Il mattino ha l’oro in bocca.
Il mattino ha l’oro in bocca.
Il mattino ha l’oro in bocca.
Il mattino ha l’oro in bocca.
Il mattino ha l’oro in bocca.
Il mattino ha l’oro in bocca.
Insomma, ci siamo capiti.
Il mattino ha l’oro in bocca.
Immaginatemi qui, davanti al mio pc, come un Jack Nicholson incastrato nella sua testa e per i corridoi dell’Overlock Hotel, e immaginatemi mentre cerco di dirmi e di dirvi che in fondo, dai, questo potrebbe non dover essere un altro anno musicalmente di merda come i precedenti. Proprio in virtù del fatto, tra l’altro, che negli ultimi due anni sono usciti così tanti album brutti, senza bisogno di fare troppi esempi, si pensi a una Pausini, a una Emma, a un Biagio Antonacci ai Thegiornalisti, da poterci far ben sperare in quello che potrebbe essere il Maggese dei nostri orecchi.
Solo che, e qui torniamo al famoso mattino che dovrebbe avere l’oro in bocca, e invece ancora una volta avrà LORO in bocca, il primo album di grido annunciato per questo 2019 è di quelli che farebbero inorridire anche chi si è estirpato le orecchie con una roncola, versione contemporanea dei legacci di aliferiana memoria. Sì, perché il 2019, sembra, partirà all’insegna di Fedez e del suo Paranoia Airlines.
Come direbbe Kurtz, sudato e affannato lì, lungo il fiume Congo, l’orrore, l’orrore.
Perché se il buon giorno si vede dal mattino, e poi giuro che la smetto di tirare in ballo l’alba e i suoi derivati, la canzone che ha annunciato l’uscita del nuovo album solista del rapper di Rozzano, brano il cui titolo un subconscio amorevole ha rimosso dalla mia memoria, rapper di Rozzano da poco divorziatosi da J-Ax, subito convolato a giuste nozze col suo ex Dj Jad e anche un po’ con Ermal Meta, è qualcosa di paragonabile a quando si scende di notte per andare in bagno e si pianta il mignolo contro l’angolo del comò, spezzandosi l’unghia e, magari, anche qualche microossicino dal nome difficile da ricordare. Chiaro, evidentemente il brano è stato concepito per diventare la colonna sonora dello spot del nuovo smartphone, non certo per dare il benvenuto al figlio del rapper e della Ferragni, ma la bruttezza del brano resta lì, a futura memoria.
Ciò non bastasse, e non bastassero anche tutte quelle cose orribili che ci ha propinato negli anni, con quel populismo spacciato per acume, lui che acuto non potrà essere mai, non fosse altro che per una faccenda di altezze, vederlo dibattersi come un cetaceo finito per sbaglio sulla battigia, lì sui social a cercare di vedere il preorder del tutto come una Vanna Marchi senza maghi a fargli da controparte, ha creato quel mix di mestizia misto annichilimento che non è esattamente quel che uno si augurerebbe al rientro dalle vacanze.
Del resto, da Fedez non è che ci si possa aspettare roba di qualità, auspichiamo solo in una querela da parte di Dori Ghezzi per aver infilato il nome di De Andrè in una brutta canzone e via, puntiamo verso l’estate nelle speranza che una nuova Despacito ci ottenebri definitivamente la ragione, perché meglio rincoglioniti che lucidi, in queste situazioni.
E proprio guardando un po’ più in là, saltando a piè pari quelli che passeranno da Sanremo, perché di Sanremo avremo più che modo di parlare da queste parti nelle prossime settimane, qualche esigua speranza di non trovarci a muovere nel solito merdaio arriva. Ma proprio esigua esigua, eh, perché è meglio sempre volare bassi.
Il primo dei BIG che dovrebbe sfornare un nuovo album è Ligabue, e da uno come Ligabue è più che legittimo attendersi qualcosa di buono. A me, personalmente, Made in Italy era piaciuto, un po’ per quella sana arroganza di voler fare un concept, di raccontare una storia e per di più di raccontare una storia che non fosse la solita storia, ma qualcosa di contemporaneo, capace di dirci l’oggi e anche di dirci l’oggi di chi non è più un ragazzo, un po’ perché Ligabue è pur sempre uno che ha una sua poetica precisa, e quando sta nella sua comfort zone sa come muoversi. Non sapendo cosa tirerà fuori, né quando, e dato per assodato che non sarà il tanto ventilato Made in Italy 2, mi auguro, e me lo auguro più per me che quest’anno compirò cinquant’anni, che per lui, che ne ha qualcuno in più, che anche stavolta affronti l’età matura senza inseguire giovanilismi inutili se non dannosi.
