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Lino Guanciale a OffStage tra gli inizi nel rugby, da Woody Allen a La Porta Rossa: “E pensare che non volevo fare tv” (video)

Lino Guanciale a OffStage racconta i suoi inizi nel mondo del rugby, dalle curiosità su Woody Allen alla sua fiction preferita, La Porta Rossa.

di Verdiana Paolucci
03/10/2018
INTERAZIONI: 26

INTERAZIONI: 26

Lino Guanciale a OffStage racconta i suoi inizi nel mondo del rubgy. Attore poliedrico e artista impegnato, l’interprete di Enrico Vinci in Non Dirlo al Mio Capo 2 (ora in televisione su Rai1) svela come lo sport sia stato il suo trampolino di lancio. Intervistato da Carla Signoris nella puntata del 2 ottobre, ha dichiarato:

“Ho cominciato a giocarci quando avevo 11 anni, poi ho smesso a 20, quando sono entrato in accademia. È uno sport dove c’è un ruolo per tutti.”

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Lino Guanciale è uno dei pochi interpreti italiani ad aver lavorato con Woody Allen. L’attore di Avezzano era infatti nel cast di To Rome With Love, film ad episodi girato nel 2012 dove figura anche Alessandra Mastronardi, sua collega nella fiction L’Allieva. Guanciale racconta qualche curiosità sull’operato del cineasta newyorkese, “che si materializzava all’ultimo sul set. Non sapevo cosa andavo a fare, perché lui non consegnava il testo. Giravo con Jess Eisenberg. Ci presentiamo e io ‘Complimenti per The Social Network’.”

Successivamente, Lino spiega come neanche l’attore americano sapeva nulla sulla sceneggiatura. “Prima del ciak, [Allen] arrivava e faceva ‘Come cambieresti questa battuta’? Pallidamente parlando tra di noi, avevamo capito più o meno la trama del nostro episodio. […] Lui lavora sulla spontaneità degli attori. Non hai l’arco in mano del personaggio, ma mano a mano ti ci fa entrare a lui. Alec Baldwin era l’unico che si trovava meglio perché si ubriacava e cominciava a parlare.”

Guanciale fa cinema, teatro, televisione e qualche volta è anche ballerino. Eppure, non aveva intenzione di approdare sul piccolo schermo. “Non per la demonizzazione del mezzo in sé”, spiga Lino Guanciale a OffStage. “Ero convinto che avrei fatto solo teatro. Ho preso il diploma alla Silvio d’Amico e ho iniziato subito a lavorare.”

Tra i suoi lavori più apprezzati a teatro c’è sicuramente La classe operaia va in Paradiso, trasposizione del film degli anni Settanta di Elio Petri. Lui recitava nel ruolo che fu di Gian Maria Volonté. Il percorso a teatro comincia quando lui ha 24 anni; appena uscito dall’Accademia Silvio d’Amico, inizia un sodalizio artistico con Claudio Longhi, con cui ancora lavora: l’attore è presente in quasi tutti i suoi spettacoli, collabora ai suoi progetti teatrali e alle sue attività di formazione del pubblico e di didattica teatrale nelle scuole o in Università.

Dopo teatro passa alla televisione, che, spiega è un mezzo più leggero. “La Porta Rossa, fra i lavori che ho fatto per instradare il mio percorso televisivo sui progetti che voglio fare.” Scherza quando Carla Signoris lo chiama “il Patrick Swayze italiano” (nella fiction lui interpreta Leonardo Cagliostro, assassinato ma costretto a vagare tra il mondo dei vivi al fine di proteggere la moglie e capire chi lo voleva morto).

“Ci siamo inventati dei modi per scomparire analogici. Si sposta la tenda e io scappo. Però è molto piaciuto all’estero. È il progetto televisivo che mi piace di più.” La Porta Rossa infatti è stata venduta a AMC, che la manderà in onda in America Latina.

Qui il video completo dell’intervento di Lino Guanciale a OffStage.

Tags: lino guancialenon dirlo al mio capo

Leggi i commenti

Comments 1

  1. Carlo Camerlingo says:
    4 anni fa

    Caro Guanciale,
    ho ascoltato ieri i suoi commenti sulla Classe operaia, il film di Petri …
    penso che il film non fosse così equidistante dai punti di vista di classe che lei e la conduttrice indicano: lavoratori, sindacato, padronato (pudicamente indicato come “datori di lavoro”).
    l’accoglienza che il film ebbe a sinistra, era figlia della fase che il movimento attraversava e che probabilmente abbisognava di una visione “meno problematica” delle cose, per esigenze tattiche;
    a guardarla con gli occhi di adesso appare colpevole di “politically incorrect “(ma probabilmente non incomprensibile);
    non è condivisibile “l’inquadramento” … ma con gli occhi di oggi: d’altronde nel 56 con l’Ungheria e poi nel 68 con Dubcek era successo quel che sappiamo
    di sicuro però il nucleo dell’alienazione – intorno a cui si organizza il film – era colto dalla categoria dell’operaio-massa elaborata direi in maniera non “vacua” dalla “certa sinistra” di allora (Tronti);
    penso che ciò che lei probabilmente ha inteso rappresentare nella sua versione teatrale fosse il contrasto tra “l’ideologia e l’umanità” come evocato, ad esempio, dal Camus del “Primo uomo” (non a caso il punto di vista di Camus confliggeva con quello di Sartre).
    ci sta, è giusto, è un punto di vista al quale io stesso – che quegli anni li ho vissuti – “in senectute” mi sono avvicinato …
    tuttavia penso anche che uno dei “focus” “dell’immaginario al di là dell’immagine” evocato dal film coincidesse proprio con il movimento che lei ha riprodotto alla (giovane) platea che le sedeva di fronte, con fare un po’ sbarazzino, in contrasto- me lo permetta – con il suo valore di simbolo di una condizione umana complessivamente corrosiva fino all’autodistruzione: del corpo, della solidarietà di classe, delle relazioni intime, dell’appartenenza a un corpo questa volta “sociale” condiviso…
    penso che, in ogni caso, quella stagione di lotte e di punti di vista “unilaterali”, scorretti, strumentali abbia contribuito comunque a grandi conquiste per il lavoro, purtroppo adesso in fase di rottamazione… come dire “il bambino e l’acqua sporca” …
    sarebbe utile che la memoria non si appiattisse sul revisionismo e sull’abiura, ma riconsiderasse criticamente il passato, se vogliamo sperare in una ripresa delle aspettative di progresso ed emancipazione …
    purtroppo non ho avuto la possibilità di assistere alla sua piéce e quindi il mio dire è ancor più parziale, ma ho inteso esternarlo a lei proprio in quanto non solo ha meritoriamente recuperato un frammento importante di storia, non solo del cinema ma lo ha anche tradotto in un linguaggio diverso da quello filmico necessariamente “riscrivendolo” per il (mai “neutro”) contenitore teatrale
    ciò suscita la mia curiosità, con il che il suo scopo è raggiunto: in fondo anche per chi fa il suo mestiere vale, almeno in parte, “che del poeta il fine è la meraviglia”
    auguri per il suo futuro, prima o poi la vengo a vedere (in teatro) …
    CC
    ps
    io giocavo come mischia e/o apertura

    Rispondi

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