È indiscutibile che titoli del calibro dei vari Call of Duty e GTA (giusto per fare i due esempi più eclatanti) abbiano un seguito molto, molto folto. Il merito va ovviamente alla cura certosina riposta dagli sviluppatori in fase di lavorazione, certo, ma anche i temi trattati all’interno dei vari titoli hanno avuto una rilevanza fondamentale nell’affermazione su larga scala dei vari brand. È chiaro che la violenza presente nei giochi svolga un ruolo fondamentale nell’economia del media videoludico: non è un caso che i prodotti di maggiore richiamo, sotto il profilo delle vendite, siano proprio quelli dal tasso di violenza più elevato. Non stiamo parlando di violenza gratuita (ok, forse nel caso di GTA si, ndr), ma della violenza intrinseca nelle scene proposte su schermo, che siano di un combattimento corpo a corpo o di una sparatoria dalla distanza prelevati da un gioco di guerra.
Già nello scorso mese di settembre questa cosa aveva smosso gli animi dei politicanti negli Stati Uniti, con i membri della Pennsylvania, capeggiati da Cristopher B. Quinn, che avevano avanzato una loro proposta. Per ridurre l’incidenza di eventi violenti che vedono protagonisti ragazzi armati per le strade e nelle scuole si era pensato di introdurre una tassa che colpisse proprio i videogiochi catalogati come crudi, con il prezzo dei cari Call of Duty, GTA e via discorrendo che sarebbe dovuto aumentare del 10%. Un sovrapprezzo che è stato giustificato dalla volontà di creare un fondo mirato a migliorare il sistema di sicurezza all’interno delle scuole su suolo americano, per evitare che eventi drammatici come quelli avvenuti di recente possano ripetersi.
Ovviamente una proposta che non ha mancato di raccogliere consensi, soprattutto tra i detrattori del media videoludico, che hanno in questo modo trovato pane per i propri denti per attaccare uno dei fenomeni maggiormente in espansione nell’ambito economico.
Chiaro è che l’esposizione a eventi violenti, che non siano semplicemente quelli contenuti all’interno di un videogioco del calibro di Call of Duty o GTA, possa di base desensibilizzare i giocatori, ma il processo non è per nulla dissimile da quanto avviene sedendo di fronte a un televisore su cui viene trasmesso il telegiornale oppure ancora un monitor di PC su cui è possibile visionare immagini e filmati di attacchi terroristici o catastrofi naturali. L’avvento della comunicazione immediata, qui e ora, fatta del sensazionalismo, ha portato i giocatori (ma anche chi non videogioca) a essere bombardato di immagini crude, e non è quindi di certo colpa di un’opera digitale l’insorgere di una mancanza (parziale o meno) di sensibilità nei confronti di eventi cruenti.
Potrebbe essere, caro Mr. Quinn, la mancanza di uno sbarramento all’acquisto delle armi il vero problema negli Stati Uniti?