Lo stesso, e qui mi vado a inerpicare per un crinale scosceso, a strapiombo su una scogliera pericolosissima, lo so, mi auguro faccia con suo nuovo lavoro, intitolato Personale, Fiorella Mannoia. Lei a aprile compirà sessantacinque anni, e so che nel dirlo stupirò molti, perché a vederla non sembra proprio. Ecco, vorrei sentire canzoni che cantino di questa età. Non dico canzoni che ci dicano come ci si senta a avere per la prima volta lo sconto anziani al cinema o la Carta Argento per Trenitalia, ma una serie di canzoni che affrontino il corpo che invecchia, i sentimenti che vengono affrontati con spirito decisamente diverso, uno sguardo sul mondo da parte di chi sa di aver fatto più di quanto farà. Ripeto, quest’anno compirò cinquant’anni, mi trovo seppur un po’ più giovane, esattamente dalla stessa parte della palizzata, e mi piacerebbe che una artista come la Mannoia trovasse il coraggio di raccontarmelo, lei che giovane affrontava l’età matura di una donna in Quello che le donne non dicono.
Ecco, Ligabue e la Mannoia già ci fanno ben sperare. Anche se, mi accorgo, sono partito dall’alba, agghiacciante, con Fedez, per trovarmi presto a augurarmi un tramonto piacevolmente accompagnato da chi sarebbe preposto a raccontarlo (ho detto il tramonto, non la notte, si badi bene). E allora, per chiudere questa prima toccata e fuga in quel che il 2019 musicale ci riserverà, non posso che citare Tiziano Ferro, che tornerà nei negozi di dischi, si fa per dire, con il suo settimo album solista, prodotto nientepopodimenochè da Timbaland. Ora, che a Tiziano l’urban, l’hip-hop, l’R’n’B piaccia e anche parecchio non è un segreto. Come non è un segreto che Michele Canova, il produttore che ha accompagnato Ferro in tutta la sua vita artistica, abbia un filo stancato col suo electropop sempre uguale a se stesso. Ma fossi in Tiziano farei un minimo di gesti scaramantici, perché tutti coloro che hanno mollato Canova, ultimamente, e lo hanno mollato praticamente quasi tutti, da Jovanotti a Biagio Antonacci, passando per Alessandra Amoroso, non è che abbiano incontrato esattamente il plauso del pubblico. Inspiegabilmente, intendiamoci, perché Canova è il Male assoluto, tutti dovrebbero scappare da lui. Ma visto che proprio Jovanotti ha impattato nella scelta sbagliata di farsi produrre da Rick Rubin, altro megaproduttore americano, scelta presto rivelatasi fuoriluogo, tanto è scarno il produttore barbuto quanto è massimalista il cantante barbuto, forse restare nella strada già percorsa poteva essere una scelta più azzeccata. Intendiamoci, io spero proprio che Ferro spacchi, perché Timbaland sarà pure un producer uscito dalle mode, recentemente, ma resta un top player come pochi e giustamente uno come Tiziano è con un top player che deve confrontarsi.
Dopo un primo sguardo al 2019, quindi, sulla fronte ci si è formato un punto di domanda. Sarà un altro anno di merda, come l’album di Fedez a aprire le danze lascerebbe supporre, o magari sarà l’anno della consacrazione oltreoceano di un Tiziano Ferro di nuovo in gran spolvero? Sarà magari l’anno in cui Fiorella Mannoia deciderà di fare i conti con l’anagrafe e in cui Ligabue ci racconterà ancora una volta cosa significhi oggi fare i conti col reale, o dovremo di nuovo rifugiarci negli stadi che Vasco andrà a riempire con la costanza di un gladiatore?
Sì, perché almeno una certezza l’abbiamo, Vasco sarà sei volte a San Siro, magari anche di più, andando a portare a casa un altro record assoluto, e due volte a Cagliari. Se vi sembra poco…