Esiste una patologia che si chiama “Amusia”, è l’incapacità di comprendere, eseguire ed apprezzare la musica. Le persone affette da questo danno di origine cerebrale congenita o acquisita, sono incapaci di distinguere una fanfara dei bersaglieri da un canto di chiesa. L’ascolto della musica può diventare addirittura un’esperienza sgradevole. Ci sono e ci sono stati personaggi illustri che ne hanno sofferto, da Che Guevara (il quale in una pista da ballo in cui i musicisti suonavano un samba si lanciò in mezzo ai ballerini esibendosi in un tango sfrenato) ai presidenti americani Grant e Roosvelt e a Freud, il padre della psicanalisi. Sembra che ne soffra il quattro per cento della popolazione nel mondo.
È evidente che per comprendere la musica debba mettersi in campo una sofisticata attività acustico-recettiva molto più complessa di quella che occorre per comprendere il linguaggio parlato, l’amusia compromette la possibilità che questo avvenga.
Freud, affermò “Per la musica sono quasi incapace di godimento. Una disposizione razionalistica o forse analitica si oppone in me a che io mi lasci commuovere senza sapere da che e da cosa”. Probabilmente era amusico senza esserne consapevole.
Angelo Villa, nel suo interessante libro “Pink Freud”, riporta l’episodio della sorellina di Sigmund di otto anni Anna, la quale, in dono per il suo compleanno espresse il desiderio di ricevere un pianoforte. La madre, amante della musica, esaudì la richiesta della figlia senza fare i conti con il prediletto primogenito “Sigi”, che benché disponesse di una stanza tutta sua in cui chiudersi per non essere disturbato, costrinse le due a disfarsi dell’infernale strumento, negando ad Anna un’educazione musicale. E’ anche noto il fatto che quando Freud ascoltava musica, e per un viennese era naturale come respirare, si copriva le orecchie infastidito facendo smorfie di sofferenza.
Un “amusico”, oltre a non essere in grado di distinguere una melodia dell’altra, non è in grado di comprendere l’altezza delle note, quindi non riesce ad accorgersi delle sue stonature o di quelle degli altri, non riesce a seguire un ritmo, non ricorda una semplice melodia appena udita, è incapace di esprimersi musicalmente. La diagnosi è difficile, non essendo la musica un’abilità primaria per la sopravvivenza, le deficienze ricettive musicali sfuggono.
La soprano Florence Foster Jenkins, (magistralmente interpretata da Meryl Streep nel film “ Florence”), era amusica ma convinta di essere una grande cantante. Riuscì persino ad esibirsi alla Carnegie Hall nel ‘44 (tutto esaurito), davanti ad un pubblico di persone che la derideva per il non saper distinguere e sostenere una nota ma che nello stesso tempo l’ammirava per il coraggio. Oltre al suo, restò nella storia anche quello dei musicisti che l’accompagnavano nello sforzo estremo di seguirla nei suoi errori ritmici. Lei non ammise mai il suo deficit, anzi, passò la vita ad accusare la critica e le sue invidiose colleghe, poi un giorno sentenziò “La gente può anche dire che non so cantare ma nessuno potrà mai dire che non ho cantato”.
“Questa frase potrebbe essere nella bocca del settanta per cento dei cantanti” dice il neuropsicologo Carlson (2008), aggiungendo che “dovrebbero sostenere il test della Peretz e rendere pubblico il punteggio ottenuto, oltre al loro cd”. Il test della Peretz, altro non è che un protocollo da applicare nella ricerca dei fenomeni di amusia.
Tuttavia, questa patologia non comporta svantaggi per chi ne soffre, a parte il fatto di non poter godere di uno dei piaceri più belli della vita, ne comporta invece per chi si relaziona con l’amusico che dell’amusia ne fa una professione.