di presentarsi in redazione indossando dei sandali con tanto di calzini.
Le creatrici del fumetto, le leggendarie sorelle Angela e Luciana Giussani, nel 1982 addirittura assoldarono il detective Tom Ponzi per rintracciarlo, inutilmente. Così gli autori di Diabolik sono io, l’attuale direttore responsabile di Diabolik Mario Gomboli, lo sceneggiatore Mario Tomboli e il regista Giancarlo Soldi – autore di vari documentari sui fumetti, spaziando da Tex al Tiziano Sclavi di Dylan Dog – imbastiscono una sorta di mockumentary immaginando che Zarconi (interpretato da Luciano Scarpa) a seguito di un incidente abbia perduto la memoria, e adesso vaghi per le strade di Milano alla ricerca della sua identità. Tutte le tracce lo riconducono a Diabolik, al quale somiglia talmente da finire per identificarsi con lui.
Accanto alla cellula narrativa c’è la parte da documentario tradizionale, con le interviste a sceneggiatori e disegnatori storici di Diabolik, gli scrittori noir Carlo Lucarelli e Andrea Carlo Cappi, il disegnatore Milo Manara, i Manetti Bros., presenza doverosa dato che stanno lavorando alla nuova versione cinematografica del personaggio.
Diabolik sono io, evento speciale distribuito dall’11 al 13 marzo in oltre duecento sale dalla Nexo Digital, è un sentito omaggio al mondo criminale del personaggio creato dalle sorelle Giussani, un successo che dura da quasi sessant’anni, oltre 850 storie realizzate e 150 milioni di albi venduti, con tirature ancora oggi intorno a tre milioni e mezzo di copie all’anno.
Omaggio a parte, però, con la sua natura ibrida Diabolik sono io funziona poco. In primo luogo perché quella su Zarconi resta poco più d’una suggestione intorno alla quale non si coagula un vero racconto all’altezza della tensione del fumetto, non aiutato dalla scarsa qualità della recitazione.
La parte da documentario tradizionale, poi, ricostruisce solo parzialmente il contesto in cui le sorelle Giussani inventarono un antieroe in grado di incidere profondamente nell’immaginario collettivo. Al suo esordio, infatti, l’inquietante criminale nerovestito, capace dei più efferati delitti, creò una forte apprensione nell’opinione pubblica, che portò ad accuse per corruzione di minori e persino interrogazioni parlamentari, preoccupate del fascino che il personaggio era in grado di esercitare.
Manca il ritratto della Milano dei primi anni Sessanta in cui Diabolik è nato, e la curiosità sociologica necessaria a capire come e perché il fumetto abbia intercettato l’interesse di un pubblico ampio e trasversale, a partire da quei pendolari che tutte le mattine le sorelle Giussani vedevano dalle finestre della redazione situata nei pressi della stazione Cadorna, target ideale per il quale le autrici avevano immaginato un albo di storie forti e di formato tascabile.
L’emozione più autentica di Diabolik sono io la dà la presenza delle sorelle Giussani, grazie al recupero di una preziosa intervista inedita della Rai e mai andata in onda, in cui le vediamo tra un tè e un pasticcino descrivere la loro creatura e la visionaria intuizione anche imprenditoriale che le portò a ideare questo crudele personaggio criminale, incredibilmente distante dalla loro affettata eleganza signorile d’altri tempi. Che vive accanto all’attenta professionalità del certosino lavoro quotidiano d’una redazione sorprendentemente, per l’epoca, quasi interamente al femminile, altro elemento che avrebbe meritato un’analisi meno sbrigativa.
Carlo Lucarelli apparenta Diabolik ai coevi romanzi noir di Scerbanenco, per la sua capacità, pure attraverso l’ambientazione nel benestante mondo di fantasia di Clerville, di mostrare in filigrana inquietudini, desideri e immaginari di un tempo, a partire dai primi anni Sessanta, di profonde trasformazioni sociali e culturali. Ed è un’intuizione lungo il cui solco Diabolik sono io non ha la forza d’incamminarsi, limitandosi all’omaggio affettuoso ma esile.
Dispiace infine che non ci sia spazio alcuno per il cinema, con le diverse incarnazioni di celluloide di Diabolik. A partire da quella ufficiale del film omonimo di Mario Bava, all’epoca ingenerosamente bollato da Tullio Kezich come “uno dei più stupidi film mai realizzati”, fino alle versioni spurie come la buffa parodia Arrriva Dorellik (con tre erre!), con Johnny Dorelli in calzamaglia impegnato addirittura a sterminare tutti i Dupont di Francia. Altre tracce dell’enorme successo e della capacità di penetrazione del personaggio nel nostro quotidiano italiano.