Prendete uno stanchissimo Daniele Groff, un parafrasato Coez e guarnite con un ossimoro fatto di miele amaro: questo è Punk di Gazzelle. Il cantautore romano, al secolo Flavio Pardini, pubblica 9 tracce intimiste e si denuda, per un album da ascoltare in mezzo al parco mentre si osserva la vita degli altri mentre ci si chiede se le sensazioni di respiro e dolore siano reali o indotte.
Smpp e Punk, prime due tracce del disco, creano un’empatia che è tutt’altro che ermetismo. Chitarre, basso, batteria e pianoforte con un condimento leggero di elettronica accompagnano la voce di Gazzelle, un lamento continuo e protratto per tutta la tracklist. “Punk” è la parola scelta per dare un nome all’opera, significato che si spoglia dai movimenti anarcoidi del 1977 – anno in cui i Sex Pistols pubblicavano “Never mind the bollocks” – e indossa gli abiti di un decadentismo emozionale che è quello del calo della serotonina inevitabile quando c’è di mezzo la fine di una relazione. Punk di Gazzelle è una parola, un significato, un insieme di dediche che riflettono e offrono riparo a chiunque cerchi un male comune con mezzo gaudio, ma è anche il filo conduttore di quelle canzoni che compongono un album grigio, liquido e ruvido. Ascoltarlo significa visionare giovani sofferenti, vestiti col chiodo, scoprire le iniziali intagliate sugli alberi del parco usato per riversare deiezioni canine, profilattici consumati e sbocciate notturne e paranoidi.
Alquanto difficile mettere in analisi i singoli pezzi, perché Punk di Gazzelle “si regge su un equilibrio delicato”, come diceva Nanni Moretti in “Bianca” quando descriveva la torta Montblanc. Dalle ballad leggermente frizzanti come Sopra – “E se te ne vai lontano mi saluti con la mano, sì, con la mano, ma di un altro” – si passa a veri e propri lenti, come Tutta la vita in cui compare anche un mellotron e un’attitudine ai testi sempre più indie (“È quasi sera e la tua bocca sa di Roma Centro”). Non c’è niente, ritmata e post-punk senza distorsioni, dove la sera è ancora la location temporale scelta per accomodare una scelta di chiudersi in casa, con “La pioggia dentro la pancia e le scarpe di tela”. Colate di miele si divorano in OMG, quasi frivola con quel riff di batteria elettronica e quelle parole che intonano “Oh my God, vorrei volare via lontano, dormire dentro la tua mano”, e tutto si spegne con Scintille, altra ballad alla quale segue Coprimi le spalle. Brano ricco di riverbero, delay e con qualche campionatura aggiunta per colorare una serenata quasi dark, dove non conta “dove tira il vento”, ma conta “ciò che porta”, perché può “portare lontano” come fa “una canzone” o “un aeroplano”.
“Punk” di Gazzelle non cela la passione che l’artista vive per i Radiohead, i Beatles e gli Oasis, e lo stesso cantautore descrive il disco come un album nato dall’istinto. Un anno dopo “Superbattito”, “Punk” di Gazzelle non nasce per cercare la hit radiofonica più ascoltata sui digital store. Gazzelle tiene a sottolineare che usa i social solamente per promuovere il suo lavoro e non per esternare il suo quotidiano. Non lo fa nemmeno nella musica, a quanto pare e dice, perché il cantautore sostiene di aver superato tutte le difficoltà grazie alla musica, e ora “sta bene”.